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columnist
Ieri a fine partita mister Mazzarri ci ha offerto uno straordinario esempio di comunicazione inefficace e cultura dell’alibi:
“L’arbitro non ci ha permesso di esprimerci in undici contro undici e giocarcela fino alla fine: l’espulsione è stata ingiusta, quello su N’Koulou era fallo per noi. E c’era anche un rigore su Belotti. La Spal ha un pubblico importantissimo che condiziona le scelte degli arbitri….Fare tante vittorie di fila non è facile. Noi non siamo Barcellona o Real Madrid che vincono tante partite di fila…Volevo mettere Iago, li volevo far stancare e mettere magari anche Berenguer al posto di De Silvestri. Addirittura dopo l’espulsione ci siamo messi a quattro per tentare di vincerla. L’arbitro con questa espulsione ingiusta ha dato coraggio all’avversario”.
Vogliamo provare a fare un esempio di comunicazione efficace e cultura della responsabilità?
“Abbiamo fatto pochissimo. Se si vuole andare in Europa bisogna osare, attaccare, tirare in porta. Mi assumo ogni responsabilità della sterilità offensiva che ci sta impedendo di schiodarci dal centro classifica. Sta a me trovare nuove soluzioni per risolvere il problema. Oggi salvo solo la sicurezza con cui abbiamo mantenuto i nervi saldi quando siamo rimasti in dieci, ma anche con un uomo in meno dovevamo osare maggiormente. Siamo il Toro, vogliamo andare in Europa e per farlo devi iniziare a vincere qualche partite di fila. Se anche oggi abbiamo fallito l’esame di maturità, la colpa non è di certo dell’arbitro o del tifo avversario: è soltanto nostra, in primis mia che di questa squadra sono l’allenatore”.
Ripeto, è solo un esempio per rendere l’idea.
Ieri abbiamo visto la versione peggiore di mister Mazzarri: pauroso in campo e lamentoso ai confini dell’assurdo nel post-partita. In campo ha rinunciato al tridente, ha schierato una formazione difensiva in una partita che era da vincere a tutti i costi (di fatto un 5-3-2 con tutti gli uomini di maggior qualità in panchina), ha per l’ennesima volta costretto Belotti a fare il mediano, ha confermato che la sua squadra non è in grado di tirare in porta più di un paio di volte a partita e ha nuovamente convocato Millico per lasciarlo in panca (tra l’altro la mancanza del ragazzo inizia a farsi sentire anche in Primavera, l’unica squadra che quest’anno può regalarci soddisfazioni. Se lo convoca, anche alla luce delle prestazioni di Zaza, gli conceda fiducia, altrimenti lo lasci a Coppitelli).
E’ però fuori campo che ieri Mazzarri ha dato il peggio di sé con affermazioni che farebbero accapponare la pelle a qualsiasi esperto di comunicazione. Invece di focalizzarsi sulle proprie responsabilità, si è scatenato in una feroce ricerca dell’alibi scomodando l’arbitro, facendoci credere che non abbiamo giocato a Ferrara ma al Maracanà di Belgrado o al Bernabeu e affermando che, non essendo il Barcellona, non si può chiedere al Toro di vincere due partite di fila.
Se di mestiere si fa l’allenatore, è fondamentale sapere che il linguaggio è l’arma più potente di cui dispone un “team leader” per condizionare comportamenti e stati d’animo del gruppo. E’ necessario usarlo nel migliore dei modi sapendo che la comunicazione vincente è quella che esprime pensieri precisi, positivi, rinforzanti e, soprattutto, refrattari a qualsiasi alibi (pubblico, arbitro, meteo, campo pesante, infortuni ecc).
L’alibi è un veleno letale; l’alibi ammoscia, l’alibi deresponsabilizza, l’alibi ti consente di pensare che le cose non dipendono da te, che la colpa è sempre degli altri. L’alibi non ti spinge a migliorare, ad alzare l’asticella, a raschiare il fondo del barile alla ricerca delle residue energie per superare l’ostacolo. Tuo figlio fatica a scuola? Vuoi fargli del male e crescere un imbecille? Invece di inchiodarlo alle sue responsabilità e invitarlo a tirare fuori tutto ciò che ha, digli che la colpa è dei professori.
Le parole che scegliamo condizionano non solo noi stessi, ma anche i nostri interlocutori. La questione è fondamentale: le parole sono la nostra realtà, il modo in cui attimo per attimo ci raccontiamo cosa sta accadendo dentro e attorno a noi. Insomma, dimmi come parli e ti dirò chi sei. Parole come “speriamo”, ad esempio, sono autogol se riferite al raggiungimento di obiettivi sotto il nostro controllo perché deresponsabilizzano e spostano il focus da noi al mondo esterno. Va bene “sperare” che domani ci sia il sole perché abbiamo organizzato una gita al mare o che quest’anno nevichi perché ci piace sciare, va bene sperare ogni volta che ci riferiamo a qualcosa di estraneo alla nostra sfera di controllo. Non va affatto bene “sperare” quando il protagonista dell’evento siamo noi, quando dobbiamo superare un esame, quando vogliamo diventare un calciatore più forte o un genitore migliore. Altro che sperare, dobbiamo attivarci affinché le cose vadano nella direzione desiderata.
Lucidità, autocritica, capacità di prendersi le responsabilità, mentalità vincente… Al Toro, a ogni livello, non vedo nulla di tutto questo.
Marco Cassardo, esperto in psicologia dello sport e mental coach professionista. E’ l’autore di “Belli e dannati”, best seller della letteratura granata
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