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Fila dolce Fila

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Sotto le granate / Il tempio sta per rinascere, e gli eroi ritornano a casa...
Maria Grazia Nemour

Nasce nobile il Filadelfia.

Negli anni venti il conte Enrico Marone di Cinzano, presidente del Toro, fonda la "Società Civile Campo Torino" e acquista per qualche lira un terreno che allora era alla periferia della città.

Il conte aveva un progetto sportivo, un sogno che contemplava uno stadio e un campo di allenamento a servizio dello stesso. Nel 1926 il conte chiede a un professore del Politecnico di disegnare il suo sogno, per poterlo presentare in comune. Il sogno viene ratificato da una concessione edilizia e con due milioni e mezzo di lire e cinque mesi di cantiere, si realizza: il Fila è realtà.

Da quel momento in poi, al Fila si celebreranno più di trent'anni di partite casalinghe di un Toro  che, giorno su giorno, su mesi, anni, costruisce una storia fatta di esaltazione ed esemplarità.

Eroi calcistici genereranno il mito del Filadelfia, esplode la Torino granata, è il momento storico del Grande Torino.

E se per un verso il Fila, la Storia, la scrive, per l'altro la subisce. Piange la seconda guerra mondiale insieme al resto dell’Italia, prima diventa campo da baseball per il piacere degli alleati, poi viene bombardato e infine amputato della sua ossatura metallica, contributo all'industria bellica della devastazione.

Il Fila non si arrende, continua a giocare e diventa la trincea che per sei anni nessuna squadra riesce a valicare. È la fossa dei leoni che terrorizza gli avversari, come entrare? Dal 1943, per il Toro del Fila,  una dietro l’altra cento partite senza sconfitte. Cinque scudetti. Un’imbattibilità a cui nessuna forza vivente sa opporsi. È nel maggio del '49 che il Toro raggiunge l’apice dello splendore ed è in quel preciso momento, che precipita  rovinosamente nel buio, schiantandosi contro l'unica sconfitta che è costretto a subire, la morte.

Il Fila non ci ha creduto alla notizia dell’incidente e ha lasciato aperti i suoi cancelli, ha tosato il prato, ha steso le maglie ai fili, a sventolare. Ha aspettato, il Fila, ma il suo amato Grande Torino, quella notte di pioggia e fulmini del 4 maggio 1949, a casa non è più tornato.

Quanto tempo è rimasto immobile ad aspettare, il Fila. Soprattutto nei tempi più penosi dei rovi a soffocare l’erba del campo, delle transenne sugli spalti pericolanti, ha continuato ad aspettare il suo amato Grande Torino, il Fila.

Torino si allarga e il borgo Filadelfia, che prima era periferia, diventa appetibile area urbana.

Nel ’58 il Torino abbandona il Fila per il Comunale, è un Torino che sbanda e finisce in B. Poi torna a giocare al Fila, ma per poco. Nel ’63 un nuovo addio di campionato e nell’89 quello definitivo, il Toro smette pure di allenarsi al Fila, passa agli impianti moderni di Orbassano, poi la Sisport.

E il Fila lì, a subire gli eventi.

Il Fila è la casa di famiglia fatta di uno splendore che si disgrega a toccarlo, anche solo a pensarlo. Per alcuni presidenti rappresenta un fardello di tasse. Per altri è pura speculazione. Ma per qualcuno è l’unico posto in cui investire il futuro.

Per alcune squadre sono sufficienti ingenti capitali per autocelebrare il proprio successo edificando uno stadio, non ha alcuna importanza il posto, ininfluente il modo, irrilevante la storia.

Per il Toro no, l’eredità è irrinunciabile. Per certi versi insostenibile.

E il Fila sempre lì, fermo, ad aspettare. Gli sfilano intorno gli anni ’70 della contestazione, gli anni ’80 dell’apatia, i ’90 dei mondiali, il secolo nuovo. Anni tutti uguali per il Fila: tanti tentativi di restituirgli vita, altrettanti fallimenti.

In un sondaggio del FAI sui "Luoghi del cuore" italiani da preservare , salvare lo stadio Filadelfia raggiunge l’ottavo posto, una priorità che va oltre gli innamorati granata, che coinvolge tutti gli amanti del calcio.

Gli “Angeli del Filadelfia" di Gianni Bellino, il "Comitato Dignità Granata”, la “Fondazione Filadelfia” prendono vita per amplificare il messaggio che tanti hanno in cuore: Fila, non credere di essere stato abbandonato.

E il Fila aspetta fino al 2015, quando finalmente si inaugura il cantiere della ricostruzione.

Io al Fila non ci sono mai entrata, per un motivo o per l’altro mio padre non riuscì mai a portarmi a vedere gli allenamenti. Ora, se il cielo assiste, porterò io, mio figlio, a vedere gli allenamenti là dentro.

Il Fila ha aspettato perché aveva una testimonianza storica da custodire e da trasmettere a chi non l’ha vista, non l’ha vissuta. Le persone lasciano qualcosa di sé nei luoghi che hanno fortemente vissuto, per questo mi emoziona l’idea di entrare al Fila, so che è sempre stato pieno di Toro anche quando era desolatamente vuoto.

Il nostro bacio al Fila sarà inaugurare il campo il 27 maggio con un quadrangolare tra le squadre giovanili di Torino, Alessandria, Novara e Pro Vercelli, ricordando Don Aldo Rabino. Il passato serve solo e nella misura in cui sa stimolare il futuro.

Questo maggio, il Grande Torino tornerà finalmente a casa.

Il dolce Fila non ha aspettato invano.

Mi sono laureata in fantascienze politiche non so più bene quando. In ufficio scrivo avvincenti relazioni a bilanci in dissesto e gozzoviglio nell’associazione “Brigate alimentari”. Collaboro con Shakespeare e ho pubblicato un paio di romanzi. I miei protagonisti sono sempre del Toro, così, tanto per complicargli un po’ la vita.

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