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La meglio gioventù

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Torna l’appuntamento con "Gran Torino", la rubrica a cura di Danilo Baccarani
Danilo Baccarani
Danilo Baccarani Columnist 

Dopo l'incredibile e incomprensibile vittoria di Verona, maturata in modo innaturale per il Toro di Juric (ma in generale per il Toro) e grazie a protagonisti inaspettati, il Toro si ritrova, a due partite dalla fine del campionato, ad un passo dalla qualificazione europea.

A due giornate dalla fine del campionato, un campionato finito a gennaio (cit.) poi a febbraio (cit.), poi a Pasqua (cit.), poi ad aprile (stracit.) il Toro si ritrova nella condizione di poter centrare un obiettivo che, riguardando l’andamento del campionato, avrebbe potuto raggiungere comodamente se non avesse mancato clamorose occasioni.

Ci mancano 7-8 punti e bisogna sottolineare che oltre alle partite sbagliate (soprattutto in casa), qualche errore arbitrale pesante, a mancare davvero sono stati un esterno sinistro, un trequartista e una dozzina di gol, sparsi qua e là.

Dalla panchina è arrivato il nulla assoluto. Poca scelta, pochi ricambi e di scarsa qualità, pochissimi gol.

L’assenza di un esterno sinistro mancino, in particolar modo, ha concepito una squadra monocorde, che ha insistito nello sviluppo del gioco esclusivamente sulla corsia di Bellanova.

Il trucchetto ha funzionato per un po’ ma poi, nonostante buone prestazioni, il pendolino destro si è dovuto arrendere a raddoppi di marcatura, spazi limitati e corse in profondità che ne hanno minato fisico e forma.

Le partite di Bellanova finite con i crampi non le conto nemmeno.

Come arriviamo a queste ultime due sfide contro Milan e Atalanta?

Nel peggiore dei modi possibili.

A pezzi. Numericamente e fisicamente, con una mini contestazione in atto (perché parliamoci chiaro, questa non è una vera contestazione) nei confronti di squadra e presidente, con un allenatore senza contratto, il cui futuro è, certamente, lontano da Torino.

La politica del dissenso è figlia delle brutture di Superga e non solo.

Non è un mistero che quanto accaduto sia stato vergognoso.

Siamo feriti (e potremmo non esserlo?) e lo striscione del Bentegodi, traslocato ora al Fila, riassume alla perfezione il sentimento di molti tifosi.

Come se non bastasse, ad un clima già in ebollizione, si sono aggiunte le polemiche sul post partita di Verona e le parole di Juric sono state il carico a briscola di una settimana parecchio complicata.

Sui social, ma anche sui forum e immagino sabato sera in curva, Montecchi e Capuleti (ops), Orazi e Curiazi o Guelfi e Ghibellini, come preferite, si sfideranno da par loro in singolar tenzone per attaccare e/o difendere il tecnico croato.

E anche su questo siamo, inevitabilmente, divisi, in disaccordo.

Cose già viste, cose già scritte, basta non se ne può più (cit.).

Se mi è consentito, però, non se ne può più nemmeno del tutti contro tutti.
Soprattutto in curva.

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Sul fatto che l’ambiente sia frammentato e complicato, duole dirlo, ma Juric ha ragione.

L’ambiente è saturo, stufo, impaziente, nervoso. E' diventato irragionevole con il passare degli anni, con l'accumularsi delle delusioni, delle sconfitte più umilianti.

Mi sembra evidente che troppi anni senza soddisfazioni generano automaticamente questo tipo di situazioni.

Inutile negarlo.

Juric ha evidenziato la mancanza di coesione dell’ambiente, le critiche di una piazza che si trascina stancamente e che vede all’orizzonte l’ennesimo fallimento stagionale.

Ma se Juric difetta in comunicazione (o non difetta affatto e parla a nuora perché suocera intenda) e in tempismo (siamo sicuri??) trovo che a meno due dalla fine del suo mandato, in questa situazione di classifica, sia folle schierarsi sulle barricate anziché compattarsi per affrontare gli ultimi gran premi della montagna.

Anche gli attacchi della carta stampata cittadina, non hanno certo contribuito a rasserenare gli animi.

Puntuali come le tasse, gli articoli che generano altro malcontento (come se non ce fosse abbastanza) vengono pubblicati sempre nel momento adatto (o meno adatto).

Basta guardare come viene trattata l'altra squadra cittadina, che, al termine di una stagione disastrosa, viene festeggiata per una qualificazione Champions che appare come manna dal cielo. Ma siamo abituati anche a questo.

L’aria di fine impero non promette niente di buono, il sentimento popolare che nasce da meccaniche divine non mi fa dormire sonni tranquilli e il futuro mi spaventa oltremodo.

Mai come quest'anno immagino una nuova restaurazione, a cui va aggiunta l'incognita nuovo allenatore.

L'ultima volta che ho vissuto queste sensazioni, sulla nostra panchina si stava per sedere Marco Gianpaolo.

Credo ci sia poco da aggiungere.

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Facciamo un passo indietro, torniamo al Bentegodi, riavvolgiamo il nastro e cancelliamo, per carità di patria, i primi settanta minuti di gioco.

Poi, partendo dagli ultimi venti, e dalla conseguente reazione, proviamo a immaginare questo finale di stagione.

Da dove e da chi, deve ripartire la squadra granata?

Se la sinistra deve ripartire ogni volta da nuovi interpreti, il Toro deve obbligatoriamente ripartire dai suoi giovani.

Deve ricominciare da tre, per dirla alla Troisi, ripartire da quel vivaio che è stato per anni un vero e proprio marchio di fabbrica.

Ripartire dalle nostre radici è la miglior risposta al video di Superga, alle polemiche tra tifosi, agli schieramenti pro o contro Juric: è un antidoto, è l'elisir di lunga vita.

Del resto, dopo quattro partite consecutive senza segnare, il Toro vinse a Lecce aggrappandosi ad un gol di Buongiorno, a testimonianza che quando sei in difficoltà ti devi affidare a chi il Toro lo conosce e lo vive da sempre.

Quelli che, si presume, siano in grado di capire che cosa sia, davvero, il Toro.

Corsi e ricorsi ci dicono che anche questa volta, la vittoria esterna è arrivata dopo quattro partite senza reti e il gol che ha riaperto la partita lo ha segnato un ragazzo della Primavera.

Non amo i discorsi generazionali e pur essendo molto felice per gli esordi di Savva e Dellavalle (e per il gol del primo calciatore cipriota nella storia del Toro), credo che non basti essere “giovani” per meritare spazio.

Servono qualità, sfrontatezza, grinta.

E così, Savva ha esordito con un gol su assist di Lazaro, in una congiunzione astrale che credo si ripeterà al prossimo passaggio della cometa di Haley, non certo per la rete del ragazzo cipriota, quanto per la combinazione, fiore all’occhiello di Juric a Verona, che qui a Torino non ha prodotto risultati tangibili, basti pensare che questo è il terzo gol in totale di un esterno dall'inizio del campionato.

Da esterno a esterno, per la prima volta in stagione, per di più con un ragazzino che esterno non è, su assist di un giocatore che quest'anno ha mostrato tutti i suoi limiti.

Dopo la prestazione di Verona, Juric ha parlato di partita rubata.

Mister, mi perdoni, io direi più fortunata che rubata.

Fortuna, non furto, ok.

Anche perché, in tutta onestà, come vogliamo definire Toro-Lazio 0-2? Toro-Fiorentina 1-1? Monza-Toro 1-1? Frosinone-Toro 0-0?

Il Toro deve ripartire da questa ventata di aria fresca, dalla sventagliata di Dellavalle che mi ha riportato ai tempi del Victoria Ivest con il mister che insisteva con i cambi di gioco: “Fatti con precisione fanno vincere le partite.”

Se i giovani hanno dimostrato qualità, vanno fatti giocare. Abbiamo tanto da perdere?

Mandiamoli in campo con un pizzico di incoscienza e lasciamoli fare.

Se la vita ti dà limoni, tu fanne una limonata.

Se la partita di Verona è targata Savva e Dellavalle non bisogna dimenticare che Pietro Pellegri ha siglato il gol vittoria.

I suoi numeri quest’anno, sono deludenti. 22 presenze, 1 gol.

L’anno scorso furono 18 presenze e 2 gol, di cui uno contro la Samp e si parlò più dell’esultanza che non del gol in sé.

I numeri di Pellegri sono davvero avvilenti e raccontano le difficoltà fisiche e psicologiche di un calciatore ancora giovane.

Appare evidente che il ragazzo sia in difficoltà, ma quel gol è un barlume di speranza per il suo futuro che appare lontano da Torino.

Gran gol il suo: protezione della palla, diagonale e palla in buca d’angolo con doppia carambola sui pali.

Un gol soltanto, ma di pregevole fattura.

Un gol pesante che ha sorpreso, sotto le gambe e sul primo palo, un incerto Montipò: il suo è un errore grave che costa la sconfitta agli scaligeri, lasciandoli in zona pericolante proprio nel giorno in cui ricorrono i festeggiamenti per lo storico scudetto del 1985.

Sempre bello vincere a Verona (tre volte in fila negli ultimi tre anni, Brekalo, Vlasic, Savva e Pellegri) in un ambiente ostile che continua a mostrare il peggio di sé.

Ed è stato bello rovinare la festa celebrativa di uno scudetto che non vincemmo per dettagli, arrivando a quattro punti dai gialloblù nella loro miglior versione di sempre, baciati da una sorte che definire benevola è fargli ancora un complimento.

Verona, i veronesi, il loro unico scudetto, i video di beceri ignoranti che mimano aeroplani.

Come si può non essere contenti per una vittoria così beffarda proprio quando tutto sembrava perduto?

Sabato sera, nell’ultima recita casalinga, ospitiamo il Milan.

Già sicuri del secondo posto, con un allenatore esautorato da società e piazza, i rossoneri sono avversari indecifrabili e capaci di alternare prestazioni offensive di buon livello (8 gol nelle ultime due) e disastrose prove difensive (4 gol nelle ultime due).

Il Toro non segna in casa dal 30 marzo scorso, Sanabria su rigore contro il Monza, e non prende gol dal 22 febbraio scorso (0-2 contro la Lazio).

Juric farà la conta tra quelli che restano, con Buongiorno in forse e proiettato verso gli Europei, Zapata acciaccato e i lungodegenti Schuurs, Djidji, Gineitis e Vlasic.

Mettere insieme una formazione sarà esercizio complesso.

Se Atene piange, Sparta non ride.

Pioli al passo d’addio dovrà fare a meno di Gabbia (squalificato) e Chukwueze (stagione finita), in dubbio ci sono Maignan, Kjaer e Loftus-Cheek.

Che atmosfera dovremmo attenderci? Lo dico senza timore di smentita: sostegno incondizionato alla squadra per i novanta minuti, nonostante
le ultime prestazioni casalinghe abbiano lasciato l’amaro in bocca, soprattutto quella contro il Frosinone.

Dopo Toro-Bologna ero piuttosto deluso, ma ripensandoci, le occasioni migliori le abbiamo avute noi e non le abbiamo sfruttate.

Sicuramente non una partita indimenticabile ma il Bologna quest’anno ha battuto a domicilio Napoli, Roma, Lazio, Atalanta e forse quel punto, in un altro momento del campionato, lo avremmo giudicato con occhi diversi.

Sabato sera, al termine della partita, l’aria sarà quella di fine scuola, sarà tempo di bilanci, o forse no.

Tutto dipenderà dal risultato che, se fosse positivo, ci manterrebbe in corsa, soprattutto in virtù del fatto che venerdì sera si gioca Fiorentina-Napoli.

Non sarà un congedo benevolo, almeno per quanto mi riguarda.

L’amarezza per i fatti di Superga ha lasciato un segno indelebile.

Il Toro si sostiene, si ama e i tifosi hanno il dovere di spingere la squadra ma quei quattro fischi d’amore (o di delusione) al termine della partita contro il Bologna non possono giustificare quel video, quelle parole, in quel particolare momento, lì, a Superga.

Eravamo al Colle in tanti per celebrare qualcosa di grande, di inarrivabile, qualcosa di unico, qualcosa che le altre squadre non avranno mai.

Una volta per tutte abbiamo compreso che quel momento non è per tutti, ma è solo nostro.

Ad un anno campione d’Italia, cresciuto a pane e racconti di Invincibili e Tremendisti. Laureato in storia del Cinema, innamorato di Caterina e Francesco, sposato con il Toro. Ho vissuto Bilbao e Licata e così, su due piedi, rivivrei volentieri solo la prima. Se rinascessi vorrei la voleé di McEnroe, il cappotto di Bogart e la fantasia di Ljajic. Ché non si sa mai.

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