Il Granata della Porta Accanto/ Se il terzino partirà sarà l'ennesima conferma che la società non è in grado di fare il salto di qualità trattenendo i migliori
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Darmian e questo Toro che non vuole crescere
Se il presidente Cairo "tenesse" al Toro quanto ha tenuto in passato a giocatori come D'Ambrosio, Ogbonna o Cerci, l'avrebbe già venduto! E' una battuta per sottolineare le dichiarazioni del patron granata fatte in settimana, dichiarazioni nelle quali ha detto di "tenere tantissimo" a Darmian. Siccome in passato dichiarazioni analoghe erano state fatte per i giocatori citati, ecco che la battuta nasce spontanea. Molti tifosi granata a seguito delle esternazioni presidenziali daranno già per venduto il terzino, visto che nonostante la stima e l'affetto di Cairo per i giocatori granata più richiesti dal mercato quelle vicende si sono sempre concluse con la cessione dei soggetti in questione. Ergo risulta difficile immaginare che questa volta il finale possa essere diverso. In realtà ciò che fa arrabbiare noi tifosi non è la cessione in sè stessa quanto ciò che c'è dietro. Darmian è stato preso molto giovane, si è creduto in lui, è cresciuto tantissimo, ha dato molto al Toro ed ha addirittura raggiunto la Nazionale risultando pure fra i migliori della purtroppo disastrosa spedizione azzurra ai Mondiali brasiliani. Oggi come oggi è il migliore nel suo ruolo in Italia e quindi da un punto di vista di mera gestione societaria venderlo in questo momento è perfettamente lecito e proficuo: un'operazione, nel complesso dei quattro anni di Matteo al Toro, da manuale.Il problema, se così vogliamo chiamarlo, è che il tifoso del Toro non riesce a concepire il Torino FC come un'Udinese qualunque (passatemi il paragone). I Darmian, gli Ogbonna, i D'Ambrosio, i Cerci, i Bruno Peres sono giocatori che dovrebbero rimanere, non essere venduti appena raggiungono la quotazione voluta. E' il limite che la storia del Toro impone alla testa dei tifosi, ma allo stesso tempo il peso del passato dovrebbe essere anche una fonte di ispirazione per chi oggi guida la società. Anche in passato tanti giocatori cresciuti nel vivaio o scoperti dalla società sono stati ceduti per esigenze di bilancio, tutti lo sappiamo e tutti ce lo ricordiamo. Non è questo il punto. Il punto è che oggi il progetto di crescita del Toro assomiglia di più a un business plan che ad un progetto sportivo. Se nel calcio di oggi affari e risultati viaggiano sempre più a braccetto, questo non significa che il Toro come squadra debba limitarsi a veleggiare nella media serie A, vendendo ogni anno i pezzi migliori e sperando di sostituirli con altrettante future galline dalle uova d'oro. Crescita sportiva significa creare un gruppo di calciatori che nell'arco di 3-4 stagioni alzi l'asticella delle proprie ambizioni. Ambizioni proporzionate al fatturato, per carità, per usare un termine caro al nostro Presidente, ma ambizioni che sappiano scaldare i cuori dei tifosi (che poi sono i "clienti" del business calcio ). Ecco perchè vendere Darmian a giugno (ma lo stesso si può dire di Maksimovic o Bruno Peres) significa fare un buon affare, ma seppellire ogni velleità di progetto sportivo. Darmian non è un campione che da solo cambia le sorti di una squadra, ma se metti in squadra undici Darmian, dall'ottavo-decimo posto, magari ti potresti ritrovare a lottare per un accesso alla Champions League: che vuol dire più soldi, più giocatori che vogliono restare e più soddisfazione da parte dei tifosi. Un'equazione semplice, ma difficile da mettere in pratica perchè per far partire il circolo virtuoso è necessario un progetto vero ed un investimento iniziale. E per investimento iniziale si intende anche solo non prendere soldi da una cessione importante come sarebbe quella di Darmian. Per ora cose del genere al Torino non si sono viste e la sensazione che si percepisce è quella di un Toro che non vuole crescere. Poi magari in estate Cairo ci stupisce tutti e non vende Darmian. Magari si accorge che "tenere tantissimo" a qualcuno o a qualcosa implica dei sacrifici. A volte pure economici...
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