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Hart al Toro: l’ultima favola del calcio?

Alessandro Costantino
Alessandro Costantino Columnist 
ll Granata della Porta Accanto/ Sarebbe bello se dietro la sua scelta ci fosse anche altro e se questa stagione lo convincesse che ha fatto bene a scegliere il granata. Magari non solo per un anno…

Quante volte abbiamo visto quei film americani dove il ragazzo un po' sfigato, ma in gamba, va alla festa di fine anno del liceo e la reginetta del ballo, la bella della scuola, molla il fidanzato e si mette insieme a lui? Mille volte e mille volte abbiamo pensato: "Capita solo nei film". Beh, Hart al Toro è un po’ come la trasposizione calcistica dei copioni di quei film. Con la differenza che è al 100% realtà!

Era dai tempi di Martin Vazquez che un campione vero, nel pieno della carriera, non vestiva la maglia granata arrivando da un club prestigioso. Certo, lo spagnolo fu acquistato, l'inglese arriva in prestito secco, ma la sostanza non cambia. Ciò che è cambiato da allora è il calcio che è diventato un incubatore di business dove un élite di società già potenti sono diventate ancora più potenti e ricche e dove si è accentuato il divario fra i cosiddetti top club e tutti gli altri. Credete che oggi un Maradona potrebbe ancora scegliere il Napoli? O Zico un' Udinese?

Eppure nonostante tutto, per un'incredibile intreccio di (quasi) irripetibili congiunzioni astrali Joe Hart, portiere della nazionale inglese e bandiera del Manchester City, ha scelto proprio il Toro. Un capolavoro mediatico (oltre che economico visto che il lauto ingaggio sarà pagato in gran parte dai Citizens) per Urbano Cairo, ma al tempo stesso un'operazione che, se funzionerà, permetterebbe di creare un interessante precedente nel calcio business moderno.

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Joe Hart e' venuto al Toro per giocare e non perdere la Nazionale, questa è la nuda e cruda verità, ma nella sua scelta ci sono anche elementi poco razionali: uno spiccato interesse per l'Italia (si è anche sposato nel nostro Paese) e la voglia di confrontarsi con un altro calcio e un altro campionato diverso dalla Premier League. Questo è un punto di partenza anomalo nel mondo del pallone, specialmente agli altissimi livelli a cui Hart è abituato a giocare. Possibile che il ragazzo abbia una testa e, forse, anche un cuore diverso da quello di tanti suoi colleghi. La domanda nasce spontanea: e se in questo anno si "innamorasse" del Toro? Un club con una storia così particolare e con dinamiche di tifo e di ambiente così diverse da tanti altri club potrebbe davvero far "colpo" su un soggetto già predisposto a certe sollecitazioni emotive quale Hart sembra. A maggior ragione se i risultati sportivi accompagnassero brillantemente la stagione del portiere inglese in maglia granata (anzi verde, quella di Castellini...).

So cosa pensate e non voglio essere ingenuo da crederci: è tutta maledettamente solo una questione di soldi. Lo so. Ma...se per qualche altra improbabile congiunzione astrale le cose dovessero andare in una certa maniera, ovviamente positiva per tutti, Joe Hart avrebbe la forza di rifare una scelta così controcorrente come quella che l'ha portato al Toro? Se scoprisse che parare sotto la Maratona è più emozionante che giocare a Wembley e parare un rigore ad Higuain più soddisfacente che pararlo a Rooney, credete che saprebbe rinunciare a tutto questo? E se scoprisse che vincere con questa maglia è più bello che vincere coi soldi degli sceicchi seguirebbe la variante inglese del suo cognome, heart, cioè il cuore, per fare la scelta con la S maiuscola?

Lo so cosa pensate ed avete ragione. Ma se esiste un posto al mondo dove certe favole " al contrario", quelle in cui i principi diventano ranocchi felici, possono esistere, quel posto è il Toro, senza dubbio. E un Hart felice al Torino potrebbe essere l'alba di un nuovo modo di vedere il calcio. Anche al tempo del business.