Con l’Empoli, purtroppo, la tradizione è negativa.
GRAN TORINO
Preferisco il rumore del mare
Basta leggere i numeri di una storia che parte a metà degli anni Ottanta e arriva ai giorni nostri.
Spesso contro i toscani sono arrivate delusioni cocenti, sconfitte inattese, classiche bucce di banana, condite da gol incredibili e situazioni al limite del paradossale.
Abbiamo offeso la fortuna disse Tilli Romero al termine di un Empoli-Torino terminato 1-1 proprio sul gong, nella stagione più sfigata e terrificante della storia granata.
Anno di grazia 2003, anche se di grazia ce ne fu davvero poca.
Autogol clamoroso di Cribari al 91’ e vantaggio granata vanificato al 93’ da una scelta incomprensibile di Fattori che invece di calciare una punizione nel nulla a meno di trenta secondi dalla fine, compiva il più assurdo dei retropassaggi destinato al nostro portiere.
Bucci rilanciava di piede e i toscani costruivano alla disperata.
Lancio di Cribari, testa di Cappellini e sinistro dal limite di Rocchi per l’1-1 finale.
Anche sotto la Mole l’Empoli ha spesso tirato fuori dal cilindro conigli di un certo pregio.
Basti pensare alla vittoria allo scadere nel 2008 (Vannucchi) dopo due pali granata, ripetute occasioni per passare in vantaggio e diversi salvataggi del portiere toscano Balli.
Quando non ci ha pensato l’Empoli, abbiamo gentilmente concesso dei regali che nemmeno Babbo Natale e gli elfi in alta stagione.
6 maggio 2015, terzo minuto di gioco.
Giro palla, retropassaggio di Moretti per Padelli che perde il senso dell’orientamento, svirgola la palla e combina il patatrac più tragicomico della nostra storia senza timore di smentita.
La Gialappa pensò di riaprire Mai dire Gol per una edizione straordinaria.
Vittoria empolese e Toro nuovamente scornato.
Nelle ultime due partite disputate a Torino, l’Empoli, di rimonta, ha saputo cogliere punti in maniera tanto casuale quanto insperata.
2 dicembre 2021.
È lo Juric-1. Il Toro domina per mezzora. Segna due gol, ne sfiora altrettanti.
Singo domina in fascia, Pobega è straripante, Pjaca maradoneggia.
Sembra una serata perfetta, adatta per festeggiare i 115 anni del Toro che commette un unico, grande peccato: solo che non è veniale, bensì, ferale, pensando di aver vinto la partita un’ora prima della sua fine.
Singo atterra Di Francesco lanciato a rete. Colombo, arbitro alla prima in A, ammonisce l’ivoriano e assegna la sacrosanta punizione.
Peccato che al VAR ci sia l’ineffabile Mazzoleni che lo richiama al monitor, invocando un approfondimento degno della miglior puntata di SuperQuark.
Solo che Colombo non è Alberto Angela e non brilla per competenza, cambiando – o meglio sbagliando – il colore del cartellino: Toro in 10 al 30’.
Come sempre accade al Toro, due sfighe sono meglio di una e alla prima occasione, su calcio d’angolo, Romagnoli accorcia.
Colombo perde la bussola e inizia ad arbitrare con i cartellini (pessimo segnale).
Al 72’ il pareggio di La Mantia completa la rimonta. Il Toro soffre nel finale ma riesce ad ottenere un punticino striminzito.
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L’anno dopo, medesimo cliché.
Empoli alle corde, 67 per cento di possesso palla, dodici tiri in porta, nove palle gol pulite, un palo, due gol annullati tutto per un Toro scatenato ma impreciso.
Quando il castello empolese sembra per capitolare, la frittatona granata tanto inattesa quanto indigesta.
Punizione per fallo (sciocco) di Djidji. La palla giunge al centro dell’area dove Destro in rovesciata (Djidji gli lascia troppo spazio) segna con la complicità di Vanja, troppo lento ad andare giù.
Quando tutto sembra essere perduto, altra edizione straordinaria di Mai dire Gol.
Sotto una pioggia battente, rinvio di Luperto, petto di Lukic, palla in rete. 1-1.
Come potete vedere, l’excursus contro i toscani è più che vario. A tutti questi resoconti non può mancare la vittoria più rocambolesca, fortunata e rubacchiata dei nostri 117 anni di storia.
Siamo diabolici e financo machiavellici da giocarci il jolly nel giorno del nostro centesimo compleanno: 3 dicembre 2006.
Sono allo stadio.
Le emozioni sono tante, forse troppe.
I beniamini di una vita passerellano prima della partita: Gallea, Tomà, Law, Combin, Agroppi, Cereser, Puia, Rampanti, i campioni d’Italia del 1976 con in testa Paolo Pulici e poi Junior, Ferri, Annoni, Bruno, Martin Vasquez…
Insomma, una spremuta di cuore granata in un oceano altrettanto colorato.
Un gigantesco 1906 campeggia in curva: è una grande festa e l’Empoli rivelazione del campionato (miglior difesa con 9 reti subite) viene a farci visita con il chiaro intento di sgambettarci.
La partita è piuttosto tesa. Io sono riuscito ad entrare in curva con un trolley, lasciato all’ingresso nelle fidate mani delle forze dell’ordine.
Già, perché quella partita io non la vedrò tutta.
Ho un volo che parte alla volta di Lisbona e ho già prenotato un taxi.
Fine primo tempo e via a Caselle.
Il secondo tempo? Per radio come si faceva una volta.
Tutto programmato al centesimo di secondo.
Del resto, ci sono momenti che non si possono perdere e questo è uno di quelli.
Rinati dalle ceneri di un fallimento assurdo, tornati in serie A in maniera alquanto romanzesca, ci presentiamo nella massima categoria con un carico di Storia con la S stramaiuscola.
100 anni non si festeggiano tutti i giorni, data da circolettare in rosso sul calendario: impossibile mancare.
L’Empoli parte meglio, poi il Toro reagisce e chiude il primo tempo in crescendo.
Devo scappare.
Ciao Toro, mi raccomando, fatti e facci un regalo di compleanno da tre punti.
Corro verso il taxi, accendo la radio e inforco le cuffie.
Peccato che non si senta nulla.
La radio non funziona.
Poco male, il tassista mi farà il favore…
E invece no. Il tassista, il favore, non me lo fa. La radio è fissa su una stazione locale dove si trasmette musica ballabile: liscio da corso Sebastopoli a Caselle.
Chiedo per favore, il tassista non cede: “Questo è il mio gruppo che suona alla festa del – inserite il nome che vi pare – a – inserite una località della provincia torinesechepiù vi aggrada. Devo ascoltarli!”
Trenta minuti e pussa per raggiungere l’aeroporto.
Chiamo mio padre. Nessuna risposta.
Ho bisogno di sapere quanto siamo.
Entro in aeroporto, passo alla velocità della luce il varco dei controlli.
Per il check-in ho ancora pochi minuti a disposizione.
Rotolo verso il gate mentre la voce suadente di una hostess chiama il mio nome.
Arrivo trafelatissimo ed entro nel bus che porta all’aeromobile.
Cerco di scorgere una faccia amica, qualcuno che stia ascoltando la partita, che mi dica come sta andando.
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Dietro di me un rubicondo signore con tanto di cuffiette.
“Mi scusi, sta ascoltando Tutto il Calcio?”
Annuisce.
“Cosa fa il Toro?”
La risposta mi lascia basito: “Ruba. Non hanno convalidato un gol all’Empoli. La palla aveva superato la linea di porta. Stanno 0-0.”
Il Toro che ruba è un concetto che andrebbe studiato nelle migliori Università del pianeta da ricercatori di una certa levatura.
Una cosa talmente incredibile che si stenta a crederlo.
Eppure, questa volta è vero: colpo di testa di Marianini su improvvida uscita di Abbiati, intervento in extremis di Barone con palla che aveva varcato ampiamente la linea di porta.
Il guardalinee Ivaldi non se ne accorge, l’Empoli protesta piuttosto civilmente e si resta 0-0.
Arriviamo ai piedi dell’aereo, entriamo. Prendo posto mentre cerco con lo sguardo il mio “amico”.
Dietro di me scorgo un distinto signore con tanto di cuffiette.
Lo guardo e capisco che stiamo dalla stessa parte della barricata.
Scuote il capo.
Non scambiamo mezza parola, quando ad un certo punto, fa un gesto di stop con le mani, spalanca gli occhi e lancia un urlo belluino: “Comottooooooo…sì, Comotto. Ca**o. Capitan Comottoooooooooo! Golllllllll!”
Si alza in piedi, sbatte la testa contro la cappelliera e mi rifila un poderoso cinque.
Inizia un recupero infinito, il tutto mentre la gente sistema i bagagli e manca poco al decollo.
La partita finisce. Il signore si toglie le cuffie, mi guarda, sorride a denti stretti e dice: “L’abbiamo fatta sporca. Non è da Toro.”
L’aereo decolla. Proprio come quel tiro di Comotto scoccato dal vertice dell’area.
L’episodio incriminato resta nella nostra Storia come qualcosa di talmente estemporaneo che ancora oggi a distanza di anni me ne vergogno un po’.
Non siamo abituati, non abbiamo la stoffa.
Quando qualche decisione arbitrale ci viene in soccorso, restiamo quasi straniti: c’eravate in curva contro l’Atalanta due settimane fa? La gente intorno a me quasi non ci credeva. Rigore rivisto al VAR e assegnato, tutto in un colpo solo.
E badate, il rigore c’era pure, e non stavamo rubando niente.
Ecco perché quando capitano le ingiustizie, vedi Salerno, ci incazziamo ma alla fine siamo talmente disillusi che non reagiamo nella maniera con cui reagirebbero altre società e altri tifosi.
Non facciamo notizia. Non siamo scomodi per nessuno.
Non siamo danneggiati mai abbastanza e ogni volta i modi sono più beffardi e disastrosi nella loro meccanica.
Forse è meglio così. Preferisco il rumore del mare alle frasi di dirigenti, presidenti e allenatori che minacciano provvedimenti, chiedono resoconti, esigono scuse e pretendono “rispetto”.
Meglio assistere alla sospensione di arbitri in serie (Massimi è il quarto in stagione ad essere fermato dopo una partita del Toro) oppure sentire il rumore delle unghie sui vetri alla ricerca di scusanti più o meno verosimili.
Ma non è che poco poco, ci stanno facendo pagare ancora il favore del Centenario?
Ad un anno campione d’Italia, cresciuto a pane e racconti di Invincibili e Tremendisti. Laureato in storia del Cinema, innamorato di Caterina e Francesco, sposato con il Toro. Ho vissuto Bilbao e Licata e così, su due piedi, rivivrei volentieri solo la prima. Se rinascessi vorrei la voleé di McEnroe, il cappotto di Bogart e la fantasia di Ljajic. Ché non si sa mai.
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