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Da Ljajic a Pellè, calcio sempre più ostaggio dei soldi (e dei procuratori)

Ljajic
Il Granata della Porta Accanto/ La logica della carriera breve da ottimizzare sotto il profilo economico sta polverizzando tutti gli altri aspetti nelle scelte dei calciatori. E dietro c’è sempre lo zampino del procuratore di turno…
Alessandro Costantino
Alessandro Costantino Columnist 

Per fare una battuta macabra si potrebbe dire che viste le notizie degli ultimi giorni se Bosman fosse morto, si rivolterebbe nella tomba. Ma se per sua fortuna l'ex calciatore belga è vivo e vegeto, seppure non se la passi benissimo, non certo entusiasmanti per il mondo del calcio sono invece tutt'oggi le conseguenze della sua famosa battaglia per i diritti dei calciatori. Dalla sua emanazione ad inizio Anni Novanta, la Legge Bosman che equipara i calciatori agli altri lavoratori comunitari e ne garantisce la mobilità, ha generato delle distorsioni nel mondo del calcio veramente incredibili. L'ormai nullo potere che hanno le società sui propri giocatori fa sì che siano questi ultimi a scegliere le destinazioni in caso di cessione. E se in linea di principio la cosa non è sbagliata, all'atto pratico risulta, ad esempio, che la Roma non possa vendere Ljajic al Toro sebbene esista un accordo tra i due club perché manca il benestare del giocatore. E proprio qua sta il punto dolente: tutto questo potere a giocatori e, soprattutto, procuratori ha modificato gradualmente i criteri che guidano le scelte dei giocatori stessi sulle destinazioni. Così avviene che un ragazzo di 24 anni il quale dovrebbe avere solo in testa l'idea e la voglia di giocare, come è normale che sia alla sua età nel pieno della crescita della propria carriera, in realtà nicchi (per usare un eufemismo...) per una differenza di stipendio del 20%. E' vero che a nessuno piacerebbe vedersi decurtare lo stipendio di un quinto, ma il calcio è un lavoro sui generis e l'emolumento annuo di 1,6 milioni di euro è comunque sufficiente al sostentamento del ragazzo, non di certo da denuncia all'ispettorato del lavoro per sfruttamento...

Al di là del caso singolo (e al di là della querelle sulla clausola rescissoria e sulla speranza di una chiamata da parte del Milan di Montella), quello che preoccupa è questa progressiva crescita della distanza dei calciatori dalle prerogative che hanno fatto del calcio lo sport più amato in Italia: il senso di appartenenza ad una società, il desiderio di essere protagonisti delle partite, il vivere emozioni che quasi nessun altro lavoro può garantire. Oggi sembra che il contratto, ed il rinnovo con adeguamento dello stesso, siano le uniche priorità di un calciatore. Si è sempre giocato per i soldi, sarebbe ingenuo credere e pensare il contrario, ma di pari passo è sempre contato anche il dove, il quanto e il come si giocava. Oggi pare che non sia più così. Giovani come Diawara del Bologna e Keita Baldé della Lazio che nemmeno si presentano in ritiro con le proprie squadre perché vogliono cambiare aria per avere più soldi. Ma alla loro età non conta di più giocare? Non conta  di più trovare continuità, sicurezza, maturare esperienza, vivere per tirare calci ad un pallone contando che già guadagnano quanto i loro coetanei non guadagneranno in una  vita di duro lavoro? Io sinceramente resto allibito da queste situazioni. Come anche quella di Pellè. Certo 38 milioni di euro sono una cifra a cui nessun essere umano direbbe di no, ma andarseli a guadagnare in Cina significa considerarsi a 31 anni un ex calciatore che appende di fatto le scarpette al chiodo per entrare in una sorta di "pensione anticipata". E poi per Pellè può valere il discorso della rivincita su chi non aveva mai creduto in lui in Italia, l'adesso rido io che vado a guadagnare come Messi alla faccia di chi mi ha costretto a suo tempo ad emigrare in Olanda. Ma sportivamente la sua rivincita l'aveva già presa guadagnandosi la Premier e la Nazionale: possibile aver perso già le giuste motivazioni, anche alla luce della figuraccia del rigore tirato contro la Germania agli Europei?

Soldi, troppi soldi e solo soldi. Questo è il limite del calcio di oggi. Un mondo dove i procuratori fanno il bello ed il cattivo tempo e dove Raiola si candida alla presidenza della Fifa…Non dico di tornare ai Riva, agli Antognoni o ai Pulici che rifiutarono i grandi club per essere idoli senza tempo delle loro amate squadre, ma almeno qualche Le Tissier in più sì che farebbe bene a questo calcio. Ci vorrebbe infatti qualcuno che scegliesse, come il talento inglese degli Anni Novanta che non volle mai lasciare il Southampton nonostante parecchie offerte faraoniche, più con il cuore e la testa che con il portafoglio e anteponesse il desiderio di essere titolare di una squadra di calcio a quello di essere semplicemente titolare di un ricco conto corrente. Ma questo calcio ostaggio dei soldi (e dei procuratori) da quell'orecchio proprio non ci sente.

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