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columnist
A maggio capitano settimane cariche di esami, e la settimana passata è stata una di quelle.
Giovedì l’anima da portare su, a Superga. Sabato l’ansia da dominare fino a sera, il derby.
Abbiamo superato entrambi gli esami. Promossi.
Quest’anno non c’era la voce stentorea di Glik a scandire i nomi degli Invincibili.
Quest’anno c’era l’emozione di Andrea. L’orgoglio di Belotti. Lo spirito indomabile del Gallo. La sua voce e le sue pause a dettare il ritmo del respiro di migliaia di persone. Da Superga alla Sicilia i granata, per la prima volta, non hanno atteso il gol dalle sue gambe o la sua testa, ma le parole dalla sua bocca.
Sono passati quasi settant’anni ma il Grande Torino ogni 4 maggio continua a ripeterlo, e noi continuiamo ad avere bisogno di ascoltarlo: oggi puoi sorridere e nel domani ci puoi credere.
E il Toro di Miha, giovedì 4 maggio, ha creduto nel domani e più ancora nel dopodomani, sabato ha sfidato la Juve entrando a passo sicuro nel suo faraonico stadio, e ci ha creduto: ce la possiamo giocare.
Ljajic ha dato quello che gli appartiene: apportare poco all’economia della partita fino al momento di firmare un gol che neanche Maradona avrebbe potuto perfezionare. Il “Ti ricordi quella volta che Ljajic ha battuto la punizione al derby” è già diventato un modo di dire granata.
Lo Zappa Nazionale e il Moretti a cui puoi dare le chiavi di casa, perché di lui ti puoi sempre fidare.
Baselli chirurgico.
Hart che a un certo punto è stato inquadrato e non ruminava, niente cicles in bocca. Forse l’ha perso nell’erba, forse l’ha
ingoiato, l’avrà appiccicato alla traversa. Tutti a sperare che questa immobilità della mandibola non portasse male.
Il Gallo che non segna ma che dal recupero all’offensiva le prova tutte le azioni. Gli manca solo più di tagliare l’erba del campo, per rendersi utile.
Acquah che lo sa, lo sa che cambiando l’ordine degli addendi – se giochi con la Juve – il risultato cambia. Cambia eccome! Se Bonucci agguanta Belotti da dietro tanto da fargli perdere l’equilibrio e ritrovarselo in braccio, è gioco regolare. Se Acquah ferma allo stesso modo Dybala – un po’ meno, a voler essere precisi – è ammonizione. Acquah gestisce con difficoltà la tensione – già, tre espulsioni in un anno mi hanno generato questo dubbio – e l’arbitro, già alle lamentele sulla prima ammonizione prende nota della sua impulsività, è un “ci rivediamo più tardi”. In quel momento avrei voluto tirare un orecchio ad Afriyie e dirgli: sii zen, inspira profondamente ed espira una OM, prima di entrare a gamba tesa su un pallone (regolamento o no, giova ripeterlo: su un pallone), l’arbitro conta su di te per lasciarci in dieci.
E chi avrebbe scommesso su un Toro da metà classifica che rimane monco per quasi l’intero secondo tempo e che resiste alla Juve glitterata della CL?
La Juve ci ha sottovalutati? Forse.
Una Juve che ha dominato nel secondo tempo? Certo, dominava la sua sconfitta. Una Juve che non doveva proteggere un risultato, doveva ancora trovare il modo di realizzarlo.
Il Toro è stato bello.
Ci abbiamo creduto, certo che ci abbiamo creduto.
È entrato il gigante e abbiamo continuato a crederci. È finita la partita, l’arbitro ha concesso 4 minuti di recupero nonostante non ci fossero stati infortuni e nonostante quei 4 minuti fossero estremamente sfavorevoli ai crampi del Toro, che da un’eternità giocava in dieci. Ma ci abbiamo ancora creduto.
Poi il gigante ha fatto quello per cui è pagato milioni di euro e la partita è finita.
Ma io ancora ci credo. Anzi, lo so. Allo Juventus Stadium è sceso in campo un grande Torino.
Fermando le vittorie della Juve in casa – che si prolungavano da 33 partite – non ci siamo tolti la fame, ma insomma, è stato un gradevole aperitivo. Sfizioso come aver posto fine all’inviolabilità della porta di Buffon, l’altro derby.
Il prossimo compito in classe sarà col Napoli. Impegnativo, tocca studiare. Un paio di interrogazioni con il Genoa e il Sassuolo e poi tutti in vacanza. Con la testa già a settembre: chissà se resta e chissà chi arriva. Chissà che Toro.
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