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columnist
Il percorso che porta al raggiungimento dell’obiettivo non è un’autostrada a cinque corsie. O meglio, potrà esserlo per alcuni tratti, ma prima o poi riserverà tornanti ripidi, sterrati e nebbia. Può succedere di tutto, mettiamolo in conto, bisogna essere attrezzati e non farsi cogliere impreparati. D’altronde, che obiettivo sarebbe se tutto fosse facile? Gli imprevisti possono accadere in qualsiasi istante, capita di forare, ciò che conta è avere dietro cric e ruotino di scorta (cioè le risorse) e saper cambiare la gomma.
Per esempio, gli ostacoli che un atleta può incontrare sono molteplici: un guaio fisico, la stagione disgraziata della squadra, l’esplosione di un compagno che gioca nel suo stesso ruolo, tutti eventi che non rientrano nella sua sfera di controllo.
Oltreché gli imprevisti, un atleta si potrà trovare a fronteggiare avversari subdoli: le false convinzioni (dette “credenze limitanti”), che possono riguardare sia il modo di pensare a se stesso sia il modo di pensare agli altri e al mondo (è il caso dei pregiudizi e dei luoghi comuni).
Le “credenze limitanti” possono fare più danni di un infortunio perché tendono a ingigantirsi con il tempo e bloccano il processo di miglioramento. Occorre individuarle, gestirle e trasformarle in “credenze potenzianti” prima che sia troppo tardi.
Contro il Chievo i nostri ragazzi sono entrati in campo con un frigorifero sulle spalle. Zero leggerezza, zero serenità, zero sfrontatezza. Ogni movimento dei singoli e della squadra sembrava gravato da una tonnellata di incertezza e pressione. Ebbene, le credenze limitanti sono quel frigorifero sulle spalle, sono pensieri negativi (non sempre consci) che si infilano nella mente di un atleta o di una squadra e, con il passare del tempo, tendono a figliare e a trasformarsi in metastasi. Ciò avviene sia a livello individuale sia a livello di gruppo. Sicuramente, ieri, è successo qualcosa del genere e sono certo che sia nella mente dei ragazzi sia nella nostra di tifosi albergassero pensieri del tipo: “noi sbagliamo sempre la prova della maturità”; “quando ci illudiamo, prendiamo fregature memorabili”; “tanto non godiamo mai”; “ogni volta che c’è lo stadio pieno falliamo la partita e facciamo figure miserabili”; “speriamo che non succeda come contro il Parma; la domenica prima una grande vittoria, poi il patatrac”.
Comanda la testa; il corpo si connette soltanto se la disposizione d’animo è positiva. Ormai anche il più antico dei tifosi è consapevole di quanto la mente sia decisiva al fine della performance sportiva. Certo, il Chievo era ben messo in campo e ormai conosciamo la prudenza di mister Mazzarri, ma vedere contro gli ultimi in classifica 45 minuti di passaggi orizzontali e un’aggressività pari a quella di un panda ha stupito un po’ tutti.
La svolta è avvenuta al terzo minuto della ripresa. Ancora centoventi secondi e Sirigu avrebbe superato lo storico record d’imbattibilità di Castellini. Il Chievo ha l’occasione per passare, rovinare la festa a Sirigu e gettare lo stadio nel più buio dei baratri. E invece no, e invece è il momento in cui il campione vero non si piega alle sirene della credenza limitante (“non ce ne va mai bene una”) e reagisce con la credenza potenziante, quella che differenzia il giocatore normale dal campione (“anche oggi non passa nessuno. Paro tutto e poi andiamo a vincere”). Ebbene, il doppio miracolo di Sirigu su Djordjevic può essere lo spartiacque del nostro campionato. Avessimo preso il gol, molto probabilmente saremmo andati nel panico e avremmo consumato il più tradizionale dei suicidi granata; invece da quel momento il Toro ha iniziato a caricare, sbuffare, pressare e porre le condizioni perché si verificasse l’altro momento topico del match (e chissà, forse della stagione).
Protagonista un altro campione, il Gallo granata. A neanche un quarto d’ora dalla fine, dopo l’ennesima partita da gladiatore, scambia con Zaza, getta a mare tutti i “pensieri zavorra” legati all’astinenza da gol, alla sfortuna e alle menate da partita stregata, e si invola verso la porta con in testa un pensiero fisso: spaccare la rete. Il suo gol è di una bellezza antica, sono gli anni Settanta che per un attimo tornano a farci visita: l’incantesimo è rotto. Il boato è gigantesco, la sua corsa sotto la Maratona è roba d’altri tempi, è Pulici che salta in velocità la difesa fiorentina, segna e continua la corsa sotto la curva prima di rientrare a metà campo e raccogliere i complimenti di Mazzone.
Sirigu e Belotti, due campioni, due momenti che hanno dimostrato che non è vero che il destino è segnato, che non ce la faremo mai, che noi non possiamo godere, che tanto finisce sempre in vacca. Crediamoci, trasformiamo tutti insieme il “tanto finisce male, siamo degli sfigati” nel “siamo forti, abbiamo tutte le carte in carte in regola per raggiungere il nostro sogno”.
I due capolavori di Sirigu e Belotti hanno sgravato le spalle dei compagni dal peso del frigorifero. Il Toro, grazie a essi, ha preso a giocare disinvoltamente, noi tifosi abbiamo ricominciato a respirare e la squadra, ormai forte del vantaggio, ha iniziato a muoversi leggera tanto da realizzare altri due splendidi gol nei minuti di recupero.
E’ vero; il gioco continua a non convincere e ogni vittoria è una via crucis, ma le sei partite senza subire gol, il record d’imbattibilità del portierone sardo, la terza difesa del campionato e le cinque vittorie casalinghe di seguito sono dati di fatto. Nessuno può contestarli. Così come nessuno può mettere in discussione che senza furti Var saremmo insieme a Milan e Inter a giocarci terzo posto e Champions League. Siamo più forti di quello che pensiamo di essere; è il momento di allineare la nostra autostima agli obiettivi che sogniamo di perseguire.
Marco Cassardo, esperto in psicologia dello sport e mental coach professionista. E’ l’autore di “Belli e dannati”, best seller della letteratura granata.
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