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Frosinone, cinque partite

Maria Grazia Nemour
Sotto le Granate / Torna la rubrica di Maria Grazia Nemour: "La quinta partita è quella che si gioca negli ultimi minuti, quella che ricorda al Toro quanto il 3 a 3 sia dietro la porta, meno male che Berenguer ha avuto l’accortezza di chiuderla"

Venerdì, cinque partite col Frosinone. Troppe.

Ne ho vista una, durata fino all’uno a zero, in cui pensavo a Longo, una partita in cui mi sentivo forte e gli auguravo di riuscire a dimostrare il suo valore, la professionalità che nessuno, qui, mette in discussione. Guardavo lui e Mazzarri, pantaloni scuri e camicia bianca con le maniche arrotolate, pugni ai fianchi. Per un momento ho pensato che fossero due, gli allenatori della nostra panchina.

Rincon segna e immagino che si siano aperte le danze, mi spiace per Longo ma il Toro ha bisogno di scacciare i fantasmi dei primi tempi immobili (finalmente il primo gol nei primi 45 minuti, sì!), delle reti segnate in dosi omeopatiche e dell’Europa in cartolina.

Ma dopo il gol la partita già cambia. Io sono fiduciosa che segnino tutti tranne Sirigu, e invece mi tocca attendere il secondo tempo, prima che Baselli si faccia trovare lì, vicino alla porta e con un calcetto tac, la metta dentro. Faticoso due a zero.

Il tempo di andare in bagno e la partita cambia di nuovo, è la terza, quella in cui il Frosinone – che fino a venerdì scorso aveva segnato una volta sola dall’inizio del campionato, su rigore – tira fuori dai borsoni la forza che arde in chi legge le difficoltà come una sfida e rimonta due gol, fuori casa (un deja-vu). Due gol che il Toro incassa dal peggior attacco della serie A. Ah... E poco importa che su San Sirigu ci fosse fallo e che Pezzuto non avesse ancora chiaro cosa fare da grande, l’arbitro anglosassone o quello teutonico. Quello che importa è che siamo rimasti con la bocca aperta a dire: ah.

Ed è l’inizio della quarta partita, quella delle convulsioni del Toro, quella che non ho potuto guardare stando ferma. Mi alzo, mi siedo, urlo, salto. Entra Parigini – onore ai cambi che, contro il Frosinone così già come contro il Chievo, hanno portato ossigeno a un gioco in apnea – e con Lukic si fa una cavalcata verso la porta che neanche le Valchirie. Sempre suo, il passaggio in area per Izzo che – in preda pure lui alle convulsioni del Toro – segna e, roteando gli occhi, in preda a movimenti incontrollati, fa volare per aria la maglia. Vabbè, non è gol ma ammonizione, però la febbre la fa alzare a tutti. Parigini non sta fermo e serve Berenguer, un Berenguer che sbaglia ancora troppo ma è estroso e il gol lo confeziona con la maestria di chi è nato con talento in corpo.

 La quinta partita è quella che si gioca negli ultimi minuti, quella che ricorda al Toro quanto il 3 a 3 sia dietro la porta, meno male che Berenguer ha avuto l’accortezza di chiuderla.

Insomma, l’adrenalina è corsa in corpo, l’unico problema è che non giocavamo col Real Frosinone.

Ora ci fermiamo per la Nazionale e alla prossima partita col Bologna tentiamo di arrivare in salute. Fisica e mentale. Che patimento.

Mi sono laureata in fantascienze politiche non so più bene quando. In ufficio scrivo avvincenti relazioni a bilanci in dissesto e gozzoviglio nell’associazione “Brigate alimentari”. Collaboro con Shakespeare e ho pubblicato un paio di romanzi. I miei protagonisti sono sempre del Toro, così, tanto per complicargli un po’ la vita.