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Vanoli talks

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Torna "Gran Torino", la rubrica a cura di Danilo Baccarani, con un nuovo appuntamento
Danilo Baccarani
Danilo Baccarani Columnist 

Con l’approdo di Paolo Vanoli sulla panchina del Toro si apre una nuova era.

Il tecnico lombardo sarà il sessantanovesimo allenatore della storia granata, il quindicesimo dell’era Cairo.

Una scelta che, devo ammettere, mi ha spiazzato, convinto che Cairo avrebbe puntato ancora una volta su un tecnico navigato e non su un allenatore promettente e in rampa di lancio.

Invece la società ha puntato forte su uno degli allenatori più considerati dagli addetti ai lavori, inesperto per la categoria, ma apprezzato per la sua gavetta al seguito di allenatori affermati quali Conte e Ventura, dopo anni di lavoro nelle nazionali giovanili azzurre.

Martedì scorso, finalmente, è stato presentato alla stampa.

I tifosi che avevano avuto l’opportunità di vederlo all’opera in un caldo pomeriggio di luglio al Filadelfia hanno potuto finalmente ascoltare le sue parole in una conferenza stampa non banale per i concetti espressi.

In questi giorni di ritiro a Pinzolo, attraverso il lavoro di reportistica fatto da amatori e da giornalisti d’assalto, influencer granata e media, si possono intravedere le sue modalità di lavoro e invito tutti i lettori a guardare i video che si possono trovare in rete per capire la sua meticolosità.

Durante il primo allenamento al Filadelfia avevo notato la sua “presenza” fisica, sempre nel vivo dell’azione, degli esercizi, al fianco dei calciatori che sono costantemente accompagnati da incitamenti e da consigli, talvolta da rimbrotti.

Ascoltando la conferenza stampa, estrapolandone i concetti e le parole, ho provato ad analizzare temi e parole, rivolgendomi in prima persona al nostro nuovo allenatore.

Mister, non Le nascondo che il Suo avvento sulla panchina del Toro mi incuriosisce.

Mi aspetto una squadra da battaglia, pressing, costruzione dal basso e tante verticalizzazioni.

Sono curioso perché serviva una ventata di aria fresca, curioso di scoprire i Suoi principi di un gioco né dogmatico né tantomeno monolitico (basti pensare che ha giocato sia a tre che a quattro nel reparto difensivo).

Ma torniamo alla conferenza stampa e alle Sue parole.

A domande piuttosto classiche, Lei ha risposto con chiarezza, lasciandosi andare a qualche confessione e qualche sorriso.

Ma quando si è trattato di spiegare alcuni concetti è apparso serio, piuttosto diretto ed entusiasta.

La parola che ha pronunciato più volte è storia, ben cinque.

Mister, se lo lasci dire, è partito alla grande.

Parlare di storia in un club come il Toro significa aver centrato il bersaglio ed è giusto conoscerne la storia e pretendere che i giocatori sappiano cosa vuol dire farne parte.

Una parola che si lega inevitabilmente alla sua prima volta a Superga da allenatore del Toro.

Un gesto che apparentemente è simbolico ma che porta con sé diversi significati.

Innanzitutto, la conoscenza di questa Storia, il rispetto che si deve a quegli uomini e infine, ai suoi nuovi tifosi.

Ho apprezzato il gesto e come me, molti, se non tutti.

Mister, le do un consiglio: salga sul colle da solo lontano da occhi indiscreti.

Coglierà sfumature importanti, troverà motivazioni insospettate, respirerà la vera essenza dello spirito granata.

Senza retorica, senza giri di parole. Lassù è custodita la nostra anima.

Se anche solo per un tratto del suo cammino e della sua carriera sarà uno di noi, assapori questo elisir. Si fidi.

Il verbo lavorare è quello che ha usato di più.

La cultura del lavoro fa inevitabilmente parte del Suo bagaglio tecnico e culturale.

Come un martello pneumatico, in allenamento chiede la ripetizione degli esercizi, mentre in conferenza stampa ripete il termine, lavoro, parla di sacrificio, di maniacalità.

Si vergogna (dice) del suo atteggiamento in campo ma spiega che è mosso da una grande passione (ci torneremo).

Il lavoro come stella polare del Suo intendere il calcio, la ricerca della perfezione, del dettaglio, della mentalità.

Insomma, mi pare un tipo piuttosto preciso, puntiglioso che ricerca la professionalità e ha voglia di insegnare.

Idea. Lo ripete quattro volte.

Di calcio, di gioco.

Una parola tanto bella quanto vasta, inafferrabile nella sua interezza.

Un'idea, un concetto, un'idea

Finché resta un'idea è soltanto un'astrazione

Se potessi mangiare un'idea

Avrei fatto la mia rivoluzione

Cito Gaber, ma la Sua rivoluzione passerà proprio da questo concetto e avrà bisogno della sua applicazione attraverso il lavoro, attraverso il sacrificio, attraverso una nuova mentalità.

L’idea di gioco.

Provo a immaginarla ma non riesco a figurarmi la sua applicazione.

E nasce, nuovamente, la curiosità nel vedere gli interpreti alle prese con l’idea.

Vlasic in una posizione nuova? La difesa a tre o a quattro? I tanto agognati inserimenti dei centrocampisti e due punte vicine che si cercano con frequenza, magari assistite da frequenti verticalizzazioni.

Non lo so, immagino e forse fantastico anche.

Però l’idea di gioco spero non sia un intento che rimane soltanto sulla lavagna tattica dello spogliatoio.

Abbiamo bisogno di vedere calcio.

Poi parla di valori e ripete questa parola ben quattro volte.

La usa per citare Zapata (“Uomo che rispecchia i valori del club") e toglie tutti dall’imbarazzo generale di indicare un nuovo capitano all’interno di uno spogliatoio a cui servono molti leader.

Scelta invocata da molti tifosi, me compreso, durante l’allenamento al Fila e comprensibile per via del carisma di un ragazzo che ha mostrato sin da subito attaccamento alla maglia.

I valori del club, annacquati da oltre trent’anni, risciacquati e rimessi a nuovo per questa conferenza stampa in cui Lei ha voluto accostarsi agli stessi (“Il Toro rispecchia i miei valori”).

Una società che ha valori unici che Lei pretende vengano rappresentati dai giocatori.

In una parola, l’essenza. Ancora una volta un filo rosso che Lei ha provato a srotolare cercando di unire i puntini sulla mappa dell’essere granata.

Valori, appartenenza, identità.

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Le parole passione, responsabilità e orgoglio sono state ripetute per tre volte.

Abbiamo già citato la prima come il motore che La muove perché, come dice: “Il calcio è una grande passione.”

Lo dice e mette in chiaro le cose sin da subito. Sente la necessità di spiegare che è la passione che La porta ad andare oltre, ma allo stesso tempo sente la necessità di trasferirla ai suoi giocatori.

Passione. Qualcosa che si accende, come un sentimento amoroso.

La passione che non farà fatica a ritrovare a Torino, per le strade, allo stadio, al Filadelfia.

Si lasci travolgere Mister. Non rimarrà deluso.

Responsabilità.

Sì, caro Mister. Ha una grande responsabilità. Inutile nasconderlo. E gliene verrà chiesto conto ad ogni piè sospinto.

Ma la responsabilità è legata al comportamento e a quanto è congruo.

Questa non è una panchina come le altre, non è una piazza come le altre.

Chieda. Non abbia timore a fermare la gente per strada, a parlare con i tifosi, con gli ex giocatori.

La responsabilità sta nel guardare verso Superga e, rispettosamente, poter dire di aver fatto tutto quello che era in suo potere per vincere le sfide, crescere, costruire qualcosa di importante.

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Orgoglio.

Certo Mister, deve averne e deve essere orgoglioso del percorso intrapreso, orgoglioso di rappresentare questi colori, questa società, questa gente, di far parte di questa storia, di questa comunità.

Giustamente Lei è orgoglioso del Suo lavoro, della Sua gavetta che Lei rivendica (due volte) con la giusta dose di fierezza e me lo lasci dire, di modestia.

Nelle pieghe delle Sue parole si ritrova anche il tema del sacrificio, legato a doppio filo al lavoro e a quella maniacalità di cui abbiamo già parlato precedentemente.

E a noi granata il sacrificio piace.

La maglia granata sudata fino a farla diventare di un color vinaccia scuro scuro, come un buon rosso da osteria.

Sacrificarsi qui è un marchio di fabbrica e che se ne parli come di un tema che si accompagna a organizzazione, mentalità e lavoro, tocca le giuste corde.

Parla di pressione che serve per trovare la giusta mentalità, non sembra preoccuparsi della pressione, anzi, la ricerca per alzare l’asticella, per spingersi oltre, per inculcare una mentalità vincente.

Parole piene di entusiasmo per un allenatore che a quasi cinquantadue anni si gioca la sua grande opportunità nel massimo campionato, accompagnato da importanti endorsment piovuti qua e là.

In Vanoli I trust, non fosse altro perché non mi resta che affidarmi alla competenza e all’entusiasmo di un allenatore ambizioso che vuole imporsi con la sua idea di gioco, la sua mentalità, i suoi metodi.

Niente filosofie, niente sofismi, cultura del lavoro, valori, identità, passione.

La nostra storia nelle Sue mani, Mister.

Chiudo.

Mister, Lei ha iniziato la sua conferenza, dopo i ringraziamenti di circostanza, rispondendo in maniera perfetta alla prima domanda che Le hanno fatto.

L’ho notato subito. Guardi, non è un fatto banale.

Lei ha esordito dicendo: “Il Toro rappresenta la storia più importante del nostro mondo calcistico.”

Il Toro. Non il Torino.

Non è una cosa da poco.

Buon lavoro Mister.

So che è un augurio che coglierà con piacere.

Benvenuto tra noi.

 

Ad un anno campione d’Italia, cresciuto a pane e racconti di Invincibili e Tremendisti. Laureato in storia del Cinema, innamorato di Caterina e Francesco, sposato con il Toro. Ho vissuto Bilbao e Licata e così, su due piedi, rivivrei volentieri solo la prima. Se rinascessi vorrei la voleé di McEnroe, il cappotto di Bogart e la fantasia di Ljajic. Ché non si sa mai.

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