- Calciomercato
- Prima Squadra
- Giovanili
- TN Radio
- Interviste
- Mondo Granata
- Italia Granata
- Campionato
- Altre News
- Forum
- Redazione TORONEWS
columnist
“La parte bella di ogni dipinto è la cornice”
G.K. Chesterton
L’Ajax ha espugnato il Santiago Bernabeu, casa del Real Madrid, guadagnandosi i quarti di finale della Champions League. Nella tormentata stagione delle “Merengues” la cosa potrebbe anche non destare tanta sensazione, in fondo il Real si trova in una delle più classiche stagioni di transizione, uno di quei periodi dove la tendenza al declino è più forte di qualsiasi blasone da “miedo escenico”, il tremore da palcoscenico che Jorge Valdano, indimenticata stella del Real Madrid e del calcio argentino, prese in prestito da un celebre articolo di El Pais a firma di Gabriel Garcia Marquez per definire la soggezione inflitta dallo spettacolo del Bernabeu alle squadre avversarie. La cosa, invece, che sta facendo discutere in queste ore il mondo intero dell’impresa dei “Lancieri” è la composizione molto “verde” e in gran parte cresciuta “in house” della rosa della squadra che fu di Johan Cruijff. La sensazione è quella di una club in controtendenza(a modello dello United di Matt Busby) rispetto ai contesti delle principali realtà calcistiche europee, dove i giocatori si comprano più che crescerli e scommettere in essi. Il club di Amsterdam, vincitore di 4 Champions/Coppe dei Campioni e di 33 titoli nazionali più due titoli intercontinentali, è forse l’unica squadra della storica aristocrazia del calcio europeo ad essere rimasta ancorata ad un modo di fare calcio rispettando le tradizioni. Nella rosa della prima squadra sono ben nove i giocatori provenienti dal suo settore giovanile, a rimarcare uno dei valori fondamentali del calcio di un tempo: l’attaccamento al valore della maglia e alla storia che rappresenta. Certo, nel vorticoso cambiamento del calcio spettacolo/industria, i giocatori più forti dopo un pò lasciano la città (Amsterdarm) dai 100 chilometri di canali, dalle 90 isole e dai 1500 ponti, perché gli olandesi sono gente molto pratica e duttile ed hanno da tempo capito che dal calcio dopato finanziariamente potevano trarne lucrosi utili per il loro sistema calcio e per le ambizioni dei giovani campioni da loro allevati scrupolosamente. Nella terra della prima grande bolla finanziaria speculativa avvenuta nel nascente capitalismo occidentale, quella dei tulipani nel 1637, ammettere di avere una sola scelta ne calcio europeo stravolto da appetiti mai sazi di sceicchi, tycoon americani e oligarchi russi è stato in fondo facile. Allevare dei giovani calciatori fino a farli diventare forti e godersi dei loro servigi per qualche tempo è stato un modo per alleviare il dolore di non poter essere più una potenza del calcio continentale, ed è stata una scelta fatta in un luogo dove è nata la leggenda del bambino che, per una notte intera, tiene infilato un dito nel buco apertosi in una diga, affinché il terrapieno non esploda dalla sua parte portandosi dietro tutto il mare e il fango del mondo sopra le case del villaggio. Il nome del bambino leggendario cambia rispetto al luogo dove la leggenda viene raccontata. Quindi può essere Hans, piuttosto che Hansje piuttosto che Hendrick, ma ovunque nella terra dei tulipani si può trovare una statua di bronzo o di pietra grigia del bambino teso ad infilare il dito nel buco della diga. Perché, in realtà, la funzione leggendaria idraulica/ingegneristica di quel dito nasconde anche un’immagine etico/filosofica che permeano il culto dell’eroismo civile di cui è impregnata la cultura olandese sin dai tempi più remoti, e che in seguito troverà terreno fertile nell’etica weberiana del lavoro. Qualcuno ha scritto che quel dito “che toppa la falla della diga è invece possibilità della buona volontà e dell’impegno morale, scommessa sull’ottimismo del fare, del resistere, del mondo da cambiare”, prefigurando una modalità di opporsi a qualcosa, in questo caso il crollo di una diga, diventata consueta figura del nostro spavento. Immagine metaforica dei nostri peggiori incubi. “L’Ajax Way”, un sistema volto ad utilizzare strutture sportive in modo efficiente valorizzando al massimo le risorse umane messe a disposizione, è il modo tutto olandese di crearsi dello spazio in un mondo del calcio europeo dove spazio ve ne è sempre di meno, ed è sintomatico come questa lezione di resistenza venga da un Paese dove il problema dei problemi è sempre stata la mancanza di spazio. La prova dei giovani lancieri al Santiago Bernabeu dell’altra sera ha lasciato il segno perché il mondo ha potuto vedere concretamente come forse un dito messo nella toppa di una diga può funzionare, che una pietra lanciata da una fionda può sempre abbattere il Golia di turno. Il calcio da sempre ci regala di queste storie, che sono il segno distintivo del successo mondiale di questo gioco, dell’empatia che ci travolge ogni volta siamo attenti ad ammirarne le gesta. Il settore giovanile dell’Ajax è conosciuto con il nome di “De Toekomst”(il futuro); ed è proprio questo divenire il vero tesoro del calcio, è la crescita accurata dei suoi giovani talenti, dove la scuola Ajax per loro diventa anche una scuola comportamentale e di vita, e dove nemmeno la formazione scolastica viene trascurata. I giovani vengono così preparati ad affrontare la competizione e al successo, perché comunque del settore giovanile di una squadra di calcio si tratta, ma anche ad un eventuale fallimento. Perché è quasi ovvio aggiungere come non tutti i ragazzi del De Toekomst un giorno sbarcheranno nel dorato mondo del calcio professionale, che molti saranno costretti a fermarsi prima. Allora, in questo caso, è meglio essere preparati ad un mondo senza calcio. Un articolo di “Libero” di qualche giorno fa, sottolineava come il Calcio Napoli rischia di smarrirsi di fronte allo strapotere economico della Juventus e alla forza cinese e americana che stanno prefigurando orizzonti di gloria alle società milanesi(inter e Milan). Libero invitava De Laurentis a porsi il problema di fare nuovi e decisi investimenti economici per non restare condannati nel limbo delle eterne seconde. I soldi, ecco la risposta semplicistica a cui tutti prima o poi arriviamo in questo calcio contemporaneo ormai impazzito. I soldi come unica possibilità, come unico feticcio al quale aggrapparsi per risolvere ogni tipo di problema o per desiderare ogni tipo di desiderio. Ed ecco i tifosi invocare il “top player”, il neo dio pagano chiamato a regalarci una nuova possibilità di miracolo. E allora se un presidente non regala il top player, ecco la depressione farsi largo nelle tifoserie sfocianti in contestazioni a volte dai contorni feroci. Bisognerebbe ogni tanto fermarsi a pensare, se non altro per capire lo spirito del tempo e il ruolo che possiamo e dobbiamo avere nel mondo. Questa è la grande lezione che i giovani dell’Ajax l’altra sera hanno messo in scena al Santiago Bernabeu, e che il destino, neanche l’avesse commissionata al più grande degli sceneggiatori, ha voluto ribadire ventiquattro ore dopo al Parco dei Principi. Ai padri padroni qatarini del Paris Saint Germain la storia del calcio ha detto chiaramente, e per l’ennesima volta, che non basta spargere soldi a profusione a destra e a manca per vincere nel calcio. Ed è per questo che, contro ogni pronostico, il Manchester United risorto grazie alle cure di Ole Gunnar Solskjaer, uno dei babes storici di Alex Ferguson, ha buttato fuori dalla Champions la squadra parigina(con il contributo di molti giovani del vivaio). Il calcio ha una sua metafisica e un suo destino nella storia, e le vittorie dello United e dell’Ajax fanno sperare come questo suo dna, alla fine, sarà il dito nella toppa della diga ad impedire la fine del calcio come sport delle storie impossibili. Sono, come è noto, tifoso dello United e ovviamente mi piacerebbe una vittoria della mia squadra nell’edizione odierna della Champions, ma se proprio ciò non dovesse accadere, allora mi auguro sia l’Ajax a trionfare nella finale di Madrid. Sarebbe davvero un bel segnale per il futuro e per i nostri giovani, per qualsiasi cosa essi in questo momento stiano sognando. Aveva ragione Thomas Sankara, politico e rivoluzionario africano, quando nel suo ultimo discorso ebbe a dire: “noi dobbiamo osare inventare l’avvenire”. Coraggio, ora usciamo di casa e andiamo a cercare la toppa da riempire con un nostro dito. E buona fortuna. A tutti noi.
Di Anthony Weatherill
(ha collaborato Carmelo Pennisi)
Anthony Weatherhill, originario di Manchester e nipote dello storico coach Matt Busby, si occupa da tempo di politica sportiva. E’ il vero ideatore della Tessera del Tifoso, poi arrivata in Italia sulla base di tutt’altri presupposti e intendimenti.
© RIPRODUZIONE RISERVATA