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Una lunga serie di episodi controversi. Il solito finale di stagione che contiene un possibile sequel e che invece si interrompe sul più bello, anzi, sul più brutto. Se il Toro fosse una serie tv, sarebbe una serie deludente, ricca di colpi di scena negativi e piuttosto prevedibili, con personaggi enigmatici e una buona dose di mistero. Il ciclo di Juric è arrivato alla fine, ma prima della chiusura, ecco il trittico che chiuderà l’esperienza del croato sulla panchina del Toro: Verona, la sua Verona, Milan in casa e Atalanta fuori. La classifica, clamorosamente corta, concede ancora qualche velleità europea alla truppa granata. La domanda è: voi puntereste una fiche su una squadra che non vince da fine marzo (1-0 al Monza), che non segna da quattro partite consecutive e che dovrebbe inanellare tre vittorie consecutive per avere, forse, qualche speranza? Sinceramente non ci si può credere. Siamo realisti. Il dopo San Siro è stata la pietra tombale sull’epoca Juric al Toro negli ultimi tre anni. Le parole del croato hanno chiuso il discorso sul presente, sul suo futuro e sul futuro di questo gruppo. Nel frattempo la partita con il Bologna e il fattaccio di Superga, con l’ennesimo video di un tesserato che scoperchia un ambiente totalmente scollato dalla realtà. Quel video fa il paio con la litigata Juric-Vagnati nel ritiro estivo dello Juric2, fa tris con le immagini tv che sorprendono Juric impegnato a fare gestacci sul finire del match casalingo contro il Sassuolo. Ma come può, una società che ha come presidente un uomo che vive di comunicazione, cadere in una serie di errori e di autogol simili? Allo stesso tempo, fa male, malissimo, pensare che i tifosi vengano insultati soprattutto in una situazione che dovrebbe essere il tratto distintivo di questa società, una giornata su cui si basano le radici di questi colori. Ho letto molto sui valori del Grande Torino e su quanto sia importante il momento che si vive a Superga e guardando la folla presente, viene da pensare che quella salita sul Colle abbia ancora una valenza fondamentale nell’economia del tifoso granata. Pertanto sarebbe necessario spiegare ai giocatori cosa significa quel momento, cosa significa quella Squadra, cosa significa quella cerimonia sacra e profana che si tiene il 4 maggio. Spiegarlo sarebbe necessario, pretendere che venga compreso, no. Perché qui subentrano altre componenti, quali valori, educazione, intelligenza. Il mio professore di chimica e merceologia diceva del sottoscritto: provare a spiegarti qualcosa è come lavare la testa agli asini. Potremmo però, almeno provarci, dico io. Quel video che circola in rete, in cui i migliori Sherlock Holmes granata hanno provato a ricostruire voci, intonazioni e frasi, non è altro che lo specchio del mondo in cui viviamo. Assenza di valori, maleducazione, mancanza di rispetto. Chissà in passato quali altri insulti ci siamo beccati da fenomeni passati a queste latitudini. Solo che adesso ci sono i social, i ragazzi che comunque smanettano tantissimo, non sono brillantissimi ad usarli e a divulgarne il contenuto. Ingenui, sprovveduti e anche un po’ sciocchini, diciamo così. Non credo che in altre squadre certe cose non capitino. Forse capita anche di peggio e non è certo un alibi per i nostri pedatori e per la nostra società. Credo che questi ragazzi molto fortunati, prima di non capire pensieri alti come è il Grande Torino, non comprendano pienamente anche pensieri diciamo più basici, tipo l’importanza del pubblico, dei tifosi. Roba che senza di noi, loro sarebbero niente, per dirne una. Ma torniamo sul campo. Il Toro visto contro il Bologna è stato un pianto. Stanchi, esausti, prima nelle idee e poi nel fisico. Scarichi mentalmente e incapaci di proporre un minimo di gioco, non abbiamo fatto altro che ripetere la scialba prova offerta contro il Frosinone. Solo che in questo caso, il Toro un paio di occasioni le ha pure avute, ma non le ha capitalizzate. I fischi mi sono sembrati eccessivi ma fanno parte del gioco. Insomma, cari calciatori, cercate di capirci, non ne possiamo più. Ma non solo di voi, non ne possiamo più di tutto questo. Di un campionato mediocre che non riusciamo mai a domare. Di risultati deludenti, di prestazioni monotone, di pareggi a reti inviolate. Lo striscione FATE QUALCOSA visto in Maratona, la dice lunga. Fate qualcosa, qualcuno faccia qualcosa, qualcuno ci faccia un gol…assomiglia tutto molto da vicino a “D'Alema, dì qualcosa, reagisci... Dai, dì qualcosa, D'Alema, rispondi... D'Alema, dì una cosa di sinistra. Dì una cosa anche non di sinistra, di civiltà... D'Alema, dì una cosa, dì qualcosa, reagisci”. Torno ancora a Juric, alle sue parole e al suo ultimo vano tentativo di convincerci che la squadra è ancora lì, viva, per tentare il colpo di coda finale. Non sembrano crederci molto né lui, né la squadra e infine noi, sfibrati da millenni di pochezza, di scarse ambizioni, di risultati amari. Con il Verona domenica l’obiettivo deve essere quello di sbloccarci in zona gol, per cancellare questo continuo zero alla voce reti segnate. Questo finale mi ricorda quello della stagione 1982/83, con quattro sconfitte nelle ultime cinque giornate e 2 soli gol segnati. Dovrà inventarsi qualcosa il buon Ivan, privo di Vlasic, e con l’ennesima necessità di innestare qualcuno fuori ruolo e con caratteristiche totalmente differenti: per sostituire il croato toccherà a Linetty o Tameze per rinforzare la mediana con un campio modulo, oppure sarà uno tra Ricci e Ilic (davvero in difficoltà al rientro dall’infortunio) ad andare dietro le due punte? Savva e Ciammaglichella sono suggestioni che potrebbero avere anche un senso se solo a qualcuno venisse in mente il termine futuro. Futuro che passa da Cairo, dal confermato Vagnati e dalle tante incognite legate al mercato e al nuovo allenatore. Soprattutto su quest’ultimo ho parecchie aspettative e una buona dose di curiosità. Nelle settimane scorse abbiamo letto diversi nomi ma ho la sensazione che Vanoli verrebbe volentieri subito qui, mentre per altri allenatori il Toro sarebbe una seconda scelta. La partita di domenica ha significato solo per gli scaligeri desiderosi di avvicinarsi alla salvezza in un campionato difficilissimo e dopo una rivoluzione invernale davvero incredibile che assomiglia davvero da vicino a quella di Petrachi qualche anno fa. Merito di Baroni, tecnico che ha saputo rimescolare le carte, dato un nome nuovo ad una zuppa che pareva insipida e cucinata con ingredienti presi di fretta e furia al discount sotto casa. Giocatori di cui adesso si parla bene, di un dirigente in gamba con il valore degli investimenti, pronto a tornare indietro praticamente raddoppiato per dare fiato alle casse gialloblù. Il Toro arriva, come già detto, sulle gambe, con diversi uomini in riserva, Zapata su tutti, e va a Verona senza velleità alcuna, esattamente come l’anno scorso, in cui espugnammo il Bentegodi con una folgore di Vlasic. La settimana di caccia alle streghe e di investigazione, è proseguita sull’onda dell’esegesi dello Juric pensiero: “Ho sbagliato a fidarmi di 4-5 giocatori". E i giornali (e i tifosi) giù a immaginare i nomi dei calciatori, esattamente come accadde per gli autori del video estivo Juric-Vagnati e di quello di Superga. La necessità di conoscere i nomi e i cognomi dei colpevoli, appare impellente. Eppure di necessario e impellente ci sarebbe solo una cosa: una società seria, strutturata, non dico infallibile o perfetta, ma rigorosa e capace a gestire i giocatori sia fuori dal campo, sia nel rendimento in campo. Questo sarebbe davvero importante. Una vittoria esterna potrebbe essere l’ultimo trampolino verso una dignitosa conclusione, ma niente di più, uno sgarbo al Verona, squadra di cui non nutriamo particolare simpatia. Non so quanto possa interessare tutto ciò ad un gruppo demotivato e con scarsa attitudine all’empatia e anche all’amor proprio. Perché se è vero che la squadra ha dei limiti tecnici e di qualità, è altresì vero che l’aver gestito (ancora una volta malissimo) la comunicazione ha influito sul rendimento della truppa. Non siamo stati i primi né saremo gli ultimi a giocare con un allenatore senza rinnovo in tasca e con diversi giocatori che sanno già di non rientrare nei piani della società. Eppure, la professionalità e la voglia di mettersi in mostra, altrove, sono meravigliose opportunità, mentre qui tutto si riduce ad un quotidiano male di vivere di Montaliana memoria. Società assente, giocatori che si comportano di conseguenza. Un cane che si morde la coda in un eterno giorno della marmotta.
Ad un anno campione d’Italia, cresciuto a pane e racconti di Invincibili e Tremendisti. Laureato in storia del Cinema, innamorato di Caterina e Francesco, sposato con il Toro. Ho vissuto Bilbao e Licata e così, su due piedi, rivivrei volentieri solo la prima. Se rinascessi vorrei la voleé di McEnroe, il cappotto di Bogart e la fantasia di Ljajic. Ché non si sa mai.
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