Nuova pausa per le nazionali - tra i postumi non ancora smaltiti della stracittadina e qualche pensiero all'Inter - e nuovo palinsesto sportivo che cerca tristemente di sopperire all'assenza della portata principale con una pletora di analisti, esperti e commentatori intenti ad indagare il nulla ben nascosto tra le pieghe del pallone. A saltare agli occhi (forse meglio dire alle orecchie) è l'uso spropositato di un aggettivo che ormai viene utilizzato in qualsiasi occasione, e (come una sorta di granchio blu del dizionario), divora al suo passaggio ogni termine autoctono e differenziato. Si tratta dell'aggettivo ''importante'', che si è ormai imposto in molti settori, ma che trova il suo domicilio d'elezione nel mondo pallonaro. Il giocatore non è trascinante, carismatico o prestigioso; semplicemente la sua presenza in campo ''è importante''. L'atleta in calzoncini non ha un calcio potente, preciso, inafferrabile, piuttosto il suo tiro ''è importante''. L'allenatore non è preparato, abile o competente, ma ha un ruolo ''importante''. La compagine non è vincente, trionfante, vittoriosa, ma è una squadra ''importante''. Il termine, che pure ha una sua flessibilità naturale testimoniata dall'etimologia latina (in-portare), si sta così svuotando di ogni vero significato, e trasformando in un comodo prêt-à-dir adatto ad ogni stagione. L'aggettivo di per sè non ha fatto – naturalmente – nulla di male. A trattarlo come un iperonimo gonfio di steroidi (es: animale è iperonimo di cane e gatto) è piuttosto un esercito sempre più vasto di personaggi pubblici che mostra così il poco amore per la grande ricchezza della nostra lingua. Ma dato che l'uso delle parole segue e si adatta al mutamento della società e delle sue convenzioni, l'epidemia di ''importante'' ha un significato più ampio del semplice ricorso ad un termine passpartout da usare quando non si vuole (o non si sa) scegliere un termine più adatto. La strage degli aggettivi che ''importante'' provoca, viaggia in parallelo con la strage di idee e pensieri originali a cui si assiste in questo periodo. E' un segnale preoccupante di stereotipizzazione e conformismo di cui il giornalismo (ed in particolare quello sportivo) non riesce a liberarsi e che traduce in povertà d'espressione la mancanza di sfumature e la disattenzione al particolare. D'altra parte, si tratta dell'ennesima faccia della globalizzazione senza remore che il mondo del pallone sta subendo, e che porta a concentrare e semplificare tutto in modo da frullare il calcio in un omogeneizzato da far sorbire al cucchiaio ad un pubblico sempre più anestetizzato. L'esempio più chiaro di questa deriva é il tentativo di Superlega a cui abbiamo da poco assistito, che mirava a ridurre il calcio ad uno show televisivo tra quattro o cinque mega-squadre, senza curarsi di tifo, passione, tradizione e storia. Di fronte a questo tentativo di rendere tutto talmente ''importante'' da privarlo di vero significato, il tifo per squadre come il Toro diventa una forma di resistenza e di difesa contro chi traduce il calcio soltanto in maglie a strisce e miliardi, straziandone l'anima e il fine. A tutti coloro che vogliono spegnere i mille colori del pallone e ridurre ad uno solo alveo le sue mille sorgenti, incluso chi favorisce l'impoverimento del suo lessico e delle sue idee, mi permetto di consigliare di leggere le poche folgoranti ed illuminanti parole con cui Gianni Brera ha consegnato ai posteri la Farfalla granata di cui teniamo alto il ricordo in questi giorni: ''era un simbolo di estri bizzarri e libertà sociali in un paese di quasi tutti conformisti sornioni''.
granata dall'europa
La strage degli aggettivi
Il Toro, il giornalismo e l'Europa da sempre nel cuore. Degli ultimi due ho fatto la mia professione principale; il primo rimane la mia grande passione. Inviato, corrispondente, poi portavoce e manager della comunicazione per Commissione e Parlamento Ue, mi occupo soprattutto di politica e affari europei. Da sempre appassionato di sport, mi sono concesso anche qualche interessante esperienza professionale nel mondo del calcio da responsabile della comunicazione di Casa Azzurri. Osservo con curiosità il mondo da Bruxelles, con il Toro nel cuore.
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