granata dall’europa

Fardelli d’Italia

Italia
Rubriche / Torna un nuovo appuntamento con la rubrica “Granata dall’Europa”, a cura di Michele Cercone

Aspettando di capire che Toro ci riconsegnerà il campionato, la pausa ha permesso di seguire un ricco palinsesto di incontri delle nazionali italiane in diversi sport. Ad aiutarmi a riprendermi dalla disfatta (vissuta purtroppo dal vivo) della nazionale di pallavolo femminile a Bruxelles, ha contribuito una lunga sequenza di basket, volley maschile e rugby. In questi sport - minori solo per chi giudica tutto con i numeri– ho ritrovato la gioia di seguire e di tifare i colori azzurri. A farmi riscoprire sensazioni quasi nostalgiche sono state l'energia, la voglia e il senso di appartenenza che i ragazzi alle prese con palle di ogni forma e dimensione hanno mostrato. L'orgoglio di rappresentare il proprio paese era evidente nei ragazzi del basket, che hanno saputo creare un gruppo capace di andare ben al di là del valore dei singoli. Il simbolo è stato Gigi Datome (all'ultima in azzurro) che con la nazionale si è identificato e sacrificato per oltre 15 anni, dimostrando valori e senso di appartenenza antichi. Alla fine della partita di volley con la Macedonia del Nord (rotondissimo 3-0), l'intervistatore non riusciva a portare al microfono  l'allenatore Fefè de Giorgi, impegnato in una sorridente discussione a distanza con le tribune. La spiegazione: ''stavo salutando una tifosa che ha avuto mio fratello come insegnante alle medie''. E' bastato questo episodio per capire che aria si respira nel gruppo azzurro, compatto e unito dietro ad una persona vera che nel time out dell'unico momento di flessione ha alzato la voce di appena mezzo tono per rimproverare i suoi ragazzi con un: ''embe', che è sta foga?''. Anche l'Italia multicolore del rugby ha offerto un bellissimo spaccato di un mondo in cui ci si legna di santa ragione per 80 minuti, per poi trovarsi insieme tra complimenti e cameratismo in mezzo a cerotti, tagli e lividi. Il riuscito melting pot della nazionale di palla ovale - una delle poche ad avere un allenatore non italiano - mostra la strada da percorrere per far crescere un movimento sportivo in maniera efficace, cominciando ad aprire le porte fin dalle giovanili a quelli che italiani vogliono e decidono di essere, e non investendo tutto su chi deve esserlo per forza e vive la nazionale come un peso. A fare da contraltare a questi esempi vivificanti di come si puo' vivere l'orgoglio azzurro, c'è come al solito la nazionale di calcio, che continua stancamente a trascinarsi e a trascinarci verso abissi di mediocrità a cui ormai ci stiamo assuefacendo. Spicca in questa dimensione – e lo dico anche in base all'esperienza personale – la netta differenza tra il peso dell'individualità e quello della squadra. Se negli sport citati l'obiettivo del singolo è mettersi a disposizione del gruppo per raggiungere un buon risultato, nel calcio spesso i giocatori si limitano a considerare il gruppo come un mezzo per assicurare la propria visibilità. I limiti di questo approccio si possono nascondere se le individualità sono quelle di talenti assoluti come Totti, Maldini, Nesta etc…, ma nel momento in cui il livello  di qualità dei giocatori scende, il cammino verso il declino diventa inarrestabile. Che questo sia un problema che riguarda soprattutto il mondo del pallone lo confermano le recenti disastrose avventure dell'under 21 e della nazionale femminile. Interferenze dei procuratori, epurazioni, faide interne, lettere al vetriolo: tutti esempi di come un clima avvelenato dall'individualità esasperata stia minando alla base l'essenza stessa della nazionale che dovrebbe invece obbligare a mettere se stessi al servizio di un principio più alto e più importante. Dubito che nel mondo del calcio attuale si possano ridurre alla ragione questi fardelli d'Italia e fargli capire che hanno l'onore e l'onere di rappresentare un intero paese. Teniamoci stretti allora, e valorizziamo di più tutti quei ragazzi che in campi dalle forme e dai colori più svariati cantano l'inno di Mameli sentendo ancora i brividi.

Il Toro, il giornalismo e l'Europa da sempre nel cuore. Degli ultimi due ho fatto la mia professione principale; il primo rimane la mia grande passione. Inviato, corrispondente, poi portavoce e manager della comunicazione per Commissione e Parlamento Ue, mi occupo soprattutto di politica e affari europei. Da sempre appassionato di sport, mi sono concesso anche qualche interessante esperienza professionale nel mondo del calcio da responsabile della comunicazione di Casa Azzurri. Osservo con curiosità il mondo da Bruxelles, con il Toro nel cuore.

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