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Derby? Quale Derby?

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Il segno dei tacchetti / Ha davvero senso caricare di aspettative una sfida che non ha più il significato e il valore che aveva decenni fa?
Diego Fornero

Ci risiamo: è iniziata quella settimana là. Quella che conduce al Derby della Mole, quella in cui il Toro ospiterà al “Grande Torino” la squadra attualmente più forte in Europa, con il giocatore più decisivo al mondo e altri due o tre che potrebbero tranquillamente posizionarsi nella top ten del meglio che possa offrire oggi il gioco del calcio su scala globale.

Me ne rendo conto, non è una descrizione molto romantica, ma siamo quasi nel 2019 e quella che andrà in scena sabato sera è la sfida tra una squadra della parte alta del tabellone (che bello poterlo dire!), che attualmente sta lottando – magari anche un po’ per caso, ma godiamocela – per la qualificazione in Europa League, e una squadra che, di fatto, a ottobre aveva già chiuso qualsiasi discorso per lo Scudetto, semplicemente vincendo ogni partita e pareggiandone una per caso, giusto per confermare la legge dei grandi numeri.

Voi direte: e questo cosa c’entra? Il Derby è sempre il Derby, si affrontano le due squadre della città e in palio c’è molto di più dei tre punti. Si, vero, formalmente tutto vero. Ma ha ancora senso parlare di sfida cittadina contro un Club che ha sedi in ogni parte del mondo, che dispone del giocatore più globale che sia mai esistito, che riempie palazzetti e stadi negli USA come in Asia e che basa tutta la propria strategia di marketing sull’internazionalità e che di torinese, parliamoci chiaro, a parte sede e proprietà (ma neppure, visto che l’EXOR, cassaforte di famiglia, ha sede legale e fiscale in Olanda), ha poco o nulla?

Sia chiaro, nessuna partita ha avuto il fascino del derby in passato e, virtualmente, lo ha tuttora. Ma in questo Toro che ha cambiato fisionomia, personalmente, piuttosto che creare un’attenzione spasmodica su questa partita, trovo molto più significativo vedere una squadra che in campo se la gioca alla pari (o quasi) con tutte le altre big, l’Inter, il Milan, la Roma, il Napoli… Le cosiddette grandi del nostro calcio che hanno ancora una parvenza umana, che si concedono ancora alti e bassi, come è nella normalità delle cose.

Caricare di aspettative eccessive una partita così, contro una squadra oggettivamente fuori portata per chiunque, è metodologicamente sbagliato. Questo non significa rinunciare a giocare, anzi: questo significa avere la consapevolezza che siamo di fronte ad una partita importante, quasi fosse una “wild card” per confrontarsi coi più forti in circolazione, ma  che non deve e non può portare a psicodrammi in caso di risultato negativo, proprio come accade per tutte le altre di Serie A, che inevitabilmente contro la Juventus non hanno potuto fare altro che alzare bandiera bianca.

Sabato sera voglio vedere un Toro attento, ordinato, preciso e sportivamente aggressivo, come quello che si è visto – a tratti – a San Siro: non un Toro isterico, nevrotico, che affronta la partita come si trattasse di una battaglia con la vita o la morte in palio, né tantomeno un Toro che ha caricato con tale pathos la vigilia da trovarsi poi a scendere in campo con le gambe che tremano.

“Normalizzare”la partita, vederla per quello che è, e non per quello che è stata decenni fa e che inevitabilmente – salvo l’ingresso in scena di sceicchi o oligarchi – non potrà mai più diventare: questa è l’unica via di affrontare nel modo giusto quello che continuiamo a chiamare derby più per ossequio alle tradizioni che per effettiva corrispondenza alla realtà. Ci riusciremo, in campo, sugli spalti, al bar e sugli schermi degli smartphone? Lo scopriremo sabato sera al triplice fischio.

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