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La Maratona è la stella polare del Toro. E' lei a indicare la direzione, ed é sempre lei ad avvertire anche prima che avvengano, i mutamenti cruciali. La curva raccoglie umori, sensazioni e percezioni dei tifosi e li centrifuga in un'onda d'urto che colpisce (anche fisicamente) giocatori granata ed avversari. Saper leggere questa sorta di sismografo umano é indispensabile per capire il Toro. Minimizzarne il malcontento e sottovalutarne la portata é un grave errore, che puo' avere conseguenze catastrofiche. La scelta della Maratona di fischiare pesantemente la sconfitta con il Frosinone e di disertare l'inizio del match con il Sassuolo, ripetendo cori rabbiosi anche durante la partita, é la spia di una frattura di cui società ed allenatore farebbero bene a prendere atto immediatamente.
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Non si tratta di un episodio puntuale, e neanche di un malcontento legato ai recenti risultati. E' un'espressione di sofferenza feroce, è il tracimare di sentimenti accumulati per anni, che ormai neanche più gli argini del ''solo per la maglia'' riescono a contenere. La Maratona non riconosce in questa società il giusto alveo in cui far scorrere i valori e la storia del Toro. La contestazione é in corso da tempo, ma il fuoco del malcontento sembra adesso divampare più forte e si sta estendendo ad una larga parte della tifoseria. Se agli inizi Juric era riuscito a creare un cuscinetto, assorbendo parte dell'attrito, ora neanche il mister riesce più a farsi garante di quel granatismo che i tifosi pretendono. La sua reazione scomposta alla fine della gara con il Sassuolo illustra quanto siano tesi i suoi nervi, e quanto anche lui sia lontano dal capire l'urlo giustissimo e ferino della curva.
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La tregua stabilita sembra quindi più un labile cerotto che una vera medicina; servirà ben altro per ricucire la scollatura che si sta creando tra tifosi e squadra. Ma le crescenti difficoltà di rapporto tra mister, giocatori e tifosi sono solo il sintomo di un malessere più ampio. La vera frattura é quella che si sta verficando tra il cuore pulsante della tifoseria e la società. Fino ad ora, la Maratona aveva fatto una scelta precisa: tifare la maglia, a prescindere da tutto il resto. C'era quindi una sottile linea che permetteva di distinguere il tifo per un'ideale di Toro (platonico verrebbe da dire), dalla frustrazione per una società considerata non all'altezza delle ambizioni e della tradizione granata. E' quello che molti tifosi esprimono facendo riferimento al ''Torino di Cairo''come ad un'entità transitoria distinta dal ''Toro'' sempiterno. Questa separazione, per quanto ingenuamente fittizia, ha comunque avuto il merito di introdurre un modus vivendi in cui anche i tifosi più critici potessero continuare a sostenere il Toro pur mantenendo le distanze dalla società. Ora sembra pero' che i contorni di questa strana – ma funzionale - dicotomia stiano sbiadendo, e il rischio che la contestazione di estenda a tutto e a tutti, senza distinzione di sorta, diventa reale.
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Sarebbe uno scenario tragico, capace di travolgere il Toro in tutte le sue dimensioni e di lasciare sul terreno solo sconfitti. Il Toro ideale, non materializzato in una sovrastruttura storica, esiste solo nel pensiero dei tifosi, e le tribolazioni post-fallimento lo hanno mostrato con crudo realismo. Dall'altro lato pero' la sovrastruttura svuotata dalla sua ragione di esistere (incarnare un ideale di cui i tifosi sono custodi e celebranti) non ha senso. Con gli improperi, le urla di constestazione e i fischi, la Maratona sta urlando la rabbia di non sentirsi capita e chiede che i tifosi - bussola naturale del Toro – siano una parte più centrale di un progetto capace di ascoltarne necessità e indicazioni. Sta alla società dare una risposta concreta e senza ambiguità a questo grido da amante ferito e evitare una lotta del Toro contro se stesso in cui non potrebbero esserci vincitori.
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