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Il calcio cicala ora si lamenta e chiede aiuto

Alessandro Costantino
Alessandro Costantino Columnist 
Il Granata Della Porta Accanto / Peccato che dall'altra parte non ci sia un governo formica pronto a rimetterlo in riga…

L'emergenza Coronavirus è un'emergenza al momento prettamente sanitaria: il contagio a livello mondiale aumenta, così come il numero delle vittime, e la priorità attuale è salvare quante più vite umane è possibile, sebbene il prezzo di questa guerra domani potrebbe essere molto, molto salato. È giusto così, non c'è ragionamento economico che tenga se ogni sforzo o rinuncia regala la possibilità di evitare anche un solo decesso in più. Quando però ne usciremo sarà inevitabile tirare una riga e fare due conti su quali pesanti conseguenze economiche tutto ciò ci avrà lasciato in eredità. A dire il vero qualche calcolo è già stato fatto e prontamente il governo ha iniziato a varare misure, purtroppo ancora insufficienti, di sostegno all'economia italiana di fatto al momento pressoché totalmente paralizzata. 

La situazione per molte categorie (penso ai piccoli commercianti, agli stagionali o alle partite Iva, solo per fare degli esempi) è già quasi drammatica e numerosi giorno dopo giorno sono gli appelli di chi ha paura di non farcela a stare in piedi una volta che si tornerà alla normalità. Nel coro di richieste di chi si lamenta con pieno diritto c'è una voce che stona, tanto da sembrare quasi fuori luogo ed inopportuna: è quella del mondo del calcio che si è affrettato a fare le sue richieste al governo per avere aiuti (avendo almeno il buongusto di non richiederli in forma diretta) visto lo stop sine die alle sue competizioni che potrebbe portare mancati ricavi al movimento per centinaia di milioni di euro. 

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Non ho paura di essere preso per populista, o estremista, o addirittura complottista, per ciò che sto per sostenere. Il calcio è un'industria talmente florida a livello di giro d'affari che le sue difficoltà attuali di fronte a questa immane tragedia sono, sì, figlie di una situazione talmente anomala da essere un unicum nella storia umana da quando esiste il capitalismo moderno, ma anche dirette conseguenze di una gestione economico finanziaria che, per essere buoni, potremmo definire eufemisticamente "allegra" per non dire di peggio. Quante volte abbiamo sentito usare l'espressione "il mondo dorato del pallone"? Quanti sprechi si possono menzionare pensando alle gestioni dei club? Quali tipi di stipendi girano nel calcio e quanti soldi vengono letteralmente bruciati in ogni sessione di mercato per pagare commissioni ad un esercito sempre più numeroso e potente di intermediari quali sono i procuratori? Questo circolo vizioso orientato ad ottenere sempre più introiti da sponsor e televisioni per pagare ingaggi sempre più alti e prezzi di trasferimento durante il calciomercato sempre più stratosferici non poteva che terminare in una bolla che il Coronavirus ha creato nel più drammatico dei modi. La cicala dopo aver fatto festa senza essere per nulla lungimirante si ritrova in pieno inverno, impreparata ed indifesa, in totale balia degli eventi. I presidenti si sono affrettati, direi comprensibilmente da un certo punto di vista, a richiedere ai propri tesserati un taglio degli stipendi, gli stessi stipendi, però, che loro stessi hanno elargito con grande munificenza pur di strappare questo o quel giocatore alla concorrenza piegandosi alla regia, ormai neanche tanto più occulta, di procuratori e faccendieri. Ti verrebbe voglia di vederli affondare, se non fosse che poi nel mezzo ci finiscono magazzinieri, segretarie, impiegati di vario livello o anche solo allenatori dei settori giovanili che, prendendo stipendi "normali", rischiano di perdere il lavoro con pesanti conseguenze sulle proprie famiglie . La cicala calcio fa leva anche su questo per impietosire l'opinione pubblica, ma, prima, quando le cose andavano bene, non era minimamente sfiorata da quest'umiltà e questo improvviso senso di responsabilità quando si scagliava contro i "lacci" del fair play finanziario che soffocavano, a suo dire, la competitività ed in realtà erano solo un timido e sacrosanto tentativo di arrestare questa folle corsa a gestioni sempre più dissennate e all'uccisione della libera e leale concorrenza. Ci si riempiva la bocca di paragoni con lo sport professionistico americano dimenticando di "importare" dal modello a stelle e strisce l'unico vero meccanismo di regolazione efficace dell'equilibrio economico e sportivo di quel sistema: il salary cap. In NBA, ad esempio, se la torta globale è 100 non si può spendere più di X perché se no il meccanismo non funziona ed implode: lo sanno e lo hanno istituzionalizzato tant'è che le squadre a livello di risultati viaggiano a cicli e non vincono sempre gli stessi, però nessuno va mai in difficoltà economica ed anzi tutti ci guadagnano. Qui in Italia, e in Europa in generale, si è alimentato un meccanismo, invece, che punta al rialzo continuo in una sequenza "inflattiva" che trascina tutto e tutti favorendo pochi grandi club e costringendo tutti gli altri a vivere al di sopra delle proprie possibilità: col risultato che ormai anche a livello di risultati sportivi domina la solita oligarchia. 

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Oggi, e per oggi intendo il giorno in cui usciremo da questo incubo, siamo di fronte ad un momento storico di potenziale cambiamento del mondo del calcio. Il pallone vuole gli aiuti? Bene, allora il Governo li vincoli a riforme epocali del sistema, imponga un vero Fair play finanziario legato a parametri duri e severi che premino le società che investono (realmente) in strutture e settori giovanili, in forme di contratti di lavoro tutelati per i dipendenti "non calciatori" e in un bilanciamento corretto del monte ingaggi senza correzioni da doping finanziario tipo false plusvalenze o cose del genere. Si dirà: se lo facesse solo il governo italiano le squadre del nostro Paese sarebbero svantaggiate nelle competizioni internazionali e il campionato nel giro di poco perderebbe le sue "stelle" straniere. A parte constatare che sono decenni che una squadra italiana non trionfa in Europa ed eppure si sono spesi tanti soldi al pari degli altri club europei, forse questo svantaggio competitivo iniziale potrebbe compensarsi nel medio periodo con una crescita del livello dei giocatori italiani e con i successi, magari, della nazionale. E poi l'appeal dei campioni stranieri quanto ha giovato al nostro movimento? Ha avuto l'effetto di far crescere ulteriormente i monte ingaggi allargando la forbice tra i grandi e i piccoli club e aumentando l'indebitamento globale della serie A. Peccato solo che l'interlocutore del mondo del calcio, cioè il governo (e non parlo di questo attuale, ma di tutti quelli che si sono succeduti nella nostra storia), non abbia le stimmate della formica capace di mettere in riga la cicala, anzi abbia spesso in passato subito accuse di essere esso stesso "cicala" da parte dell'Unione Europea. Il mondo ideale è un'utopia irraggiungibile, ma la creazione di un mondo migliore dovrebbe essere sempre in cima agli obbiettivi di chi gestisce la cosa pubblica, o nel nostro caso, di chi amministra il mondo del calcio: le crisi, nella loro drammaticità, sono sempre delle occasioni. Perdere quest'occasione non volendo agire su certi meccanismi sarebbe davvero un colossale errore che certificherebbe ancora una volta di più la debolezza della politica rispetto al potere sempre più globale delle lobby economico-finanziarie. 

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Da tempo opinionista di Toro News, do voce al tifoso della porta accanto che c’è in ognuno di noi. Laureato in Economia, scrivere è sempre stata la mia passione anche se non è mai diventato il mio lavoro. Tifoso del Toro fino al midollo, ottimista ad oltranza, nella vita meglio un tackle di un colpo di tacco. Motto: non è finita finchè non è finita.

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