Tra i tanti record positivi riscritti da Giampiero Ventura da quando è alla guida del Torino ce n'è purtroppo anche uno negativo che di sicuro non lascia indifferenti i tifosi granata: il maggior numero di derby persi in relazione a quelli disputati, cioè 8 su 9. Un numero impressionante se pensiamo, invece, a quanto positivo è stato l'impatto sulle sorti del club di Cairo da quando il tecnico genovese ne ha preso la guida tecnica. Inevitabile, alla luce della terza peggior sconfitta di sempre nelle stracittadine, chiedersi perché un allenatore che comunque, va ricordato, ha avuto il merito di aver fatto vincere un derby al Torino dopo un'astinenza ventennale, abbia in realtà raccolto solo insuccessi in questo tipo di partite.
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Derby, l’intransigenza di Ventura e quell’occasione sprecata
Io credo che la spiegazione risieda fondamentalmente nella sua estrema intransigenza tattica. Ancora nel dopopartita allo Stadium, Ventura ripeteva che anche questa sconfitta si inserisce nel percorso di crescita della squadra, ma le sue parole apparivano più una difesa d'ufficio di una prestazione indegna che una credibile chiave di lettura. Le otto precedenti sconfitte, al netto di errori arbitrali e sfighe assortite, dovrebbero aver insegnato a Ventura stesso che la tattica attendista non paga quando si affronta la Juve: bene la tranquillità nel gestire il pallone, ma ritmo e aggressività devono essere alti o alla lunga, pur non concedendo molto, si rischia di prendere gol. Ed infatti quasi tutte le vittorie della Juve sono state di misura, segno che, per quanto limitata, la vecchia signora ha sempre trovato di riffa o di raffa il modo di far male alla retroguardia granata. Piuttosto il dato inquietante è che oltre ad aver fatto solo quattro gol in nove sfide, i tiri nello specchio della porta degni di nota non superino complessivamente la decina: una realtà estremamente umiliante. In un percorso di crescita vero, un allenatore duttile avrebbe cambiato il canovaccio del piano gara: senza buttarsi allo sbaraglio avrebbe provato a far passare nella mente dei calciatori il messaggio che a costo di correre qualche rischio in più sarebbe stato meglio provare ad attaccare la Juve piuttosto che subirla e basta. A quanto pare non sempre chi predica crescita cresce imparando dai propri errori e l'ennesima intransigenza tattica del nostro mister, declinabile a vostro piacimento anche in mancanza di coraggio o in assenza di mentalità vincente, ha prodotto l'ennesimo derby non giocato. Con l'aggravante che questa partita rientrava in un apertamente dichiarato obbiettivo stagionale qual era l'andare il più avanti possibile in Coppa Italia.
Certo la delusione del momento forse ingigantisce meriti e demeriti dei protagonisti e quasi sicuramente una vittoria sull'Udinese domenica riporterà le cose sul giusto binario di equilibrio e buon senso, però lasciatemi dire che ancora una volta il mister ha perso una grande occasione di dimostrare di sapersi porre in empatia con l'ambiente granata (che dopo cinque anni dovrebbe aver imparato a conoscere sufficientemente...): gli bastava presentarsi ai microfoni e
chiedere umilmente scusa ai tifosi per la pessima figura. E tutti, anche i suoi detrattori più incalliti, avrebbero mostrato rispetto per una siffatta genuina esternazione. Purtroppo non è andata così, e per l'ennesima volta ha tirato in ballo la favoletta della crescita, difficile da digerire anche per il più assennato ed ottimista tra i tifosi. Dispiace, perché quando un figlio commette una sciocchezza generalmente gli si fa la paternale sul senso di responsabilità e sulla necessità di maturare, ma quando la combina davvero grossa, ed è sinceramente pentito, a volte un semplice rassicurante abbraccio vale più di mille prediche. Ecco, un semplice "scusate, abbiamo completamente sbagliato tutto, siamo senza giustificazioni" avrebbe meritato quel caldo abbraccio che avrebbe reso meno difficile per tutti, tifosi e giocatori, voltare pagina.
194 panchine ed una sconfitta epocale non sono bastate per arrivare a tanto. Per fortuna c'è tempo e modo di rifarsi, ma a volte non sono solo i numeri a far entrare nella storia le persone, quanto i modi e il saper parlare al cuore della gente. Mister, le fischiano le orecchie?
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