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columnist
Quando domenica ho visto il Toro scendere in campo al Bentegodi, ho subito cercato con gli occhi Avelar, chiedendomi cosa gli potesse frullare in mente in quel momento, appoggiando i piedi sull’ultimo prato di serie A toccato tanto, tantissimo tempo fa, e abbandonato in barella. Era il settembre del 2015. Scontro con Siligardi, un infortunio che lo ferma per qualche settimana. No, un paio di mesi. Lavora alacremente per recuperare ed eccolo tornare ad allenarsi con la Primavera. Ma qualcosa non funziona. Il ginocchio di Avelar, non funziona.
Sono passati sei mesi dal dolore di quel Verona-Toro, è il febbraio del 2016, e per Avelar è di nuovo tempo di spasmi: violento trauma distorsivo. È necessaria un’operazione, i legamenti del ginocchio sono lesionati. Un bollettino medico terrificante, e Avelar sa esattamente quanto, sia terrificante, la stessa diagnosi l’aveva già sentita nel 2011, quando giocava in Ucraina nel Karpaty.
Allora passarono dei mesi per recuperare, allora tornò in Brasile per non perdere fiducia e puntare tutto sulla riabilitazione. E nel 2016, torna a farlo.
Il 29/09/2016 è Molinaro a infortunarsi gravemente per la rottura del crociato, tutti aspettano di vedere finalmente Avelar, ma non sarà lui a sostituirlo, il ginocchio di Avelar ancora non risponde come dovrebbe e a scendere in campo è Barreca. Un Barreca in piena fioritura che può solo arricchirsi vicino a un terzino solare come Avelar. Luce, per determinazione prima ancora che per professionalità e tecnicismo. Ma innegabilmente sfortunato, Avelar. Così sfortunato che a gennaio di quest’anno, quando le sue condizioni fisiche sembrano finalmente permettergli un rientro nel gruppo Toro, la sofferenza lo riagguanta. Stavolta si chiama distrazione del muscolo adduttore della coscia destra, la sofferenza. Fermo, un mese come minimo.
Ma Avelar è uno che di fiducia nella vita ne ha parecchia ed eccolo, finalmente, il 23 aprile 2017 infilare la maglia del Toro – la blu toro – e affrontare il Chievo.
Ero ansiosa io, chissà lui.
Avelar è nato a Paranavai, un paese del sud-Brasile che conosce alla perfezione la povertà, è lì che si allena ad avere fiducia. Anche a Natale si è allenato, organizzando una colletta alimentare e una sfida calcistica benefica che contrapponeva gli “amici di Avelar” agli “amici di Zeca” (terzino del Santos, anche lui di Paranavai).
Io sto con gli “amici di Avelar” e Danilo, contro il Chievo, mi è piaciuto parecchio!
Mancava da 46 partite in campo, ma il Chievo non l’ha notato. Avelar ha difeso, ha attaccato, ha crossato. Proprio quello che faceva così bene al Cagliari.
E ora il Toro è pronto ad affrontare chi lo sta aspettando.
Se domenica passata, a Zappa, due linee di temperatura hanno determinato quel missilistico gol, speriamo nel febbrone del sabato sera, contro la Samp.
E contro la juve, che l’energia di Superga e l’entusiasmo per il Fila, ci spingano ad andare oltre.
Il Presidente dice che a questo Toro dà otto, e contro il Chievo ci può pure stare.
Che lo confermi in ognuna delle cinque partite che mancano, l’otto. A partire dalla Samp.
MARIA GRAZIA NEMOUR - Mi sono laureata in fantascienze politiche non so più bene quando. In ufficio scrivo avvincenti relazioni a bilanci in dissesto e gozzoviglio nell’associazione “Brigate alimentari”. Collaboro con Shakespeare e ho pubblicato un paio di romanzi. I miei protagonisti sono sempre del Toro, così, tanto per complicargli un po’ la vita.
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