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Giorgio Tassara è nato a Genova nel 1941, vive a Milano, è stato dirigente di aziende, associazioni, enti, comunità sportive. Ha scritto libri, saggi, commedie. Ha deciso di raccontarci il suo 4 maggio attraverso una testimonianza che fonde il passato con il presente. Un intervento assolutamente da leggere su Toro News.
Il 4 maggio 1949 era un pomeriggio come gli altri, a giocare con gli amici a figurine. Le mie erano quelle con la maglia granata per spontanea simpatia. Non esisteva la televisione, la radio trasmetteva una partita la domenica, il Calcio Illustrato arrivava il martedì con le foto color seppia, i resoconti di cronaca, le azioni disegnate da Silva per illuminare la fantasia. Tornando a casa mio nonno ascoltava la radio: «Alle ore 17.05 l’aereo che riportava in patria la squadra del Torino si è schiantato contro la Basilica di Superga». Il Grande Torino non c’era più, tutti morti in un riverbero di fuoco e di pioggia sottile. Vidi le mie figurine ardere tra le fiamme, i miei idoli volare in cielo per sempre, consegnando alla memoria del mondo il mito di una squadra imbattibile che dominava la scena calcistica con lampi di stile e furore agonistico. Tutta la gente versava fiumi di lacrime, a me si erano congelate nel cuore, una stilla si scioglie ogni anno al 4 maggio. Piansi soltanto nelle ore successive, quando arrivai al dopolavoro e un signore corpulento disse testuali parole: «È morto anche Maroso, quindi Becattini può andare in Nazionale». Avrei voluto dargli un calcio negli stinchi ma desistetti perché era molto più grande di me. Le lacrime, comunque, furono sbloccate da quella frase.
Tra l'altro, nell’aprile di quello stesso anno ero a Sestri Levante. Durante la guerra avevo lasciato insieme alla famiglia una Genova bombardata per vivere un po’ più tranquilli. A Chiavari, accompagnato da mio nonno, ebbi la fortuna di vedere dal vivo un allenamento della Nazionale italiana, composta a quel tempo quasi completamente da giocatori del Torino. Vidi in movimento le mie figurine. Ricordo ancora oggi Castigliano che venne vicino alla rete per salutarmi. È chiaro che le immagini sono sfumate, sono quelle di un ragazzino di fine anni Quaranta ben diverso rispetto a quelli di oggi, invasato di tecnologia. Fu una cosa favolosa e proprio per questo motivo lo shock del 4 maggio fu ancor più accentuato. Quel pomeriggio fui su una nuvola e descrivere le sensazioni non è possibile a distanza di oltre settant’anni.
Da allora ad oggi la squadra granata ha rappresentato rari momenti di gioia, molti dolori per altre tragedie, tante tristezze per una difficile ricostruzione, ma il Grande Torino ha sempre trasmesso la fierezza di una gloriosa storia, il fascino di un sentimento che dovrebbe spingere i tifosi a riempire gli stadi e le platee televisive, i calciatori a sentirsi onorati di vestire quella maglia, allenatori, dirigenti, società disposti a impegnarsi per il ritorno a livelli degni del glorioso passato. Tutti uniti e solidali, perché se bastassero i soldi tutti sarebbero campioni, se bastasse un giocatore si troverebbero le risorse, se bastasse un tifoso solo si giocherebbe con lo stadio vuoto. Dopo tanti anni di fedeltà a quelle maglie insanguinate può risultare comprensibile un distacco da un calcio popolato da attori senza maglia, registi senza anima, comparse senza scrupoli, ma per chi ha vissuto la sua storia, il Toro ha travalicato il tifo diventando sentimento, e l’amore non è rinnegabile. Il tempo, le sconfitte, le vicissitudini non possono fermare la passione e l’orgoglio competitivo.
Quel ragazzo che il 4 maggio ha visto morire il grande Torino chiede che il tempo non cancelli il mito dei campioni con la maglia granata strappati ai loro affetti e all’ammirazione di tanti mentre portavano gloria italiana nel mondo. Ora vede spuntare una sofferta alba di un tempo dove occorre impegno, pazienza, concordia di obiettivi per ricostruire un futuro degno. Presidente, dirigenti, allenatori, calciatori rendete il vostro impegno meritevole della gloriosa maglia granata. A volte basta una scintilla per unirci tutti attorno a un obiettivo che ha bisogno di tutti. Vi ricordo le parole dette da un bravo giornalista durante il ricordo del Grande Torino:
«Se la sorte ti ha dato la fortuna di essere tifoso del Torino, non sarai mai schiavo della monotonia, perché solo con quella squadra avrai l pendolo dei sentimenti che bilanciano l’anima. Il Grande Torino è stata la squadra più forte del Calcio Italiano, anzi il Torino era il Calcio Italiano».
Giorgio Tassara
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