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columnist
Non è ancora finito gennaio e siamo già fuori dalla Coppa Italia e undicesimi in campionato a 4 punti dalla settima. Abbiamo vinto 6 partite su 20, ogni domenica è una via crucis di rimpianti e alibi, le concorrenti si rinforzano sul mercato e il nostro direttore sportivo dichiara ai quattro venti che siamo a posto così, anzi, dobbiamo sfoltire la rosa. Qualcosa non torna.
Non è ancora tempo di processi, ma il tempo inizia pericolosamente a stringere: o ci diamo una svegliata nelle prossime partite o anche quest’anno saremo costretti a vivere mesi di inedia, a scannarci tra tifosi e commentare partite che non significano più nulla.
Negli sport di squadra, se gli obiettivi non sono condivisi e sussistono forti distonie tra quelli della dirigenza, dello staff tecnico e dei giocatori, è molto facile che il processo sportivo risulti fallimentare. Ad esempio, se in una società di Serie B il presidente punta ai play off, lo staff tecnico alla salvezza e i giocatori a mettersi in luce per l’anno successivo, quasi certamente si andrà incontro a un’annata negativa.
Temo che nel Torino succeda da anni qualcosa del genere. Qual è l’obiettivo di Cairo? Sicuramente all’inizio della sua gestione l’obiettivo era quello di acquisire visibilità e notorietà per incrementare la sua credibilità imprenditoriale. Obiettivo centrato: ha acquistato Rcs e La7 e, oggi, è senz’altro uno degli imprenditori italiani più conosciuti e stimati. Ma adesso? Qual è il suo obiettivo? Non è chiaro. Mi risulta difficile pensare che sia quello di vincere premi insignificanti ed essere considerato il manager italiano con la maggiore “reputation on line”. L’Europa? Sì, a parole, ma i fatti dimostrano che è un’ambizione con il freno a mano tirato, altrimenti non si spiegherebbe il motivo per cui ogni mercato estivo è incompleto (quest’anno era palese già ad agosto che la coperta era corta e il centrocampo modesto) e ogni mercato invernale una barzelletta con protagonisti i vari Carlao, Tata Gonzalez e Pryima. Incassare una grande plusvalenza avendo comprato il Toro a zero per rivenderlo a 150? Mi sembra lontano dall’idea di vendere. Vivacchiare a metà classifica? Cairo è un uomo di successo, una specie di Re Mida che ha trasformato in oro tutto ciò che ha toccato. Fa eccezione il calcio, fa eccezione il Toro. Cosa gli serve essere il proprietario di una squadra anonima? A essere considerato un perdente in ambito sportivo? Non mira certo a questo.
E allora? Qual è il suo obiettivo? Farsi amare dai tifosi per avere una gratificazione narcisistica? Non gli interessa; altrimenti, in mancanza di successi sportivi, sborserebbe i 7 milioni necessari a completare il secondo e il terzo lotto del Filadelfa e passerebbe alla storia granata come il massimo artefice della rinascita del Tempio; basterebbe poco, la metà di quanto investito per Niang. Quindi? Quindi nulla. Quindi, sarebbe bello sapere con chiarezza quali sono gli obiettivi che si pone il presidente attraverso il Torino.
Se gli obiettivi della proprietà non sono chiari, quelli di Petrachi sono palesi: compiacere il presidente e scovare talenti a poco prezzo o in prestito con diritto di riscatto. Tralascio gli altri componenti dello staff direttivo: non hanno potere decisionale, sono padri di famiglia e il loro legittimo obiettivo è lo stipendio a fine mese.
Veniamo a Mazzarri e ai giocatori. L’obiettivo dei dipendenti è direttamente proporzionale alla chiarezza degli obiettivi dirigenziali. Qualsiasi manuale di psicologia sportiva ci insegna che gli obiettivi per essere “ben formati” devono avere alcuni requisiti imprescindibili: chiarezza, capacità sfidante, raggiungibilità, misurabilità e temporalità. Quando gli obiettivi sono fumosi (“sarebbe bello andare in Europa ma se non ci andiamo pazienza”, “il nostro obiettivo è il processo di crescita”, “ci sono tante squadre che fatturano più di noi… Si fa quello che si può”) è inevitabile che si tiri a campare e ognuno vada per conto proprio.
Se l’obiettivo è battere il record europeo di pareggi, continuiamo così, ma se è davvero l’Europa League, il mister la smetta di vedere spettri ovunque. Abbiamo un problema evidente: i nostri tre attaccanti (Belotti, Zaza e Iago Falque… non gente qualunque) hanno segnato 11 gol in 20 partite e la manovra offensiva è asfittica. Belotti fa dieci chilometri a partita e ormai gioca più da mediano che da punta; Zaza è l’ombra di sé stesso; Iago Falque sta perdendo serenità e fiducia; in Primavera gioca un ragazzo che ha fatto 22 gol in 15 partite e che in qualsiasi altra squadra sarebbe già stato lanciato. Se l’obiettivo è l’Europa, Mazzarri pesti sull’acceleratore. Dobbiamo iniziare e vincere; sta a lui decidere se schierare sempre il tridente o lanciare Millico, ma faccia qualcosa; a questo punto della stagione i pareggi servono come l’ombrello quando c’è il sole.
Il tempo stringe, e tornando al discorso degli obiettivi, se gli obiettivi di gruppo non sono chiari o sfumano a metà stagione, è inevitabile che i giocatori di maggior qualità dirottino sugli obiettivi personali e inizino a chiedersi cosa fare per strappare un ingaggio più importante o accasarsi in una squadra che fa le coppe. Sarebbe un peccato; gente come Sirigu, Nkoulou, Izzo, Iago Falque, Belotti, Djidji, Ola Aina, Baselli, se contestualizzati in un ambiente determinato e vincente, potrebbero regalarci grandi soddisfazioni. L’ossatura c’è. Non buttiamo a mare per l’ennesima volta la possibilità di sognare.
Marco Cassardo, esperto in psicologia dello sport e mental coach professionista. E’ l’autore di “Belli e dannati”, best seller della letteratura granata
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