Quanto bisogna essere stupidi per andare allo stadio in una gelida sera di gennaio a guardare una partita di Coppa Italia trasmessa in tv? O quanto bisogna essere innamorati? Forse tutte e due le cose. E’ il 14 gennaio 2015, Toro-Lazio, la partita in cui Ventura schiera Jansson a centrocampo per far capire alla società che in mezzo siamo corti (non andrà benissimo, visto che arriverà il solo Gonzalez, non proprio il salvatore della patria, e ogni tanto saremo costretti a mettere Bovo regista). La prima partita di Maxi Lopez al Toro. Perdiamo 3-1, ovviamente eliminati, ma qualcosa da salvare c’è: l’argentino, subentrato a inizio ripresa, fa vedere quelle due-tre cose che fanno i grandi attaccanti. Difendere la palla, smistare, disorientare il difensore con una mossa. Perché, al netto di problemi fisici e alti e bassi, Maxi è questo. Un grande attaccante.
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Una gallina dal cuore Toro
Il Toro 2014/2015 è quello orfano di Cerci e Immobile. In Europa League è riuscito a passare il girone eliminatorio, ma in campionato sta flirtando un po’ troppo con le zone basse della classifica e ha parecchie difficoltà a segnare, nonostante Quagliarella. Martinez è troppo acerbo, Amauri un pochino arrugginito, Larrondo lasciamo perdere. Serve qualcosa in più e potrebbe arrivare proprio da Maxi Lopez che viene da un’esperienza non proprio esaltante al Chievo. Un’operazione che porta dietro troppi “se” e in genere i “se” col Toro funzionano poco, lo fanno solo per i rimpianti. Questa volta no. Maxi è la scintilla che trasforma la squadra, le farà sfiorare una qualificazione europea, negata principalmente da Sorrentino che fa annullare un suo gol regolare e da Padelli che diventa un bug di Fifa e se la butta dentro da solo contro l’Empoli, le farà vivere l’impresa contro l’Athletic Bilbao e solo un difensore che si è frapposto chissà come tra lui e il gol non ha portato l’impari sfida con lo Zenit ai supplementari. El Galina, in quei primi mesi del 2015, si scrolla di dosso l’essere protagonista di un’amara storia familiare che tanto esalta gli amanti del gossip per vestire i panni della punta che fa sognare i tifosi.
A Cesena, ultima di andata, il Toro va in vantaggio di due gol, poi viene raggiunto da una doppietta di Brienza su rigore. Sembra l’ennesima partita fatta per avvelenarci, ma, dal 68’, in campo c’è proprio Maxi Lopez, subentrato a Martinez. Mancano 3’ alla fine quando Quagliarella doma un pallone al limite dell’area romagnola e lo butta dentro. Il numero undici rincorre la sfera che sta andando verso l’esterno lasciando sul posto il diretto marcatore e, con un tocco morbido, supera Leali in uscita, poi festeggia imitando la gallina. Come al Barcellona, quando segnò al Chelsea in Champions League. E’ poco tempo, ci siamo appena conosciuti, ma capiamo che possiamo amarci.
Ventura inizia a usare Maxi come arma da inserire a gara in corso, in attesa che abbia la giusta tenuta per reggere i 90’. A San Siro, a tempo scaduto, è sua la testa che prolunga l’angolo di El Kaddouri (nota sadica: svetta su Icardi) tagliando fuori la difesa nerazzurra e mettendo Moretti nella condizione di farci vincere in casa dell’Inter dopo 27 anni, rigore di Cravero, troppo tempo fa. Con lui il Toro gioca bene e Maxi le reti se le tiene per la coppa, per la precisione tre, destinatario l’Athletic Bilbao. Un tocco in scivolata su centro di Molinaro e uno splendido colpo di testa su cross di Darmian all’andata e un’altra zuccata al San Mames, sempre su invito di Darmian, che non sarà il gol decisivo, ma, forse, quello più importante, quello dell’1-2 subito dopo aver preso il pareggio per ribaltare il quadro psicologico e mandare il Toro all’intervallo sentendosi forte, fortissimo. D’altronde a questo servono i grandi attaccanti, quelli con grande esperienza europea. A farci passare notti così.
Il gol in Italia torna contro il Parma, nel posticipo della ventottesima giornata. Quagliarella lancia Maxi in profondità e il Galina salta la scivolata di Lucarelli, entra in area da sinistra e col destro, da posizione defilata, sblocca il risultato. Due turni dopo tocca anche alla Roma subire il graffio dell’ex River. E’ una partita nervosissima, quella, per capirci, dove Florenzi, a fine gara, abbandona un intervista in cui mettevano in dubbio il rigore che aveva portato in vantaggio i giallorossi. Al 64’ Bruno Peres tiene in campo una palla impossibile, Vives la controlla con grande intelligenza e la serve a Maxi Lopez che la scaraventa in rete.
A Palermo il Toro arriva fresco vincitore del derby, ma i rosanero stanno vincendo 2-1. Al 59’ Maxi Lopez subentra a Martinez: il primo pallone che tocca su cross di El Kaddouri, dopo un minuto, lo mette dentro. Ce ne sarebbe un secondo, a 5’ dalla fine, con uno splendido stacco su cross di El Kaddouri, ma l’urlo rimane in gola. Sorrentino si sbraccia, l’addizionale Ghersini richiama Gervasoni e la rete che sarebbe valsa, probabilmente, un’altra Europa, sfuma.
Contro il Chievo, a due turni dalla fine, proviamo a crederci ancora. Maxi Lopez la sblocca di testa sugli sviluppi di un angolo e non esulta molto, è un ex, ci sta. Al 69’, però, su un pallone calciato in avanti, Maxi addomestica la sfera e va via di forza a Cesar, che prova in ogni modo, lecito o meno, di impedirne la partenza, ma può solo inseguire. L’ex River la porta avanti con la testa, avanza verso Bardi e lo supera con un rasoterra precisissimo ed esulta, esulta eccome. Un altra doppietta, di rapina al Cesena, chiude l’annata.
La stagione successiva non è così bella, sia per il Toro, che parte con grandi aspettative, ma sarà inghiottito dalle paludi di metà classifica, sia per Maxi che pur essendo prezioso (lanciategli una lavatrice, lui sarà in grado di stoppare anche quella) non segnerà come l’anno prima. La sua rete più bella è in casa contro l’Atalanta, dopo un’altra grande prova nella San Siro interista con tanto di assist a Molinaro, quando, su lancio di Bruno Peres, punisce l’incertezza di Stendardo e supera Sportiello in uscita con un morbido tocco d’esterno destro. Poi altra corsa sotto la Maratona con tanto di testa platinata. Sarebbe stato memorabile il gol del 2-2 alla Juventus, nel famoso derby del testa contro testa di Bonucci con Rizzoli, ma viene annullato per fuorigioco inesistente.
La cosa più bella, però, non è un gol, ma un fallo. Succede alla seconda giornata, quando eravamo ancora pieni di sogno. Ospitiamo la Fiorentina che passa in vantaggio con gol di Alonso che viene a festeggiare sotto la Maratona, all’altezza della testa del Toro, mimando il gesto del matador. Dopo qualche istante di incredulità (ma qualcuno gli avrà spiegato che siamo gemellati?), la Maratona inizia a ringhiare e a dire di tutto allo spagnolo. Maxi è in panchina. Quando entra, al 61’, sa cosa fare. Va da Alonso, lo ranza, si becca la giusta ammonizione. Guarda l’avversario come per dirgli “dovevo farlo”. L’avversario lo guarda come per dire che ha capito. El Galina ha semplicemente spiegato che col Toro non si cazzeggia.
Nel 2016/2017 arriva Mihajlovic, che lo ebbe a Catania quando Maxi, giunto a gennaio alle pendici dell’Etna, fece undici gol in diciassette partite. In molti sognano un bis, ma non va così. Sinisa ne critica la forma fisica, quella lavatrice che prima avrebbe stoppato se solo glielo’avessero lanciata, stavolta, parole testuali del tecnico, ce l’ha sulle spalle. Il crepuscolo è malinconico con due gol inutili in casa di Roma e Lazio. L’addio inevitabile. Purtroppo i finali, nella realtà, vengono scritti quasi sempre male. I capitoli precedenti, però, sono stati belli. Ci ha voluto bene, gliene abbiamo voluto, ce ne vogliamo ancora. Coccodè.
Classe 1979, tifoso del Toro dal 1985 grazie a Junior (o meglio, a una sua figurina). Il primo ricordo un gol di Pusceddu a San Siro, la prima incazzatura l’eliminazione col Tirol, nutro un culto laico per Policano, Lentinie…Marinelli. A volte penso alla traversa di Sordo e capisco che non mi è ancora passata.
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