Ho avuto la fortuna di essere a San Siro domenica sera e quindi di poter vedere dal vivo, con i miei occhi, la sontuosa prestazione dei ragazzi al cospetto di una formazione come l'Inter che, è bene ricordarlo, resta una delle primissime forze del campionato. A parte i primi dieci minuti, nei restanti 80 ho potuto ammirare una squadra che giocava da squadra, che sapeva sempre cosa fare, che si muoveva in maniera armonica in tutti i suoi effettivi, che cercava di giocare con veloci trame palla a terra e che per lunghi tratti fino alla fine ha dato l'impressione di poter fare sua l'intera posta di punti in palio. L'impresa è stata solo sfiorata, purtroppo, ma come ho detto altre volte, se è vero che esistono pareggi che fanno più male delle sconfitte, questo è un pareggio che fa bene quanto e più di una vittoria. So che è tipicamente da granata non voler sottolineare che si è messa sotto una grande come l'Inter, che si è dato una lezione di calcio nello stadio che è soprannominato la Scala del Calcio o che noi e, non loro, sembravamo la squadra in lotta per la Champions, ma in effetti non è su questi senza dubbio legittimi motivi d'orgoglio che voglio concentrare la mia attenzione in una celebrazione potenzialmente fine a sé stessa.
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Favola Toro: da brutto anatroccolo a cigno
Ciò che mi ha fatto riflettere più profondamente è invece la sensazione vivida che questa partita possa essere stata lo spartiacque o lo snodo cruciale per una più sostanziale e duratura trasformazione che ci veda passare da brutto anatroccolo incapace di camminare troppo a lungo sulle sue zampe, perennemente incompiuto e costantemente impaurito da ogni minimo scossone, a cigno conscio della propria bellezza e dei propri mezzi capace di spiccare il volo e di cominciare un'altra vita su basi più solide e di più ampio respiro. Corro troppo?
La partita con l'Inter a mio parere è servita a tirare una riga su un percorso (che Ventura amerebbe definire "di conoscenze") oltre al quale non c'è in effetti nient'altro che l'applicazione spontanea e dinamica in situazione di vita vissuta di quanto appreso precedentemente. E' un po' come se da neo avvocati avessimo affrontato la prima causa della nostra carriera e dopo una vita di studi avessimo così preso atto sul campo che i mezzi per fare quella carriera ci sono e quindi non resta altro che affrontare la professione e tutti i successivi casi che capiteranno. Applicato al calcio giocato, e quindi al Toro, mi sento di profetizzare un nuovo atteggiamento della squadra da qui a fine campionato. Che non vuol dire che non perderemo più nessuna partita, ma semplicemente che affronteremo gli avversari con una consapevolezza diversa, molto più solida e matura. Quella ad esempio di un Meggiorini che di colpo ha capito che qualche movimento in più da punta e qualcuno in meno da mediano gli avrebbero dato una lucidità maggiore nella trequarti avversaria. Al di là infatti dei due gol e della prestazione "monstre" del buon Meggio (che una bacchetta magica sembra aver trasformato in un centravanti da Champions League!), è lui secondo me il simbolo della svolta mentale di questa squadra. Ma anche D'Ambrosio è ormai sbocciato e gioca convinto sia in fase difensiva che offensiva o lo stesso Brighi sembra aver ritrovato d'incanto lo smalto delle sue stagioni migliori. A cosa sono dovuti questi "improvvisi" cambiamenti? Non credo esista una spiegazione univoca, né credo che l'arrivo di Barreto possa essere l'unica chiave di lettura di una simile quadratura del cerchio. Sicuramente il brasiliano ha la tecnica e le doti per poter interpretare al meglio ciò che il gioco di Ventura richiede, ma il calcio è uno sport di squadra e, a parte rare eccezioni, non è mai un solo uomo a fare davvero la differenza. Piuttosto Barreto è giunto nel momento giusto, cioè al termine di un ciclo di "formazione venturiana" di un anno e mezzo ed ha potuto subito inserirsi in un telaio minuziosamente costruito e cento volte tarato con certosina pazienza dal mister genovese.
Certo è che uscire da San Siro con l'ebrezza di aver mancato un'occasione e di averla fatta da padrona rischia di innescare voli pindarici fuori luogo, ma non è invece sbagliato credere fortemente che da qui a fine maggio sensazioni simili potranno essere rivissute con una certa frequenza. Perchè in ogni favola che si rispetti quando il brutto anatroccolo diventa cigno non si è mai sentito che in seguito torni al suo stato originario. Magari non sarà il cigno più bello ed elegante del lago, ma sempre cigno sarà! E a noi tifosi basta e avanza dopo vent'anni da Calimero...
Alessandro Costantino
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(Foto Dreosti)
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