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A che gioco giochiamo?

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Torna "Granata dall'Europa", la rubrica di Michele Cercone con un nuovo appuntamento
Michele Cercone Columnist 

La prima domanda è per Juric: a che gioco gioca il Toro? La cifra stilistica della sua avventura da noi è stata l'aggressività e la vis pugnandi dimostrata sul campo dai giocatori. Abbiamo rivisto una squadra affamata, capace di chiudere all'angolo avversari di tutti i livelli anche con un organico incompleto e dalle qualità limitate. L'abbiamo spesso pagata con dei finali di gara allo stremo, cedendo campo e iniziativa, ma vivaddio abbiamo potuto tifare per un Toro arrembante, calato in pieno nella sua storia e nei suoi valori, in cui i tifosi potevano riconoscersi. Assistiamo ora ad un cambio di direzione improvviso e inatteso quanto infruttuoso: si cerca la costruzione, il fraseggio, il possesso palla e si finisce per imbottigliarsi sulle fasce in azioni sterili e prevedibili. I nostri avanti bivaccano vicino all'area avversaria in attesa di essere saltati dal lancio del portiere o da un dribbling che scompagini in un solo colpo centrocampo e difesa. Il motivo di questo cambio di atteggiamento è difficile da capire: i giocatori sono gli stessi, il livello di qualità è addirittura calato, ma ora vogliamo usare usiamo il fioretto invece della spada, il ricamo invece dell'affondo. Che le nostre punte non siano macchine da gol lo sapevamo, ma se si sceglie una strategia che non porta più pericoli e palloni in area avversaria allora prepariamoci ad una stagione con meno reti ancora della precedente (già asfittica). Stavolta dal mercato il mister ha avuto buona parte di quello che ha chiesto, sta a lui adesso non impantanarsi in riflessioni onanistiche sul calcio champagne e sulla ricerca di un livello qualità che non è intrinsecamente parte di questo progetto.

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La seconda domanda è per la società: a che gioco si gioca sul mercato? Mantenere i più forti non è e non puo' essere un punto d'arrivo. Deve invece essere un punto di partenza, e ai migliori dello scorso anno bisogna aggiungere qualità talento e muscoli per aspirare a qualcosa in più. Limitarsi a ricostruire la compagine della scorsa stagione è come rifare un puzzle già fatto aspettandosi di vedere spuntare un'immagine diversa: un'illusione. Tra le squadre di serie A non sono pochi gli esempi di giocatori poco conosciuti o giovani scovati in campionati meno battuti che stanno facendo il salto di qualità, fornendo un valore aggiunto notevole alle loro squadre.

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Possibile che da noi i profili reclutati debbano essere sempre gli stessi? Da Karamoh a Radonjic, da Vlasic a Lazaro passando per Praet e a Miranchuk il denominatore comune è che erano (e alcuni sono) giocatori ai margini delle loro squadre. Chiaro che scommettere in continuazione su giocatori che per motivi fisici, caratteriali o di ambientamento non sono più inclusi nei progetti delle società d'appartenenza non è certo una garanzia di successo, e, al contrario, sembra più il segnale di una limitata capacità di scouting e di scarsa abilità nello scovare talenti.

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La terza domanda è per il presidente: a che gioco giochiamo con i tifosi? La contestazione si estende in maniera vistosa e capillare. Il malcontento va molto oltre quello che si può percepire allo stadio. Far finta di niente o limitarsi a guardare solo cio' che conviene non è un'approccio efficace. Lo strappo c'è ed è destinato ad allargarsi: è arrivato il momento di prenderne atto e di capire anche le ragioni di chi critica in modo fermo e costruttivo. Una squadra di calcio è i suoi tifosi. Questo è un assunto che chi decide di investire nel pallone deve sempre tenere presente. I tifosi non sono azionisti nè membri del consiglio d'amministrazione, ma sono l'anima e la storia di una società calcistica. La società fallita di Cimminelli e rilevata da Cairo era solo un involucro vuoto e senza i tifosi il mero cambio di proprietà non sarebbe servito a niente. Così come a Napoli, Firenze e Genova (per la Samp) sono i tifosi i depositari di tutti quello che può far rinascere una squadra dalle sue ceneri. E' arrivato il momento di avvicinarsi e capire le loro richieste, accettare le loro critiche e imparare anche come gestire meglio il patrimonio comune che è il Toro.

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La quarta ed ultima domanda è per l'Associazione italiana arbitri: a che gioco giochiamo in serie A? Le regole sono davvero uguali per tutti? Il primo rigore fischiato a favore del Milan è un'aberrazione dal punto di vista del calcio giocato e un pugno in faccia a tutte le regole stabilite per decidere se un fallo di mano è da punire o meno. Siamo sicuri che a parti invertite la VAR sarebbe stata altrettanti pignola e attenta ad un episodio casuale, marginale e che non ha influito in alcun modo sullo sviluppo dell'azione? Siamo proprio certi che avrebbe mandato al monitor uno zelante giudice di gara che sul campo non aveva rilevato, giustamente, alcuna irregolarità? A guardare le immagini del gigantesco e sacrosanto rigore non dato al Bologna, senza che la VAR si disturbasse neanche a sollevare un dito, e a riascoltare il clamoroso ''palla … palla!!!'' urlato in occasione dell'intervento di Bastoni sulla caviglia di Belotti qualche anno fa, viene proprio da pensare che continuano ad esserci squadre più uguali di altre.

l Toro, il giornalismo e l'Europa da sempre nel cuore. Degli ultimi due ho fatto la mia professione principale; il primo rimane la mia grande passione. Inviato, corrispondente, poi portavoce e manager della comunicazione per Commissione e Parlamento Ue, mi occupo soprattutto di politica e affari europei. Da sempre appassionato di sport, mi sono concesso anche qualche interessante esperienza professionale nel mondo del calcio da responsabile della comunicazione di Casa Azzurri. Osservo con curiosità il mondo da Bruxelles, con il Toro nel cuore.

Disclaimer: gli opinionisti ospitati da Toro News esprimono il loro pensiero indipendentemente dalla linea editoriale seguita dalla Redazione del giornale online, il quale da sempre fa del pluralismo e della libera condivisione delle opinioni un proprio tratto distintivo.

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