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columnist
Esiste un calcio ante diritti televisivi ed uno post diritti televisivi. Nel primo il Toro aveva ben chiaro che tipo di club era e quali politiche di gestione sportiva poteva permettersi, ottenendo a fasi alterne risultati anche eccellenti. Nel secondo si è ritrovato tagliato fuori da ogni élite nazionale e solo negli ultimi anni di gestione Cairo è tornato ad avere un ruolo più centrale nel panorama calcistico italiano, dimostrando di aver intrapreso una strada solida nella pianificazione economica e discreta nella raccolta di risultati degni della propria storia. La buona notizia è che l'arrivo di Iturbe, sebbene solo in prestito (ma col diritto di riscatto) certifica che il vento è definitivamente cambiato per una società come il Toro. Bisogna infatti onestamente ammettere che fino ad un paio di anni fa giocatori come Ljaijc, Iturbe o Joe Hart, nemmeno nelle fantasie dei tifosi più ottimisti sarebbero stati accostati al Torino. Il fatto che oggi ci giochino pure, sebbene non siano tutti di proprietà, significa quindi che, a piccoli passi, il Torino FC per solidità economica e progetto sportivo sta tornando ad essere appetibile per gli addetti ai lavori (allenatori, calciatori e procuratori). Il merito di tutto ciò va diviso equamente tra Cairo, Petrachi, Ventura e Mihajlović che sono riusciti, specialmente i primi tre, a far riemergere il Toro da quel limbo triste e nostalgico nel quale sembrava essersi intrappolato per sempre.
È chiaro che l'arrivo dell'allenatore serbo ha dato un'accelerata alle ambizioni del club: l'approdo di Iturbe in granata ne è l'ultima, solidissima, prova. E non inganni l’acquisto del carneade Carlao perché in un’ottica di rosa profonda, indispensabile per poter puntare ad obbiettivi superiori alla semplice salvezza, anche un’alternativa esperta, coriacea e con caratteristiche diverse da chi c’è già o è appena andato via (Bovo)ha un senso. Ora comincia un anno, il 2017, che svelerà al mondo quali siano le reali intenzioni della proprietà sulle prospettive della squadra. Se infatti la società ha trovato un suo equilibrio gestionale e la fondamentale e vitale capacità di autofinanziarsi, la squadra è chiamata ad allinearsi ai successi raggiunti dalle componenti dirigenziali: è ora quindi che i risultati sportivi crescano in maniera più netta o si correrà il rischio che il progetto, privo della componete di successo sportivo, imploda su sé stesso o sul malcontento dei tifosi.
Chiaro che nessuno si augura questo, ma il tempo delle chiacchiere è giunto al termine e i tifosi si aspettano segnali “vincenti” anche da parte della squadra. È vero che l'obbiettivo dichiarato dell'Europa è stato prefissato su base biennale, ma sarà importante vedere concreti passi avanti nella capacità di ottenere punti e vittorie (o passaggi dei turni se parliamo di Coppa Italia). Oltre ad un ormai consolidato cambio di modulo e di gioco, Mihajlovic sta lavorando sul cambio di mentalità nei giocatori che devono imparare a giocare sempre per il massimo risultato. Una cosa apparentemente banale da dirsi, ma non così scontata quanto potrebbe apparire. Non si può allenare il talento, nel senso di farlo crescere dove non c'è, ma si può allenare la testa ad esigere sempre il massimo di quello che il corpo può dare. Vincere non è solo questione di essere più forti, ma anche di determinazione che diventa fondamentale dove c'è equilibrio (e la serie A italiana è molto equilibrata).
Ci auguriamo quindi che il mercato di gennaio porti quelle pedine che servono come il pane al miglioramento della rosa. Carlao è stato un acquisto non di grido, ma con un intento meramente funzionale, Iturbe invece è il segnale importante che se la società vuole può attirare profili di alto livello che fino a poco tempo fa non si poteva nemmeno lontanamente permettere. Poi, come sempre, sarà il campo a certificare se le intenzioni ci sono e si sono tradotte in realtà.
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