Il Golfo dei poeti è una profonda baia della costa del Mar Ligure, di fronte la città di La Spezia. Il suo romantico nome lo deve al fatto che in questo stupendo lembo di terra hanno soggiornato nel tempo parecchi scrittori, compresi Virgilio, Dante, Petrarca, Byron, Shelley, Lawrence, per arrivare fino a D’Annunzio e Pasolini, tutti ispirati dalla pace e dalla bellezza di questo luogo. Il paesaggio è una moltitudine diversa e caratteristica di diverse attrazioni: borghi marinari pittoreschi e arroccati sul mare, chiese e castelli medievali, spiagge sabbiose e tratti rocciosi a strapiombo sul mare. Si possono sentire i tipici profumi mediterranei della gariga e delle tamerici, si toccano con mano le bellezze naturali del mare, dei suoi paesaggi caratteristici e possiamo immaginare la meraviglia di pittori e scrittori nel decantare questi luoghi ameni.
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Com’è triste La Spezia
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Eppure, per la nave granata, in tutte le sue epoche e in tutte le sue versioni, La Spezia si pone da sempre come baluardo insormontabile, luogo stregato, di dannazione, mai espugnato nella storia di tutti gli incontri sul territorio ligure. Una maledizione che parte da lontano, nella notte dei tempi, quando i “campionati iniziavano al mattino e finivano al tramonto”. (cit.) Al Picco, il Toro, in partite ufficiali, è riuscito a vincere una sola volta, in Coppa Italia (1937/38) per 4-2. Per il resto, un pianto unico, che recita il seguente record: quattro partite e quattro sconfitte.
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E se al Picco il Toro paga dazio ad ogni piè sospinto, il precedente più sanguinoso, quello che costò addirittura uno scudetto è relativo al Campionato Alta Italia 1944. In un quadro drammatico, con i nazisti che rastrellavano le città del nord, il girone finale di questo torneo non riconosciuto dalla FIGC (fino al 2002 anno in cui i vertici federali decisero di assegnare il titolo ai Vigili del Fuoco di La Spezia, in maniera onorifica e non come un’edizione ufficiale del Campionato italiano). Divise in gironi regionali per aree geografiche, le partecipanti al torneo, per evitare problematiche collegate all’occupazione tedesca post armistizio di Cassibile, dovettero adattarsi legandosi ad alcune realtà della produzione bellica: il Torino con la FIAT, la Juventus con Cisitalia, l’Isola di Istria con Ampelea.
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La città di La Spezia, bombardata diverse volte nel 1943, fu costretta a ricostruire una squadra di calcio dopo un’annata che vide gli aquilotti classificarsi sesti nel campionato di Serie B. Il club, costretto alla sospensione delle proprie attività, vide il proprio presidente, Perioli, catturato e deportato nei campi di concentramento in Germania. Semorile, unico dirigente rimasto, contattò così il comandante dei Vigili del Fuoco cittadini, per allestire una squadra in grado di rappresentare la città della Spezia nella Divisione Nazionale. L’accordo venne raggiunto e nacque così il Gruppo Sportivo 42º Corpo dei Vigili del Fuoco di La Spezia. L’allenatore era Ottavio Barbieri e tutti i giocatori dello Spezia Calcio vennero arruolati nel corpo stesso, con l’impegno scritto di restituirli al termine del conflitto. Vennero acquisiti i cartellini di giocatori di altre squadre in prestito.
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Il girone finale all’italiana prevedeva un triangolare tra la compagine dei pompieri spezzini, il Venezia e il Grande Torino allenato da Vittorio Pozzo con una parte della rosa di quei futuri campioni che vinceranno scudetti in fila, come Mazzola, Loik e Ossola a cui si unì il principe del gol, Silvio Piola. Nella prima partita i Vigili spezzini pareggiarono 1-1 contro il Venezia e due giorni prima del primo incontro di finale, il Torino andò a Trieste a disputare una sfida valida per un torneo regionale. Il viaggio di ritorno a Milano, fu estenuante. I giocatori giunsero allo stadio solo due ore prima dell'inizio del match e rifiutarono la proposta della Federazione di rinviare il match in programma coi VV.FF. Spezia. Gli spezzini vinsero la partita, rendendo vano il seguente successo granata contro i veneziani: la vittoria finale andò così ai Vigili del fuoco liguri.
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Da quella storica vittoria i gloriosi Aquilotti si smarriranno e circumnavigheranno i mari tempestosi della B, della C e della serie D, sperimentando sulla loro pelle il fallimento del 2008 per ripartire verso i vertici del calcio italiano solo di recente. E nel 2021, dopo settantasette anni dall’ultimo incontro, Toro e Spezia si incrociano nuovamente. Se possibile l’epilogo dell’incontro del maggio 2021 fu ancora più drammatico per via degli strascichi e della frustrazione che quella dolorosa sconfitta si portò dietro. E se Percy Shelley trovò la morte, a bordo della sua barca proprio nel golfo dei Poeti, il Toro naufragò miseramente alla fine di una partita disastrosa che concluse una delle settimane più nere della recente storia granata.
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Reduci dal rovescio casalingo contro il Milan per 0-7, i ragazzi di Nicola approdano a La Spezia con il peso della responsabilità sulle loro strettissime spalle. Quel Toro, in palese difficoltà psicologica per tutto il campionato, si consegnò ai pirati spezzini come una ciurma di marinai di acqua dolce: finirà 4-1. Arrendevoli, timidi, spauriti, incapaci di imbastire un’azione offensiva, fragili e in balia dei marosi, i granata ne usciranno con le ossa rotte. Saponara sembrava il Pirata Morgan, leader indiscusso di una squadra che sentendo profumo di salvezza si buttò a capofitto sui resti del Toro. Al termine del primo tempo, lo Spezia, avanti due a zero, ha colto un palo e ha dalla sua maggiore lucidità e la sicurezza dei forti. Il Toro non c’è. Paralizzato dalla paura, privo di energie mentali e fisiche. Nzola ci fa a fette, corriamo a vuoto, non c’è lo straccio di una reazione. Da casa, la sensazione è quella dell’impotenza. Non c’è un sussulto, un rigurgito d’orgoglio. Servirebbe un evento casuale che, stranamente e in netta controtendenza con il resto della stagione, arriva. Orsato concede un rigore fotocopia di quello assegnato nel primo tempo allo Spezia. Adesso il fallo è del ligure Ferrer su Bremer. Massima punizione che Belotti realizza. Potrebbe essere la scintilla in grado di riaccendere la fiammella granata e invece becchiamo altri due schiaffoni grazie a Nzola (ancora lui) ed Erlic. Il ritorno a casa è ancora peggiore. Fuori dall’Olimpico, in una via Filadelfia notturna e trafficata, va in scena il confronto tra tifosi e squadra. I toni sono pacati, i volti dei giocatori, mascherati per l’emergenza Covid, sono spauriti. Nel video che tuttora circola in rete, l’unico che parla è il tecnico Nicola, gli altri sono ammutoliti, qualcuno annuisce, gli sguardi di alcuni sono persi nel vuoto.
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Vedere la propria squadra contestata fa male, eppure le parole di quella notte furono balsamo sulle ferite di un Toro troppo brutto e sbagliato sin dall’inizio della stagione. Com’è triste La Spezia, parafrasando Aznavour, per il Toro, ma soprattutto è incredibile come, nonostante i pochi incontri, possa essere sempre un crocevia dei nostri destini. Vincere per la prima volta in serie A contro i liguri significherebbe sfatare un tabù e battere un record che risale addirittura al 1935, quando il Toro riuscì a mettere in fila un tris di vittorie esterne consecutive senza subire nemmeno un gol. Vincere a La Spezia significherebbe chiudere con oltre 30 punti fuori casa, impresa che quest’anno è riuscita soltanto al Napoli, alla Lazio e all’Atalanta: l’unico modo per continuare a sognare un ottavo posto che potrebbe davvero valere l’Europa.
Ad un anno campione d’Italia, cresciuto a pane e racconti di Invincibili e Tremendisti. Laureato in storia del Cinema, innamorato di Caterina e Francesco, sposato con il Toro. Ho vissuto Bilbao e Licata e così, su due piedi, rivivrei volentieri solo la prima. Se rinascessi vorrei la voleé di McEnroe, il cappotto di Bogart e la fantasia di Ljajic. Ché non si sa mai.
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