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I cento milioni di Belotti nella Primavera

Alessandro Costantino
Alessandro Costantino Columnist 
Il Granata della Porta Accanto / Per Cairo l'obbiettivo è valorizzare i giovani: cosa succederebbe se si facesse un maxi investimento nel vivaio?

Partiamo dai fatti. Quando manca poco più di un quarto alla fine del campionato il Torino ha perso almeno una volta da tutte le squadre che lo precedono in classifica eccezion fatta per la Fiorentina. E delle sue vittorie solo due sono arrivate contro squadre che lo precedono. Un decimo posto inevitabile, quindi, che pare una vera e propria ammissione di impotenza a non poter fare di più. Ci si era illusi all'inizio, ma lentamente i veri valori sono emersi ed hanno determinato questa media (o mediocre) posizione di classifica.

La nota positiva è che la proprietà non è turbata per tutto ciò. E non lo dico con sarcasmo perché è stato il patron Cairo in persona a dire che l'ottavo posto non è un obbiettivo (come dargli torto, in effetti di solito gli obbiettivi sono ben altra cosa…) visto che è ampiamente subordinato al lancio dei giovani, vera priorità di questo finale di stagione. Lanciare i giovani è un proclama che sta ai presidenti di calcio come la lotta all'evasione ai presidenti del consiglio: un must. C'è poi una sottile differenza tra lanciare i giovani per creare uno zoccolo duro di giocatori forti o lanciare i giovani per poi venderli sommando corpose plusvalenze. A quale di queste due categorie si riferisse il presidente non è dato sapere. Si può comunque ricordare a Cairo che storicamente il Torino ha fatto del vivaio una riserva importante per la prima squadra e che in passato non erano i presidenti a non volere tarpare le ali ai giocatori lasciandoli partire: di solito chi veniva venduto per esigenze di bilancio non era così felice di lasciare la maglia granata (vedi Lentini, ad esempio).

Nell'anno della rinascita del Filadelfia dire che non sono i risultati sportivi ad essere importanti, ma la valorizzazione dei giovani ad essere, come dicono gli inglesi, il “main focus”, implica un impegno molto grande nel tornare alle radici della filosofia storica del Torino. Allora lancio una provocazione: se l'idea di Cairo è veramente questa perché non destinare tutto il ricavato delle potenziale vendita di Belotti al settore giovanile? È un'iperbole, ovviamente, ma quanto si otterrebbe in termini di risultati futuri se a giugno si centuplicassero gli attuali investimenti sul vivaio? Strutture all'avanguardia, una fittissima rete di osservatori, ingaggio dei migliori allenatori delle giovanili e incetta di tutti i migliori prospetti delle annate ’99, 2000, 2001, 2002 e 2003: con cento milioni si potrebbe fare il più potente e produttivo settore giovanile della storia del calcio. E lì sì che ce ne sarebbero poi di giovani da lanciare…

Una provocazione, dicevamo. Per le cifre in ballo, sicuramente, (cento milioni è un investimento senza dubbio spropositato), un po' meno per il principio di fondo che è corretto. Basterebbe, infatti, investire di più di quello che si fa ora (che è poco per chi proclama di voler lanciare i giovani come “mission”) magari comprando ogni anno un Amauri o un De Silvestri in meno che, tra valore d'acquisto e ingaggio lordo, costano quanto un buon investimento nel vivaio. E poi soprattutto cambiare pian piano l'ottica di “utilizzo” del giovane lanciato: non considerarlo solo una gallina dalle uova d'oro, ma trasformarlo in un perno della prima squadra. L'ultimo Toro davvero forte, quello di Amsterdam, era un mix di giovani del Fila (Lentini, Cravero, Benedetti, Venturin, Sordo, Bresciani) e di grandi campioni (Martin Vazquez, Scifo, Casagrande, Fusi, Policano, Marchegiani, Mussi).

Questo dev'essere il modello di riferimento se si vogliono prendere due piccioni con una fava: lanciare i giovani e (provare ad) ottenere risultati sportivi. Poi può succedere che qualche sacrificio sull'altare del bilancio sia da fare, lo si può accettare, è sempre stato così. Ma la storia del Toro va onorata sia con l'impegno a costruire squadre che possano lottare per le posizioni europee, sia creando un'identità precisa di club. Per capirci, e fare un esempio europeo, vorrei un Toro meno simile a quel “plusvalenzificio” d'élite che è il Porto e più simile invece al Barcellona che i campioni li compra fuori, ma se li cresce anche in casa.