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Da grandi portieri, derivano grandi responsabilità.
La frase non era proprio questa, ma voglio adattarla per il pezzo di questa edizione di Gran Torino dedicato a Vanja Milinkovic-Savic.
Non il portiere che meritiamo ma quello di cui abbiamo bisogno. (?)
Vanja è l’enigmatico portiere del Toro che fa discutere la piazza, nel bene e nel male, il giocatore più sotto i riflettori dell’intera truppa di Juric, l’unico che a fronte di dati statistici di alto livello, non riesce a conquistare la fiducia del tifoso granata.
Ognuno di noi, frequentatori di stadio e no, ha avuto nella sua vita di tifoso, una idiosincrasia verso uno o più calciatori.
Generalmente se ne sceglie uno a stagione, gli si affibbiano nomignoli e soprannomi poco simpatici, ma soprattutto lo si elegge come capro espiatorio di tutte le malefatte, le disgrazie, le sventure e le sconfitte della propria squadra del cuore.
Con Vanja la situazione non è molto diversa ma si acuisce perché lui è il preposto a evitare di raccogliere palloni dal fondo della rete.
Ma non è solo questo il problema.
A lui si imputa di non dare serenità alla difesa, di essere insicuro e indeciso, soprattutto nelle uscite dove, anche grazie alla sua stazza, dovrebbe essere dominante.
E da qui partono tutta una serie di considerazioni che, nell’analisi e nelle valutazioni, dovrebbero essere prese in considerazione e che invece si basano sulle sensazioni personali.
Partiamo dal presupposto che il ragazzo è stato scelto dal Manchester United e da Sir Alex Ferguson in persona.
Ora, nessuno è infallibile, anzi, ma tendenzialmente, credo che Ferguson, di calcio, ne capisca sicuramente più di molti di noi.
La carriera di Vanja al Manchester non prese mai il volo per via di un permesso di soggiorno mai arrivato e così il serbo entrò in Inghilterra, perdendo il treno che probabilmente fa di Vanja il portiere che è, o non è – se preferite, adesso.
Mi spiego, anzi lo faccio attraverso le parole di Ivan Juric che ha ricordato: È un ragazzo che ha tantissime qualità ma ha tanto lavoro davanti a sé. Deve migliorare su molti aspetti. Come struttura da portiere, come gioco coi piedi, ma anche come personalità, devo dire, stiamo parlando di un livello molto alto. Deve però migliorare su altre cose con tanto lavoro. Secondo me in passato non ha lavorato così tanto come avrebbe dovuto.
Molto probabile che gli anni passati tra Vojvodina e Legia Varsavia, i primi della sua carriera, non siano stati sfruttati a dovere per costruirlo tecnicamente.
Già, perché è evidente che Vanja sia un portiere costruito e non un istintivo, uno nato tra i pali.
Altresì è vero che con i portieri ci va pazienza, perché si dice, maturino dopo.
Certo è che il peregrinare tra Spal, Ascoli e Standard Liegi non lo ha certo aiutato a crescere.
Questo perché come molto spesso accade, quelle squadre non si sono rivelate adatte alla sua condizione e le dinamiche ambientali probabilmente non lo hanno aiutato.
Di certo, Milinkovic-Savic, non ha dimostrato di essere all’altezza risultando spesso il dodicesimo, giocando poco e niente.
A questo punto, ci viene in soccorso la matematica: in carriera, Vanja ha giocato al Toro, 111 partite (SerieA, Coppa Italia), 19 al Vojvodina, 29 al Legia, 3 con SPAL e Standard Liegi, 8 ad Ascoli a cui vanno sommate 18 presenze con la nazionale serba.
Risultato? A 27 anni, 191 presenze.
Alert. Non sono paragoni sulle qualità dei portieri che andrò a citare ma un semplice confronto sui numeri.
Prendiamo qualche portiere di serie A.
Provedel, portiere che l’anno scorso è stato il migliore della Serie A, ha 30 anni. All’età di Milinkovic-Savic aveva collezionato in carriera più di 200 presenze tra A (pochissima), B e C.
Terracciano, Fiorentina, 32 anni. A 27 anni aveva 2 presenze in A e un totale di 131 in tutto tra A, B e C.
Skorupski, Bologna, 32 anni. A 27 anni, aveva 151 presenze tra Serie A, Campionato polacco di massima divisione, Coppa Italia, Champions, Europa League a cui va aggiunta una presenza con la nazionale polacca.
Falcone, Lecce, 28 anni. L’anno scorso a fine campionato contava 50 presenze in A e in tutto 177 presenze tra A, B e C.
Eppure, la sensazione è che solo quelle di Milinkovic-Savic non siano sufficienti e che l’esperienza accumulata non sia un valore che prima o poi riscopriremo.
I portieri vanno aspettati?
Teoricamente sì, anche se, in realtà non funziona così nemmeno per i giocatori di movimento.
Di sicuro l’attenzione verso gli estremi difensori è differente.
Faccio un esempio. Mile Svilar, serbo, portiere della Roma.
Esordio in Champions League a 18 anni con il Benfica ed errore madornale del ragazzino che abbranca in presa il pallone e invece di fare un passo avanti, ne fa uno indietro portando la sfera oltre la linea di porta. Autogol, beata gioventù.
Ma Svilar, 25 anni, nemmeno 100 presenze tra i professionisti, solo sette anni dopo sta riuscendo a mostrare le sue qualità.
Torniamo al Toro.
Fate esercizio di memoria, abbiamo avuto portieri o calciatori che sono esplosi dopo un periodo di difficoltà dovuto a lacune tecniche o inesperienza?
Io qualche nome ce l’avrei ma preferisco farvi lavorare con la memoria…
In generale, comunque, il calcio non contempla pazienza né tantomeno indulgenza.
Vanja ha mostrato diverse insicurezze nel recente passato e agli occhi del tifoso, quegli errori pesano e continueranno a pesare come macigni.
Faccio l’esempio di quelli del derby d’andata.
Errori da matita blu, che inevitabilmente hanno fatto emergere ancora una volta, se possibile, lacune ataviche.
Zenga, lei ha fatto diverse uscite a vuoto, ma una di queste ce la ricordiamo bene.
Cit.
Su quegli errori che stanno marchiando a ferro e fuoco la stagione di Vanja, non c’è molto da aggiungere se non che, almeno sul secondo, mi sarei aspettato che i difensori portassero dei blocchi per agevolarlo.
Quegli errori vengono usati da molti per ricordare la sua idiosincrasia nelle uscite alte e che portano i più a porsi la più classica delle domande: perché un portiere così alto non esce mai?
A questa domanda, generica e non specifica sul nostro, mi rispose una volta un grande ex portiere granata, Luca Marchegiani, durante una pausa lavorativa negli studi di Sky Sport.
- Come mai i portieri escono poco? O non escono più come facevi tu?
Non escono perché l’uscita non è più un fondamentale allenato. Non escono perché hanno paura di fare la figuraccia. Perché l’area di rigore tra avversari e compagni è intasata e hanno paura di restare fregati, anche perché in quel marasma non si sa mai se gli arbitri fischiano eventuali cariche e infine perché la scelta conservativa è quella di restare tra i pali a coprire lo specchio. Se prendo gol, pace. È una scelta. Ma almeno evito papere, uscite a vuoto e critiche.
Allo stadio, nello spicchio di curva dove mi sistemo normalmente, al numero trentadue granata, vengono chieste uscite ad ogni piè sospinto, anche quando sarebbe oggettivamente giusto non farlo (parlo di palloni a uscire).
Esci! - Credo sia la parola che Vanja ha sentito di più da quando è al Toro.
Tant’è.
E lui, in questo campionato, è uscito, bloccando o respingendo, il 9.3% dei cross recapitati dagli avversari: 29 su 313 per la precisione mentre chi lo precede, Martinez (Genoa) e Maignan (Milan) ne hanno 34.
La percezione parrebbe non supportata dai dati.
Il gioco con i piedi.
I portieri moderni devono saper giocare con i piedi: il mantra è stato oramai sviscerato in tutte le sue declinazioni.
Come ben sappiamo il nostro portiere è protagonista principale del gioco di Juric, uno degli interpreti più sollecitati nel far partire l’azione e, allo stesso tempo, usato dai compagni in fase di possesso, diventando un vero e proprio giocatore di movimento.
Sfatiamo un altro falso mito. Milinkovic gioca con i piedi (è il primo per numero di lanci, 600) ma i suoi lanci non sono emblema di precisione.
Per dirla tutta, il nostro è quart’ultimo nella classifica dei rilanci completati (per lancio completato si intende lancio che termina sulla testa o sui piedi di un compagno) ma è pur vero che spesso i suoi passaggi a lunga gittata (i più lunghi in media tra tutti i portieri del campionato - 60 metri e rotti) si rivelano delle gatte da pelare per le difese avversarie e agevolano il gioco di recupero delle seconde palle da parte di attaccanti e centrocampisti.
E tra i pali?
Tra i pali Vanja è un portiere che, complice la sua altezza, fatica ad andare giù e i palloni bassi e angolati sono il suo tallone d’Achille.
Vanja però ha subito 108 tiri nello specchio e ne ha parati 84, per una percentuale dell’81,5%, subendo appena 24 gol (il Toro ne ha subiti 26 ma 2 sono stati incassati da Gemello).
Il Toro subisce poco, lo sappiamo, ma per parate compiute il serbo è quarto (Falcone, Di Gregorio, Montipò, sul podio), mentre percentualmente è terzo dietro a Sommer (Inter), primo, e Di Gregorio (Monza), secondo.
Insomma, la percezione ogni tiro è un gol appare anche qui, non supportata dai fatti.
Per fortuna, direi.
Vanja paga per tutti.
Paga anche quando non dovrebbe, cioè quando la squadra non prende gol (Non hanno mai tirato in porta, per forza) o quando fa il suo dovere (Si vabbè, però tutte parate normali, niente di straordinario).
Come se dovessimo sperare di essere investiti di tiri, anche difficili, solo per poter dire: Ecco, vedi, non li ha presi tutti.
Ripeto spesso che Milinkovic-Savic non è diverso da altri portieri della nostra serie A che alternano buone prestazioni ad errori più o meno macroscopici.
Basta guardare le partite del nostro campionato per accorgersi che di papere se ne vedono tante anche da parte di portieri molto più quotati (penso a Maignan che è uno dei più forti al mondo ma che ha preso non so quanti gol sul proprio palo, a memoria quelli più eclatanti, Frosinone e Bologna).
Quando una squadra non prende gol, i meriti possono essere solo ed esclusivamente dei difensori? Sappiamo bene che l’impostazione difensiva è un meccanismo complesso, ma come è possibile sentir dire che il nostro portiere non c’entra nulla nei numerosi clean sheets che la squadra sta collezionando?
Un’ipotesi alquanto bizzarra, non trovate?
Come se dicessimo che la colpa dei pochi gol segnati sia esclusivamente degli attaccanti.
Però non vedo la stessa indulgenza con i tanti errori marchiani che hanno commesso i nostri là davanti, penalizzando e non poco, il cammino della squadra e che, dall’inizio del campionato avrebbero prodotto qualche punticino in più.
Il peso è diverso? O meglio, perché lo è ai nostri occhi?
Nell’ultima casalinga contro la Fiorentina, sono piovuti fischi, i soliti mugugni, gli sberleffi, eppure Vanja aveva fatto il suo con due interventi (uno su Bonaventura, prodigioso e uno su Nico Gonzalez, facile ma sicuro in respinta) importanti che avevano salvato il risultato.
La settimana dopo, a Napoli, Milinkovic-Savic è stato il migliore del Toro, eppure sembra aver fatto soltanto il suo.
La normalizzazione di una prestazione eccellente che, agli occhi dei tifosi, non conferma i progressi del campionato in corso e viene considerato un exploit. Un cortocircuito.
Eppure, vedete? Anche qui io parlo di progressi, come se per il portiere serbo fosse necessario continuare a parlare di un processo di apprendimento, un esame, di Eduardiana memoria, che non finisce mai.
L’anno scorso per un mio pezzo sulla stagione del Toro ho guardato tutti gli highlights del campionato granata.
Di tutte quelle partite, Milinkovic-Savic viene ricordato per gli errori e non per le parate, anche belle e importanti che aveva compiuto.
Forse abbiamo un problema ben più grave di un portiere dal rendimento altalenante.
Non credo che Vanja venga criticato per i suoi alti e bassi ma perché non è un portiere che eccelle o che accende la fantasia dei tifosi: non è plastico, non è appariscente quando para, non garantisce sicurezza.
E quando proviamo a leggere i suoi numeri, la cosa incredibile è che non siamo sereni nel valutarlo, proprio per quanto detto in precedenza.
E lo so, che parlare di clean sheets è tabù (14, terzo portiere nei più importanti 5 campionati d’Europa) e non basta a convincerci, ma quante volte la squadra non ha segnato?
Undici volte, un dato importante per capire che quelle partite senza reti subite ci stanno consentendo di vincere partite con scarto minimo, tenendoci lì, a due passi dall’Europa, che sensazione mia, raggiungeremo se, e solo e se, continueremo a non subire reti.
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