GRAN TORINO

Ieri, oggi e domani

Danilo Baccarani
Danilo Baccarani Columnist 
Torna "Gran Torino", la rubrica a cura di Danilo Baccarani, con un nuovo appuntamento

Ieri

Il periodo storico che sta vivendo il Toro mi ha fatto ritornare indietro nel tempo, per la precisione al 16 maggio 1982.

Il teatro, sempre il medesimo, lo stadio Comunale. Insieme a mio padre, l'ultima giornata di un campionato grigio, per un anonimo Toro-Como che terminerà 0-0.

Risultato incolore, annata incolore. La squadra di Giacomini era la più giovane della stagione con un'età media di 23 anni e i soli Copparoni e Danova non cresciuti nel vivaio granata. Sugli spalti campeggiava uno striscione bianco con una scritta granata: PIANELLI VATTENE.

Proprio a Pianelli, al Presidente dello Scudetto, massimo dirigente granata dal 1963 al 1982, i tifosi chiedevano, con una contestazione ferma e rigorosa, di levare il disturbo e andarsene. Era maturato il sentimento che Pianelli non avesse più slancio, che gli sforzi economici e le difficoltà finanziarie della sua azienda lo stessero portando verso un inevitabile disimpegno e un conseguente ridimensionamento delle ambizioni sportive.

Il suo bilancio in venti anni di presidenza: 1 scudetto, 2 Coppe Italia, 5 finali di Coppa Italia (di cui tre consecutive), 1 semifinale di Coppa Coppe, 2 quarti di finale di Coppa Coppe, 1 ottavo di finale di Coppa UEFA e uno di Coppa Campioni.

In campionato, oltre alla vittoria del ’76, arrivammo tre volte secondi, due volte terzi, una volta quarti, una volta quinti, tre volte sesti, quattro volte settimi, una volta ottavi, due volte noni e decimi. Roba da firmare con il sangue.

Oggi

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Domenica scorsa, 24 novembre, in un altrettanto anonimo Torino-Monza terminato in pareggio, la squadra granata ha prodotto l’ennesima prestazione scialba di una stagione cominciata con il primo posto in classifica e successivamente macchiata da una infilata di sconfitte. Nel mentre, la curva Maratona disertava il primo tempo rimanendo fuori dallo stadio.

Sotto l’ingresso della tribuna, qualche migliaio di tifosi cantava e urlava il dissenso verso il proprietario del Toro, Urbano Cairo, invitandolo a cedere la società. Intorno al 50’ la Maratona si riempiva e i cori contro Cairo continuavano per tutta la partita. Anche in questo caso, io c’ero. Il Torino, domenica, ha schierato la formazione titolare con l'età media più bassa in Serie A nell'anno solare 2024: 26 anni e 140 giorni. Dal vivaio, tra campo e panchina, erano presenti tre calciatori: Njie, Ciammaglichella e Dembelé. Coincidenze, assonanze e discrepanze piuttosto evidenti.

Il bilancio di Urbano Cairo da presidente del Torino è il seguente: due promozioni dalla B alla A e nella massima divisione, due volte settimi, tre volte noni, due volte decimi, una volta dodicesimi e quindicesimi, tre volte sedicesimi, una volta diciassettesimi e una volta diciottesimi (retrocessi). Miglior piazzamento europeo un ottavo di finale di Europa League. In Coppa Italia, tre volte ai quarti, sei volte agli ottavi. Il tutto in venti stagioni sportive.

I numeri dicono che nella prima settimana di dicembre, Urbano Cairo diventerà il presidente più longevo nella storia del Torino. Verrebbe da chiedersi, a che pro, entrare nella leggenda per lasciare una serie di pessimi ricordi, ma tant’è. Mi piacerebbe chiederlo direttamente a lui, al Presidente Cairo, perché la Sua presidenza non sarà sicuramente un esempio da ricordare nei libri di storia granata. Non si può far finta di niente. Se il Toro fosse una azienda probabilmente avrebbe licenziato i suoi manager per via di una pessima gestione sportiva ed economica come quella che lo contraddistingue da quasi vent’anni. A pagare sono stati quasi sempre gli allenatori (16) o i ds (8), ma sarebbe bastato uno sforzo minimo, costruendo prima la società e poi la squadra. Prima la struttura, l'ossatura, poi i giocatori, l'allenatore, lo stadio. Persone competenti che l’avrebbero aiutata a gestire e spendere meglio i (pochi) soldi a disposizione.

Intervallo

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E allora, Presidente Cairo, i tifosi del Toro Le chiedono di porre fine a questo percorso lastricato di ignavia: Lei che ha sempre detto di essere primo tifoso del Toro: quanto sta soffrendo nel vedere una squadra senza obiettivi che raggiunge ogni anno risultati mediocri?

Ma non sarebbe corretto limitarsi soltanto ai risultati sportivi. A Lei imputiamo una scarsissima, o pressoché nulla, visione a lungo termine, un periodo lunghissimo condito da tantissime delusioni e pochissime soddisfazioni, arrivando ai soldi spesi malissimo o non spesi per niente.

Abbiamo imparato a conoscerla e le bugie forse cadono in prescrizione ma le Sue intenzioni di costruire un grande Toro sono rimaste lettera morta. Nessuno Le ha mai chiesto la Luna. Nessuno mai gliela chiederebbe, nessuno vuole più chiedergliela. Adesso le chiediamo soltanto una cosa: venda il Toro. Il tempo è scaduto. Ha avuto vent’anni per dimostrare di essere il migliore. Non ci è riuscito. Il suo modello non ha funzionato.

I suoi vent’anni di presidenza, sono tutti qui, uno in fila all’altro, in una dimostrazione plastica della Sua incapacità gestionale. Una bugia ripetuta mille volte non diventa una verità e la verità è che Lei, in vent’anni, non ha migliorato il Torino, non lo ha fatto crescere né sportivamente, né dal punto di vista societario.

Amor proprio

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Ma le piace così tanto essere contestato? Le piace essere vilipeso, odiato, dileggiato sui social, ridicolizzato in tv da giornalisti e opinionisti? Per un uomo che ha fatto dell’immagine il suo business, una gestione così grottesca, non è esattamente il miglior biglietto da visita.

…e vent'anni sembran pochi Poi ti volti a guardarli e non li trovi più. Francesco De Gregori, Bufalo Bill

La Sua soddisfazione di diventare il presidente più longevo, ma anche il meno amato, mi permetta di dirglielo, è davvero una magrissima soddisfazione.

Contro il Monza, abbiamo assistito all’ennesima sbiaditissima versione del Toro della Sua gestione ventennale. Squadra svuotata, allenatore in confusione, società assente, il tutto mentre la contestazione monta e la mette spalle al muro.

In quasi cinquant’anni di vita, tutta o quasi praticamente trascorsa in simbiosi con il Toro, mai mi era capitato di vivere con apatia, distacco e senza nessun trasporto una sola partita della mia squadra del cuore.

Mai come domenica scorsa, il rapporto tra società e squadra si è reso evidente, restituendo alla perfezione la sua idea di toro. (volutamente in minuscolo). Non c’è altro da aggiungere.

Il suo silenzio (e quello di Vagnati), la Sua assenza dallo stadio e sui mezzi di informazione, se non per qualche sporadica esternazione, dicono molto più di tante parole.

Venda, perché questi vent’anni di reggenza ricordano da molto vicino, i trenta del berlusconismo che ha devastato definitivamente questo paese. Stessa modalità, stessa scuola, stessa pasta. Parole tante, fatti pochissimi. E lei, proprio come Berlusconi (da cui ha imparato molte lezioni, ma sicuramente non quella sulle squadre di calcio) ha vinto, non trofei, ma popolarità, prestigio, visibilità.

Lei si è servito del Toro sin dal 2005: il saluto dal balcone del comune, i giri di campo al Delle Alpi prima e al Comunale dopo, osannato come il Salvatore della Patria. Lei ha vinto, senza timore di smentita, ma è stato incapace di gestire l’ampio credito che aveva agli occhi dei tifosi del Toro.

Quel credito l’ha perso giorno dopo giorno, un pezzo per volta, una dichiarazione alla volta, una cessione "necessaria" (e dolorosa) alla volta, un nuovo (e mediocre) acquisto alla volta, una promessa (mancata) alla volta. Adesso quel credito è diventato un debito.

Se Lei, come ha ribadito più volte, tiene al bene del Toro, allora compia la migliore azione della sua ventennale esperienza in granata: ceda il passo, si tenga il record della longevità presidenziale, e lasci il Toro in mano a qualcuno che abbia voglia, energia, denari, idee. Venda. Venda quel poco che è rimasto di questo Toro che lei ha tenuto in prestito, con diritto di riscatto, per tutti questi anni.

Domani

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Come ogni cosa umana che ha un inizio e una fine, anche la sua Presidenza come quelle dei suoi predecessori, terminerà. Lo ha detto Lei, mercoledì 27 novembre, durante un convegno pubblico, anticipandomi, quasi leggendomi nel pensiero. Ma non è che io abbia doti divinatorie: è così semplicemente perché il tempo le sta presentando il conto.

Le cessioni di Pianelli e Novo furono cessioni dolorose: questi presidenti a cui Lei ha dichiarato di ispirarsi, ma ai quali non si è mai minimamente avvicinato, sono stati costretti dagli eventi, esattamente come lo è Lei in questo momento. Solo che nel suo caso, gli eventi sono causa della sua mala gestione. Ceda e lasci libero il Toro, animale libero per eccellenza che, se costretto a battaglie, mostra sempre il suo animo fiero e combattivo. Il Toro non morirà, lo abbiamo già visto in passato. Al limite, da ferito, si rialzerà e lotterà, magari infilato da qualche banderilla, ma vivo, continuerà a battersi.

Veda Presidente Cairo, lo scorso 25 agosto è successo qualcosa di importante e la seppur breve marcia dal Filadelfia al Comunale è servita a ricompattare l’ambiente granata. Tutto è partito dalla cessione di Bellanova? Sì, forse è quello il motivo scatenante, la goccia che ha fatto traboccare il vaso, ma ancora una volta, mi ripeto, quello che ci ha destato è stata l’ennesima dimostrazione della assoluta mancanza di programmazione di questa non società.

Forse la contestazione non avrà la spinta e l’afflato della bella estate 2005 che ci portò prima al Campanile e poi al Comune, ma anche questa sortirà un effetto sulla storia del Toro. Ne sono convinto. Non so chi arriverà al Suo posto. Le voci si rincorrono, gli spifferi e i "si dice" stanno aumentando in maniera sempre più rapida, ora dopo ora, come le Sue smentite. Ma questa nuova aria di Risorgimento, di Liberazione, di Rinascita, è una boccata di aria pulita, fresca, gioiosa, frizzante, sconosciuta e per questo motivo ancora più eccitante.

“Io non voglio rimanere a vita al Torino, ma credo sia giusto lasciarlo a qualcuno più ricco e più bravo di me. Quando sono arrivato non c’erano neanche i palloni, vorrei lasciarlo a qualcuno con quei 20-30 milioni che io non ho e per cui non voglio indebitarmi. Ma ripeto, io non voglio rimanere a tutti i costi, i ventènni finiscono…”

Urbano Cairo

Parole che sanno di commiato, di addio, in cui si scorge un pizzico di amarezza. Però vede Presidente, la Sua amarezza odierna è il nostro sentimento di impotenza che ci attanaglia da vent’anni, domenica dopo domenica, mercato dopo mercato, cessione dopo cessione.

Venda Presidente Cairo, venda: è davvero l’unica cosa positiva che può fare per il Toro e per la sua gente. Qualcosa che potremo ricordare per sempre. Questo sì che la farà entrare nella storia del Toro.