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columnist
Passano gli anni ma, in primavera inoltrata, certe scene al Grande Torino si ripetono immancabilmente uguali e sistematiche, come le migrazioni delle rondini. Quando il campionato volge al termine, da bravi sparring partner, adempiamo al nostro ruolo di vittime sacrificali e vediamo le altre squadre venire a prendersi sul nostro campo tre punti tutto sommato facili e le altre tifoserie festeggiare. È successo con la Lazio, potrebbe succedere con la Spal (non importa qual è l'obiettivo, raggiungerlo fa godere comunque), successe gli anni passati col Napoli, addirittura col Genoa una decina di anni fa.
È una cosa a cui non ci si fa mai il callo, come quando nel silenzio dell'intero stadio esplode quell'urlo sordo nel settore ospiti nell'attimo in cui segnano gli avversari: è uno di quei “rumori” che si sono sentiti (ahimè) tante volte, ma ai quali non ci si abitua proprio e che si vorrebbe non voler mai udire. Eppure è così. È toccato ai laziali domenica sera celebrare una qualificazione alla Champions quasi certa. Ed è toccato a me pensare: “Ma quando capiterà a noi?”. Poteva essere a Firenze quattro anni fa, ma Cerci pensò bene di privarsi e di privarci di questa magnifica sensazione. Ma va bene così, è una ruota che gira, sebbene sembri più una ruota di roulette sulla quale non esce mai il nostro numero…
La fortuna c'entra eccome, ma spesso non basta solo quella. Occorre attirare la buona sorte allestendo squadre seriamente competitive, creando solidi presupposti per una strada di successi. Mi chiedo se il nervoso nel vedere lo spicchio biancoceleste del Grande Torino godere sia lo stesso provato dal presidente Cairo nell'osservare la soddisfazione sui volti di Tare e Lotito. Perché con fatturati e budget simili, Toro e Lazio hanno dimostrato in questo campionato (e nel recente passato in generale) di essere su due piani differenti. Se con Juve, Napoli, Roma, Inter e Milan non c'è competizione a livello economico, con Lazio, Fiorentina, Atalanta e Sampdoria il divario è minimo, spesso a nostro vantaggio, eppure ci sono avanti in classifica: casualità? Fortuna? Sarebbe da sciocchi anche solo pensarlo. Lo scudetto delle squadre normali ormai in Italia è il sesto posto, cioè la seconda posizione che garantisce l'Europa League. A quella si può ambire con le proprie forze. Di più è quasi impensabile a meno di stagioni straordinarie tipo quella dell’Atalanta l'anno scorso (e con la ripartizione dei posti Champions in vigore da quest'anno sarebbe stata nella coppa maggiore). Il quinto posto è l’inferno delle cosiddette big, il sesto il paradiso di tutte le altre.
Allora fatte queste considerazioni viene da chiedersi: il decimo posto di adesso equivale al quinto degli Anni Ottanta? Se la risposta è si, siamo in linea con i risultati medi di quegli anni dove però, attenzione, ci furono anche dei picchi da secondo posto. Se la risposta è no, allora qualcosa va fatto, a maggior ragione, per innalzare il livello dei risultati sportivi di questo Toro. Vivacchiare resta sempre la peggiore delle ipotesi. Il campionato da decimo/quattordicesimo posto sarebbe anche ammesso se in parallelo la società dimostrasse di costruire qualcosa di serio e duraturo spostando le risorse economiche dalla prima squadra ad altre aree (infrastrutture, settore giovanile, rete di scouting, ecc.). Il problema attuale, purtroppo, è che così non è. Vediamo gli altri festeggiare, ma non gettiamo realmente le basi per festeggiare noi, un giorno. Sadbuttrue, triste ma vero, cantavano i Metallica. Il sogno di diventare come l’Atletico Madrid che nonostante l'ingombrante presenza cittadina del Real riesce a raggiungere finali europee e titoli nazionali sembra più una chimera: piuttosto siamo destinati a diventare più simili all’Espanyol, ormai schiacciato dalla potenza del Barcellona. Che poi lo so anch'io che tutti questi paragoni lasciano il tempo che trovano: a noi basterebbe tornare ad assomigliare al Toro ed avremmo risolto gran parte dei problemi.
Da tempo opinionista di Toro News, dò voce al tifoso della porta accanto che c’è in ognuno di noi. Laureato in Economia, scrivere è sempre stata la mia passione anche se non è mai diventato il mio lavoro. Tifoso del Toro fino al midollo, ottimista ad oltranza, nella vita meglio un tackle di un colpo di tacco. Motto: non è finita finchè non è finita.
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