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Fairplay, lettera aperta all’UEFA: il caso inglese, dai primi sponsor alla Borsa (Parte 3)

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Riceviamo e pubblichiamo / Continua l'analisi di Anthony Weatherill, nipote dello storico allenatore del Manchester United Matt Busby: in questa terza puntata, la nascita degli sponsor e la situazione inglese
Redazione Toro News

Riceviamo e pubblichiamo - in 6 parti - la lettera aperta di Anthony Weatherill, nipote del grande Matt Busby, indimenticato allenatore del Manchester United dal 1945 al 1969 (con cui vinse 13 trofei, tra cui una Coppa dei Campioni) e che sopravvisse al disastro aereo di Monaco del 1958, nonostante le gravi ferite risportate.

In questa lunga e interessante lettera aperta, redatta con la collaborazione del tifoso granata Carmelo Pennisi, noto scrittore (sua la sceneggiatura del film "Ora e Per Sempre", dedicato al Grande Torino), Weatherill manda un messaggio di speranza all'UEFA, parlando delle origini del calcio, e della morte del fairplay così come era inteso agli albori di questo sport. Partendo dal caso Neymar/Mbappé, Weatherill si addentra in un analisi che va a ritroso del tempo, fino alla radice del problema, mettendo in evidenza i reali autori dell'attuale deriva del football.  In questa terza parte, Weatherill si sposta in Inghilterra, spiegando dove, come e perché sono nati i cosiddetti sponsor tecnici.

"Da quando nel 1858 furono fissate le Sheffield Rules (le regole di Sheffield), le istruzioni basilari che rendono le partite di calcio uguali in tutto il mondo, niente aveva mai prevaricato un percorso ordinato e coerente di quel che si dice sia il gioco più bello del mondo. Anzi, tutto era sempre apparso eccessivamente conservatore nella gestione delle varie competizioni, fossero quelle dei club o delle nazionali.

Un giorno cominciarono ad apparire dei curiosi geroglifici e disegni sulle maglie ufficiali dei club: erano i loghi dei cosiddetti sponsor tecnici. Apparve a tutti subito un buon affare quello degli sponsor tecnici, aumentavano gli introiti dei club essendo invasivi in modo accettabile nelle maglie ufficiali. Un piccolo passo porta sempre ad un altro passo, ed ecco che dopo poco tempo marchi di sponsor esterni al mondo dello sport campeggiare in modo orizzontale lungo tutta la parte anteriore delle maglie dei club. Questo mercato pubblicitario ebbe il suo sviluppo sul finire degli anni 70 e il suo definitivo affermarsi negli anni 80. I tifosi, quelli che venivano da cento anni e più di maglie che erano sacre come una bandiera e quindi intoccabili (potete immaginare il logo di una nota marca di birra al centro della “union jack”?), all’inizio cercarono di protestare ma, come sempre, vennero zittiti con analisi di tipo terroristico. I club, secondo alcuni autorevoli (sic) analisti, erano pericolosamente seduti su bilanci pieni di debiti e rischiavano la bancarotta, ma grazie a questi nuovi sponsor il pericolo era scongiurato. Il sacrificio di vedere la maglia occupata da una scritta pubblicitaria in fondo era accettabile, pur di continuare a vedere i nostri undici eroi scorazzare sui prati verdi dei nostri stadi.

Sarebbe istruttivo curiosare nel bilancio del 1979 del Liverpool, per verificare quale urgenza ebbe il club di Anfield Road di apporsi sulle maglie il nome di una nota fabbrica di materiale elettronico. Molti sarebbero sorpresi nello scoprire come il Liverpool Football Club non sedesse su una montagna di debiti. Ma i tifosi è facile prenderli in giro nelle loro paure, siamo tutti degli innamorati senza riserve. Nella maggior parte dei casi, noi tifosi, siamo trattati come dei clienti affetti da dipendenza. Come è stato convenientemente facile, per i padroni delle società di calcio,  confondere l’amore per una semplice droga. Nel 1983 avvenne anche la prima quotazione di una società di calcio in borsa, quella del Tottenham, e poi ci furono le sempre più fruttuose rendite derivanti dalla vendita dei diritti televisivi. Era chiaro che il mondo del calcio si stava sempre più assumendo la forma di una grande holding finanziaria. Il costo dei biglietti per vedere una partita allo stadio, nonostante la concorrenza dell’evento televisivo, continuava a lievitare verso l’alto.  Tutto ciò che si faceva, e si fa, doveva generare utile. I padroni delle società si giustificavano con i costi di gestione sempre più pesanti, aggravati, a partire dal 1995, dalle conseguenze della legge Bosman. Tutti questi cambiamenti epocali non fanno smettere i soliti autorevoli commentatori di continuare a dire che il calcio continua ad essere uno sport eccessivamente conservatore. E’ un classico caso di scuola di psicologia clinica: bisogna sempre colpevolizzare la vittima(in questo caso il calcio), per continuare a fare passi in avanti. Passi in avanti che, come abbiamo visto, sono cominciati sul finire degli anni settanta. Tutto è servito per scompaginare il campo e far dimenticare la cosa più importante che si trova alle origini del calcio: il fairplay "(continua)

Anthony Weatherill / Carmelo Pennisi

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