Nell'anno della rinascita del Filadelfia dire che non sono i risultati sportivi ad essere importanti, ma la valorizzazione dei giovani ad essere, come dicono gli inglesi, il “main focus”, implica un impegno molto grande nel tornare alle radici della filosofia storica del Torino. Allora lancio una provocazione: se l'idea di Cairo è veramente questa perché non destinare tutto il ricavato delle potenziale vendita di Belotti al settore giovanile? È un'iperbole, ovviamente, ma quanto si otterrebbe in termini di risultati futuri se a giugno si centuplicassero gli attuali investimenti sul vivaio? Strutture all'avanguardia, una fittissima rete di osservatori, ingaggio dei migliori allenatori delle giovanili e incetta di tutti i migliori prospetti delle annate ’99, 2000, 2001, 2002 e 2003: con cento milioni si potrebbe fare il più potente e produttivo settore giovanile della storia del calcio. E lì sì che ce ne sarebbero poi di giovani da lanciare…
Una provocazione, dicevamo. Per le cifre in ballo, sicuramente, (cento milioni è un investimento senza dubbio spropositato), un po' meno per il principio di fondo che è corretto. Basterebbe, infatti, investire di più di quello che si fa ora (che è poco per chi proclama di voler lanciare i giovani come “mission”) magari comprando ogni anno un Amauri o un De Silvestri in meno che, tra valore d'acquisto e ingaggio lordo, costano quanto un buon investimento nel vivaio. E poi soprattutto cambiare pian piano l'ottica di “utilizzo” del giovane lanciato: non considerarlo solo una gallina dalle uova d'oro, ma trasformarlo in un perno della prima squadra. L'ultimo Toro davvero forte, quello di Amsterdam, era un mix di giovani del Fila (Lentini, Cravero, Benedetti, Venturin, Sordo, Bresciani) e di grandi campioni (Martin Vazquez, Scifo, Casagrande, Fusi, Policano, Marchegiani, Mussi).
Questo dev'essere il modello di riferimento se si vogliono prendere due piccioni con una fava: lanciare i giovani e (provare ad) ottenere risultati sportivi. Poi può succedere che qualche sacrificio sull'altare del bilancio sia da fare, lo si può accettare, è sempre stato così. Ma la storia del Toro va onorata sia con l'impegno a costruire squadre che possano lottare per le posizioni europee, sia creando un'identità precisa di club. Per capirci, e fare un esempio europeo, vorrei un Toro meno simile a quel “plusvalenzificio” d'élite che è il Porto e più simile invece al Barcellona che i campioni li compra fuori, ma se li cresce anche in casa.
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