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columnist
di Guido Regis
E’ ostico per me scrivere o parlare limitandomi ad esprime opinioni senza avere una ragionevole certezza di non sbagliare, senza poter fare riferimenti a fatti compiuti, magari volutamente trascurati o nascosti, ma comunque evidenti.
E’ forse per questo che in questo periodo dell’anno fatico. Non esiste un vertiginoso ripetersi di comportamenti in campo e fuori, decisioni palesi, accadimenti eclatanti che permettono di analizzare settimanalmente in modo critico le situazioni ed esprimere analisi di fatto, di sostanza, razionali.
Da presuntuoso quale vengo disegnato da alcuni ( presumere è una parola con chiaro significato in italiano, azzeccare più volte previsioni apparentemente difficili o azzardate, non ultima la direzione di Rizzoli con il Brescia, non si sposa con la presunzione e nemmeno con il culo ma chiaramente con qualcosa d’altro che comprensibilmente infastidisce i veri presuntuosi, ma va bene così) amo scrivere di sostanza, visto che, ahimè, sono diventato anche uomo di panza.
Ora tuttavia di fatti ne sono accaduti sui cui impegnarsi in una riflessione ed allora ci provo, sperando di non turbare troppo la suscettibilità di chi è avvezzo ad infastidirsi per quanto scrivo.
Concluso l’ennesimo disperato campionato del nostro Toro la priorità era la scelta di un nuovo allenatore. Visto che le strade di Camola e Cairo erano già da tempo divise e che la promozione di Antonino Asta in prima squadra poteva rappresentare un azzardo per allenatore e società, tutti abbiamo sperato in un segno di continuità con il nuovo corso che aveva visto portare nel Toro figure bene o male già rappresentative nella storia di questa società. Dopo un primo momento di “sofferenza” durante il quale sono girati alcuni nomi non del tutto graditi e direi anche non consoni, la scelta di Lerda e Destro è stata un primo segnale positivo. Il nuovo allenatore del Toro, da molti amato per lo storico rifiuto allo scambio di maglia con Brio accompagnato da pubblico e “tremendistico” commento nel motivare la scelta, ha anche dimostrato qualcosa nel suo recente curriculum professionale, per cui è sembrato un buon viatico. Posto il primo tassello si doveva ricomporre la rosa, cercando di recuperare alcune pedine importanti della squadra “new age” della stagione appena conclusa.
Ebbene D’Ambrosio prima e Garofalo più tardi sono tornati. Nel frattempo è iniziato il pianto implorante della tifoseria affinché il più bel Capitano degli ultimi anni, dato per sicuro partente insieme con gli altri pochi prezzi pregiati e appetiti sul “ mercato” ( Sereni, Ogbonna e se vogliamo anche Rubin), rimanesse.
Avrei voluto uscire in quei giorni con una affermazione forte: “una società che veramente vuole ripartire per ricostruire non può prescindere dall’uomo simbolo del momento”.
Ho desistito, temendo di dover commentare in breve tempo una decisione palesemente sbagliata e contraria allo spirito promesso dal Presidente e soprattutto da Petrachi.
Sta di fatto che progressivamente, forse per l’affetto spaventoso dei tifosi, forse per l’estrema serietà di Rolando, forse perché i tempi sono cambiati e tutte le società faticano a tirare fuori milioni di euro, forse perché effettivamente in società ci sono finalmente uomini ( ancora pochi ma meglio che nulla) che sanno di calcio ma soprattutto di Toro, forse per tutte queste cose insieme, pare ormai scontato che l’anno prossimo a Superga a leggere i nomi degli Invincibili ci sia per la seconda volta consecutiva Bianchi ( e tocco tutto quanto di ferro mi stia ad immediata portata di mano ).
Quindi al momento il solo sacrificio di Sereni, tra i pezzi “pregiati”, rappresenta a mio modesto modo di vedere un altro buon segnale; necessità di fare cassa, anni, condizione fisica e l’arrivo di un portiere nuovamente a costo zero, che è subito entrato con merito nel cuore della tifoseria, hanno influito su questa decisione a mio parere lungimirante. Poi i movimenti di mercato si sono per certi versi arenati. Vivo anche come positivo il fatto che da subito siano state date delle indicazioni da Petrachi, quali il fatto che gli indesiderati non sarebbero comunque più entrati nel progetto, così come che alcuni “anziani” dimostratisi utili ma discontinui e fragili, come Pestrin ed Antonelli, non sarebbero stati riportati alla corte di Lerda.
Confido in un convinto ed estremo tentativo nel provare a reclutare nuovamente Scaglia.
Se vogliamo posso anche condividere che il nuovo modulo probabilmente consentirà un recupero delle qualità di Belingheri. Le nuove figure che sono state inserite nell’organico sembrano sposarsi con un progetto di ringiovanimento atletico, ma non ho i mezzi per esprimere giudizi, anche in considerazione del fatto che come al solito la sfiga ha pensato bene di intervenire mettendone KO già due.
Mi piace e spero che si confermi la permanenza di Rubin ed il ritorno di Elvis.
Bisogna a questo punto analizzare il presunto fattaccio Benedetti. La notizia mi ha nell’immediato “sanguignamente” colto con la stessa reazione del mitico Mario Patrignani, improvvisamente riavvicinatosi alle frange più estreme, ormai ex filo Cairote, della tifoseria.
Poi ho ascoltato pareri di altri tifosi, ho valutato la situazione e mi sono reso conto che il disastro era già stato fatto tempo addietro.
In fondo questa manovra di Petrachi non è stata che un tentativo per mettere una pezza, non so se l’unica possibile ma certamente non così da sprovveduto, al danno già fatto.
Benedetti è perso definitivamente, salvo non si dimostri improvvisamente un brocco, cosa di cui dubito assai.
Probabilmente ingaggiarlo in prima squadra sarebbe stato un rischio eccessivo per lui e per la società, anche se io avrei scelto, forse emotivamente, quella strada.
Una grandissima amarezza resta e resterà per molto, pur avendo questo comportato in cambio la certezza che anche Ogbonna per quest’anno non se ne andrà.
Quanto successo con Benedetti si sposa con la difficoltà estrema nel piazzare gli indesiderati e conseguentemente a muovere il mercato in entrata del Toro.
Si ripropone il problema sollevato da tutti i tifosi in questi anni, incredibilmente solo tardivamente e parzialmente colto dal Presidente.
“Distruggere è facile ma ricostruire è difficile” diceva un personaggio importante per quanto disastroso della storia italiana e mondiale, le cui decisioni si sono dimostrate di fatto nefande e nefaste, ma che era avvezzo ad aforismi banali, pertanto estremamente veri ed efficaci nonché di uso comune.
E’ qui il punto. Quanto sta accadendo ora, quanto sta facendo Petrachi ( con tutti i limiti umani e pertanto anche di possibile fallibilità), non è che il tentativo estremo, ormai senza capitali, di recuperare in qualche modo il disastro compiuto in questi quattro anni, completatosi con la gestione di Foschi che ci ha regalato altre vecchie zavorre strapagate, stracostose, di discutibile talento e comportamento, che nessuno più vuole se non in regalo e forse nemmeno così.
Gestione che non ha investito, non solo economicamente ma anche come strategia, sul settore giovanile, sugli osservatori (ora è arrivato un capo degli osservatori dal Manfredonia?!, ma è praticamente capo solo di se stesso).
Sarebbe stato sufficiente rinnovare il contratto l’anno scorso a Simone Benedetti, senza dissanguarsi, per avere oggi questo talento cresciuto in casa ancora a disposizione o per gestire in modo diverso e più proficuo la comproprietà con l’Inter.
E’ inutile che Comi e Benedetti provino ogni volta a gettare acqua sul fuoco, nascondendo o mentendo sui reali problemi che ci sono stati ed ancora ci sono su quel fronte.
Le cose si sanno, punto.
Loro ed Antonino Asta hanno fatto e probabilmente continueranno a fare miracoli, semplicemente grazie alla grande competenza e abnegazione che li contraddistingue, aiutati solo dal fascino che, grazie a Dio, riscuote ancora la maglia Granata tra i giovani.
Ora le cose sono in mano a Petrachi.
E’ in gamba ma ha pochi mezzi ed è anche sostanzialmente ancora troppo solo; questo può rivelarsi controproducente.
Alcune decisioni collaterali, ma non troppo, sulle quali mi soffermerò magari in un altro articolo, nascondono se non altro un’inevitabile superficialità su alcuni fronti.
C’è di positivo che tutto il calcio sembra finalmente, seppur tardivamente, cambiare.
Era impossibile non prevedere che prima o poi tutto questo denaro “fittizio” che girava e gira ancora in questo mondo, avrebbe fatto implodere il sistema, come è avvenuto per l’economia mondiale.
C’è da augurarsi che il momento storico aiuti un po’ il nostro Toro.
Se meglio gestito dal fortunatissimo Cairo del 2006, oggi si troverebbe improvvisamente ad essere una delle squadre più sane, forti e ricche della serie A.
In questa situazione possiamo invece solo ragionevolmente credere e sperare che, grazie a qualche altro colpo da maestro di Petrachi e confidando sul granatismo competente di Lerda, Ferri, Asta, Comi, Benedetti e Destro ( più altri eroi meno noti) anche quest’anno proveremo con qualche seria possibilità a risalire l’A china.
Guido RegisPresidente del Toro Club C.T.O. Claudio Sala
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