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FLORENCE, ITALY - MAY 18: Alessio Cerci of Torino FC shows his dejection during the Serie A match between ACF Fiorentina and Torino FC at Stadio Artemio Franchi on May 18, 2014 in Florence, Italy. (Photo by Gabriele Maltinti/Getty Images)
Quarantasette lunghissimi anni, tanto è durata l’astinenza granata in quel di Firenze.
Per dirne una, io (e tanti come me) ho visto sfatare questo tabù soltanto l’anno scorso, al termine di una partita ben condotta che avrebbe potuto complicarsi negli ultimi minuti se solo non ci fossero stati i miracoli di Zima e Milinkovic-Savic.
Fu gol di Miranchuk, perla, genialiata, capolavoro di classe e balistica, ma fu soprattutto ancora una volta merito di Juric e ridimensionamento per Italiano, uno che sicuramente, nei prossimi anni siederà su una panchina importante.
Toro e Fiorentina, un bilancio praticamente in parità, 227 partite, 60 vittorie granata, 59 pareggi e 58 vittorie viola, un gemellaggio tra tifoserie, una amicizia che resiste nel tempo e tanti ex, da Menti a Pulici, Graziani, Claudio Sala, Pecci, fino a Cerci.
Andando in ordine sparso, ricordiamo Bruno, Moretti, Santana, passando per Fuser, Quagliarella, Amauri, Benassi, Vieri, Natali, Comotto, Maspero, Fiore, Obodo, Vryzas, Di Loreto, Fantini, Kurtic, Cois, Delli Carri e Semioli fino a Ljajic, Pjaca, Brekalo e Rosati.
Ne dimentico sicuramente qualcuno ma è in dubbio che la nostra storia sia intrecciata a doppio filo con quella dei Viola.
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Quando penso a Toro-Fiorentina non posso fare a meno di ricordare l’incredibile doppietta di Piedone Pecci (unica di tutta la sua carriera) il giorno dell’Epifania del 1985.
Uno stadio ammutolito, ma forse il più incredulo di tutti era proprio lui, Eraldo, vecchio cuore granata.
Ed è proprio su storie legate agli ex che si basa questo modesto pezzo di fine anno, ricordando il gol di Graziani, le imperfezioni di Cerci e il super gol, annullato, di Delli Carri.
Dello scudetto.
4 gennaio 1976
Secco diagonale di Graziani su passaggio di Pulici e il Toro va.
Ciccio al quinto gol consecutivo aveva ritrovato la vena realizzativa smarrita ad inizio stagione.
Se avessimo immaginato che quella vittoria sarebbe stata l’ultima in quel di Firenze per oltre 47 anni, forse ce la saremmo goduta con maggior soddisfazione.
Quell’anno le sfide con i Viola furono partite incredibili e con un po’ di emozione, rivediamo con piacere la tripletta di Pulici e il gesto di grande fair play di Mazzone che si complimenta con il bomber granata per la rete di potenza con cui Pupi cala il poker di un match che valse più di un pezzo di scudetto.
Altri tempi, altro calcio, ma soprattutto, altri uomini.
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Dell’incredulità.
18 novembre 2001
Uno zero a zero brutto come la fame.
Due squadre in difficoltà, nessun sussulto, un pari che accontenta, o forse, scontenta tutti.
Dal nulla un miracolo di uno dei calciatori in campo meno dotati tecnicamente, Daniele Delli Carri, centralone vecchio stampo, poco avvezzo al gol, anche se in carriera, né segnerà pochi ma buoni davvero.
Calcio d’angolo di Asta, traiettoria ad uscire, palla che arriva al limite dell’area dove Dell Carri esegue una pregevole sforbiciata.
La palla entra in rete e la marcatura viene annullata da Preschern di Mestre per motivi probabilmente legati al quarto mistero di Fatima.
Un gol bellissimo, un urlo strozzato in gola.
Quello di Sanabria contro l’Empoli qualche settimana fa, almeno era davvero irregolare…
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Del calcio che conta.
21 Aprile 2013 e 18 maggio 2014
Poteva fare ciò che voleva.
Senza quel bizzoso carattere Alessio Cerci avrebbe potuto fare una carriera decisamente diversa e migliore.
Passò da Firenze, rimanendo incompreso, lasciando rimpianti e una notte brava in quel di Moena, ritiro Viola, in cui il buon Alessio lasciò il segno non tanto per le prestazioni calcistiche, quanto per una festa di compleanno fin troppo allegra, con tanto di caccia alle pernici (imbalsamate) e sparite misteriosamente.
Ma è in due incontri al Franchi, che si riassume tutta la sua capacità di essere decisivo o di non esserlo, sempre nei momenti sbagliati.
Un gol tanto bello quanto caduco e inutile ai fini del risultato, in una sconfitta che solo al Toro poteva capitare.
Partenza choc e 3-0 Viola senza colpo ferire.
Toro allo sbando.
Poi la rimontona con Barreto, Santana e infine Cerci che con un gol pazzesco ed estemporaneo, riequilibra il match.
Tiro a giro di mancino sul palo lontano, un gioiello di rara bellezza.
Per ritornare sulla terra, perché noi, la Luna, mai, ecco che grazie ad una azione laocoontica Romulo (!) siglava il definitivo 4-3.
Un anno dopo, l’appuntamento con la Storia.
Vincendo a Firenze sarà di nuovo Europa, dopo un lunghissimo digiuno.
La partita è una altalena.
Cuadrado raggiunge vette inenarrabili della Scala Lichtsteiner, un sistema che calcola il grado di insopportabilità e caratterizza personaggi comunemente simpatici come un calcio sui denti.
Rigorino di Rossi per tuffo carpiato di Cuadrado, coefficiente molto alto da far invidia a Cagnotto e Di Biasi.
Il Toro pareggia con Larrondo e poi si fa infilare in contropiede da Rebic, abbiamo la forza di recuperare con Kurtic (su punizione) e poi Roncaglia commette una sciocchezza in piena area, stendendo Barreto.
È rigore. Mancano 40 secondi alla fine del match, siamo 2-2.
Ha segnato anche Larrondo, poi abbiamo fatto gol su punizione!
Sembra essere destino.
Immobile è squalificato, Bovo è in tribuna a fianco a lui, chi tirerà il rigore della qualificazione alla successiva stagione Europea?
El Kaddouri? No, Alessio Cerci.
Rincorsa breve, prevedibile come un film di Muccino: mancino incrociato a mezza altezza, praticamente una dichiarazione di non belligeranza, una telefonata al portiere, un tiro dichiarato a biliardo.
Rosati si distende serenamente, respinge il suo quarto rigore su 38 in carriera e fa piangere Cerci.
E noi con lui.
Ad un anno campione d’Italia, cresciuto a pane e racconti di Invincibili e Tremendisti. Laureato in storia del Cinema, innamorato di Caterina e Francesco, sposato con il Toro. Ho vissuto Bilbao e Licata e così, su due piedi, rivivrei volentieri solo la prima. Se rinascessi vorrei la voleé di McEnroe, il cappotto di Bogart e la fantasia di Ljajic. Ché non si sa mai.
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