columnist

I primi degli ultimi

I primi degli ultimi - immagine 1
Il Granata della Porta Accanto / In una serie A spaccata tra un gruppo d'élite e tutte le altre, il Toro guida i “peones”. Ma per salire di livello non basta il mercato invernale…
Alessandro Costantino
Alessandro Costantino Columnist 

Penso non ci siano più dubbi, ormai, sulla struttura ed i rapporti di forza del campionato italiano. C'è la Juve, a ruota, economicamente parlando, le cinesi, pardon, le milanesi, la Roma di Unicredit e degli americani, il Napoli di De Laurentis, la Lazio del consigliere federale Lotito e la Fiorentina dei Della Valle, almeno fino a quando i due fratelli non si stuferanno di investire senza vincere nulla. Stop. Questo e’ il campionato di Serie A. Poi c'è un altro girone, la serie A2, dove galleggiano in rapporti più o meno equilibrati, perché più o meno altalenanti, tutte le altre. Anche il Toro? Sì, anche il Toro.

Quando ci sbattono in faccia la realtà è sempre brutto, ma mettere la testa sotto la sabbia come gli struzzi e pensare che non sia questo il quadro generale o che nel breve periodo qualcosa possa cambiare è quantomeno da ingenui. Con questo non si vuol dire che il calcio non sia più da seguire perché scontato nei risultati, al contrario, resta sempre uno sport affascinante dove le sorprese, vedi l'Atalanta di quest'anno, sono sempre dietro l'angolo. Si deve solamente prendere atto che la competizione è squilibrata, in gran parte per l'iniqua distribuzione delle risorse collettive, cioè dei diritti tv, (nessuno mette in dubbio che alla base possano esserci diverse possibilità economiche delle singole proprietà, ma almeno sulle risorse destinate a tutti un minor squilibrio aiuterebbe la competitività) e in secondo luogo perché quei meccanismi “sportivi” che aiutavano le squadre più deboli cioè l’agonismo, l’attaccamento alla maglia o lo sfruttamento del vivaio, sono stati scientificamente disinnescati per favorire, tanto per cambiare, le grandi.

Resta quindi la considerazione positiva che in realtà in questi sei anni il Toro ha scalato lentamente le gerarchie posizionandosi come prima degli ultimi, se vogliamo definirla così, superando tutto quel gruppone di squadre come le genovesi, l’Udinese, il Chievo, l’Atalanta (questa stagione non fa testo), il Cagliari, il Bologna ed il Sassuolo. Magra consolazione? Sì, perché resta la frustrazione per i tifosi data dall’amara consapevolezza che, in barba alla nostra storia, non competeremo più, se non in caso di annate ultra fortunate come quella attuale dei ragazzi di Gasperini, per certi obbiettivi e poi perché ci si rende conto che oltre questo livello c’è un muro altissimo da superare, un salto che va pianificato e fortemente voluto come fecero i Della Valle a Firenze quando partirono dalla Florentia Viola in C2 o lo stesso De Laurentis col Napoli sempre in C. Squinzi del Sassuolo avrebbe le potenzialità economiche ed il peso politico per farlo ed infatti lo ha anche dichiarato in passato, così come il nostro Urbano Cairo il quale se solo volesse sfruttare l’impero mediatico che ha creato avrebbe delle ottime armi per sedersi al “tavolo delle grandi”. La realtà dice che il nostro presidente non ha voglia o non può o non è convinto di puntare al top nel calcio come negli altri suoi affari.

Legittima scelta, per carità, sebbene strida con lo spessore imprenditoriale del personaggio. Ce ne faremo una ragione. Nel frattempo suggerisco di non farsi il sangue amaro accapigliandosi sulle mosse di mercato della società: a meno di prendere Messi o Ronaldo difficilmente chi arriverà cambierà di molto la qualità globale della squadra, sufficiente, se si ritroveranno brillantezza ed entusiasmo come all’inizio, per centrare l'ottavo o nono posto. Il problema, quindi, è molto più complesso ed è solo in parte il mercato invernale. E se non basta crucciarsi per quello estivo, incompleto, in realtà è più a monte che bisogna guardare. A questo calcio italiano e al posto che il Toro occupa attualmente: primo fra gli ultimi.

tutte le notizie di