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columnist
Riceviamo e pubblichiamo - in 6 parti - la lettera aperta di Anthony Weatherill, nipote del grande Matt Busby, indimenticato allenatore del Manchester United dal 1945 al 1969 (con cui vinse 13 trofei, tra cui una Coppa dei Campioni) e che sopravvisse al disastro aereo di Monaco del 1958, nonostante le gravi ferite risportate.
In questa lunga e interessante lettera aperta, redatta con la collaborazione del tifoso granata Carmelo Pennisi, noto scrittore (sua la sceneggiatura del film "Ora e Per Sempre", dedicato al Grande Torino), Weatherill manda un messaggio di speranza all'UEFA, parlando delle origini del calcio, e della morte del fairplay così come era inteso agli albori di questo sport. Partendo dal caso Neymar/Mbappé, Weatherill si addentra in un analisi che va a ritroso del tempo, fino alla radice del problema, mettendo in evidenza i reali autori dell'attuale deriva del football. In questa quarta parte, Weatherill continua ad analizzare l'evoluzione del calcio inglese, focalizzandosi sul caso Manchester United.
"Nella struttura etica degli studenti dei college inglesi dell’epoca vittoriana, era assolutamente impensabile non operare all’interno di un gioco leale. Loro, gli studenti, erano la futura classe dirigente dell’impero, e all’idea dell’impero, e a quanti si erano sacrificati per esso, era proprio la lealtà che dovevano come principio morale erto a bussola di tutte le attività. Si poteva e si doveva tendere alla vittoria (l’ambizione era assolutamente una qualità morale!), ma questa se arrivava, doveva arrivare in un assoluto rispetto delle regole che garantiva le stesse opportunità a tutti i contendenti. Ciò era importante, appunto perché come futura classe dirigente sentivano l’obbligo di dover dare l’esempio. Non importa la condizione sociale a cui si appartiene perché, come ho ricordato nella citazione della Magna Charta, tutti dobbiamo avere dei doveri e dei diritti di fronte alla legge. E la legge, quindi le regole che la compongono, devono essere frutto di un percorso condiviso.
La Magna Charta ci ricorda che nessuno, fosse per diritto derivante dal divino o per diritto derivante dal denaro, può prevaricare sul percorso condiviso. Solo questo percorso, come si è detto all’inizio di questa lettera, può generare cose giuste persino dal caso. E questo lo voglio ribadire con forza, con tutta la forza che mi è rimasta. Ma è proprio in Inghilterra, nel 2005, che per la prima volta i tifosi hanno la netta sensazione di aver perso contatto con la propria squadra e la sua storia. Sto parlando, e con molta sofferenza, dell’acquisizione, attraverso un’azione di leveraged buyout(cioè l’acquisto di una società scaricando il debito dell’acquisto sul bilancio della società stessa), del Manchester United (squadra di cui sono tifoso da quando sono nato) da parte della famiglia Glazer. Le casse del Manchester United, fino a quel momento più che floride, vengono svuotate e appesantite di un debito monstre da questa famiglia influente dello stato di New York, proprietaria anche di una squadra di baseball. Da quel momento i Glazer importano in Europa la logica americana di una società sportiva vista più come “franchigia” che come “club” di logica europea. La franchigia ha come scopo principale, essendo una compagnia privata totalmente svincolata da un territorio e dalla sua storia, non di assicurarsi risultati sportivi ma lucrosi profitti. Tutto, nel mondo ideale della franchigia, diventa merce da vendere, persino le amichevoli precampionato. Ecco quindi la mia squadra del cuore nei mesi estivi di preparazione andare in giro per il mondo,in cambio di costosi gettoni di presenza. La squadra che era diventata la seconda pelle di mio zio Matt, ormai è diventata più un marchio pubblicitario(si vendono persino oggetti di biancheria intima con il marchio dei “red devils”), che il simbolo sportivo di buona parte della comunità mancuniana.
E noi tifosi abbiamo dovuto subire tutto questo, senza avere nessuna possibilità di reagire. La filosofia della franchigia ha portato i prezzi dei biglietti dell’Old Trafford (la casa del Manchester United) ad oltre 100 sterline, svuotando lo stadio dalla classe operaia e proletaria di Manchester. Non è questo il futuro che Matt Busby aveva prefigurato per il “Teatro dei Sogni” (così viene chiamato lo stadio Old Trafford). Il Teatro dei Sogni di Matt Busby non doveva essere una macchina mangiasoldi, ma un posto dove la gente potesse essere, almeno per un attimo, felice. Anche con poco. A questo sogno lui ha dedicato tutta la sua vita e tutto il suo dolore per la perdita nella tragedia di Monaco dei “Busby Babes”. Inorridirebbe, zio Matt, vedendo uno United ormai diventato un “corporate football” più che un club sportivo. Una corporate football che in dodici anni ha creato un debito di quasi 600 milioni di euro sul bilancio del club e un guadagno, stimato per molto difetto, di oltre cento milioni di euro (dati della borsa di New York) per la famiglia Glazer. I proprietari dello United sono da anni proprietari, come ho detto, anche di una squadra di baseball, lo sport americano per definizione. Nel baseball, come in tutti gli sport professionistici made in USA, sono delle regole ferree, e che non possono in nessun modo essere trasgredite o derogate, che consentono la reale regolarità di tutto un sistema sportivo.
Nessun club USA, per esempio, può contare sull’andamento verso l’alto o verso il basso delle quotazioni dei giocatori, dato che tutti i trasferimenti avvengono praticamente nell’ equivalente “parametro zero”del calcio europeo. Inoltre nessuna squadra può dare in prestito un giocatore ad un’altra squadra, con tutte le conseguenze positive che si possono immaginare. In buona sostanza: in nessun modo un giocatore può diventare un asset di una squadra USA in sede di mercato giocatori. Questo perché, anche nel Paese del libero mercato più spinto, sono le regole, rispetto agli interessi particolari, a dover primeggiare. Questo fa sì che nessuna squadra diventi mai veramente troppo più forte delle altre e nessuna squadra diventi mai veramente più debole delle altre. Concetto fondamentale del fairplay sportivo. Fa pensare che proprio una proprietà americana, i Glazer, abituata ad obbedire alle regole di gestione del campionato di baseball, abbia usato e stia usando metodi da capitalismo selvaggio, in spregio a qualsiasi concetto etico e del fairplay sportivo. Ma, come recita un vecchio proverbio ceco, “se pensi di aver toccato il fondo, tendi l’orecchio: sentirai qualcuno bussare sotto di te”.
Anthony Weatherill / Carmelo Pennisi
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