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columnist
“Giusto è giusto, anche se nessuno lo sta
facendo; sbagliato è sbagliato, anche se
tutti lo stanno facendo”.
Agostino di Ippona
Dopo il nome di Claudio Lotito, è cominciato a girare anche il nome di Giuseppe Marotta come prossimo candidato alla presidenza della Figc. Un nome, quello di Marotta, che ha subito scatenato entusiasmi fin troppo esagerati in tutto il mondo “pallonaro” della penisola. Ovviamente nessuno, ma proprio nessuno, si è posto il problema che un soggetto con evidenti interessi e liason con i controllati non può dall’oggi al domani assurgere al ruolo di controllore. La cosa non deve sorprendere, vista la totale mancanza di obiezioni e dubbi quando Gaetano Miccichè fu nominato presidente della Lega di Serie A. Un Miccichè che, con molta arroganza, ha già dichiarato che sul prossimo presidente di federazione la Lega Serie A ha più diritti decisionali delle altre componenti del mondo del calcio “perché svolge un ruolo di traino naturale verso il mondo del calcio”. La traduzione del pensiero “miccicchiano”(come duole chiamarlo pensiero) è molto semplice: noi della Serie A abbiamo i soldi veri e quindi siamo noi a dover comandare. Una logica da soldato di ventura (qualcuno più raffinato intellettualmente la definirebbe da darwinismo sociale) talmente stomachevole da non meritare ulteriori commenti. D’altronde cosa vuoi spiegare ad uno che del conflitto d’interesse ne ha fatto un motivo di vita? Cosa vuoi raccontare ad un banchiere? Che esiste l’etica? Che esiste un modo sano di operare, che impedirebbe ad un qualunque presidente degli Stati Uniti di nominare a cuor leggero quel genio della finanza di Warren Buffet a Segretario del Tesoro o a mettere Bill Gates a capo della National Security Agency? Si chiama senso dello Stato e dell’opportunità. Ma ormai il sistema calcio è talmente oligarchico, talmente abitato dal comune sentire “gli amici degli amici”, da non nascondere nemmeno più gli appetiti evidenti dei suoi famelici componenti. Essendosi smarrito il concetto di colpa (e non solo nel calcio, sia chiaro), si è salutato anche il senso di vergogna, solitamente manifesto quando il pudore ha fallito la sua missione.
A leggere o ad ascoltare le dichiarazioni di molti volti noti del mondo del calcio, sembrerebbe sia vitale, per la rinascita della nazionale italiana, l’elezione del prossimo presidente federale. Non si comprende, visto i probabili criteri di scelta dichiarati, in che modo il nuovo presidente della Federcalcio possa rimediare ad una mancanza di talento, che alcuni imputerebbero a madre natura e altri, forse più maliziosi, ad un mondo del calcio giovanile sempre più orientato verso gli affari(loschi e non) che verso la scoperta di talenti da coltivare con pazienza. Ma a prescindere dalla ricerca di nuovi talenti, di certo non è una nazionale a dover essere l’obiettivo prioritario di un dirigente di federazione; piuttosto, forse, sarebbe bene pensare alle esigenze di un movimento ormai lasciato in preda all’anarchia più assoluta, bisognoso di essere riformato tenendo conto più di motivi culturali e sociali, che di marketing. Invece qui tutti parlano di soldi, di fatturati che devono assolutamente crescere per affrontare i sempre più onerosi costi di “bottega” di uno sport che deve urgentemente uscire dai canoni di una competizione atletica, per vestire quelli di uno spettacolo. E’ davvero interessante, se guardato con occhio socio/antropologico, come i tifosi si stiano facendo “fregare” le origini del gioco più bello del mondo. E’ davvero incredibile come noi tifosi si sia diventati più soggetto di mercato, che soggetto di un amore. Aurelio De Laurentis può tranquillamente affermare l’intenzione di portare il Napoli a giocare a Bari la prossima Champions League, come se la squadra che presieduta fosse un oggetto a sua disposizione. Come se la territorialità dello “Stadio San Paolo” non contasse davvero nulla. Si è capito da tempo che per il presidentissimo azzurro il Napoli vale come i suoi “film di natale”. Bisogna farne parlare e guadagnarci sopra il più possibile. Da vero “mercante del tempio”, De Laurentis tenta, attraverso la provocazione Champions, di far parlare del suo altro investimento calcistico: il Bari Calcio. La cosa ha assunto un risvolto comico, quando il sindaco di Bari gli ha ricordato che lo stadio San Nicola non ha la licenza Uefa, per evidente stato di degrado della struttura.
Uno stadio disegnato dall’archistar e senatore a vita Renzo Piano, talmente non adatto al gioco del calcio da far venire seri dubbi se debba essere proprio lui a dover ricostruire il Ponte Morandi di Genova. E siccome in Italia i mostri sacri non si toccano (Sacchi docet), un decreto del 18 maggio 2007 ha riconosciuto allo stadio San Nicola il “particolare carattere artistico, e di indiscussa qualità architettonica”. Chissà se il nuovo presidente federale avrà un qualche suo pensiero sulla situazione penosa degli stadi italiani, ormai rubricato, nel cuore e nella mente dei tifosi italiani, all’annoso proposito di ogni governo del BelPaese di recuperare i soldi evasi al fisco per ridurre il debito pubblico italiano. Certo a nessun candidato alla presidenza della Figc è venuto in mente, almeno per il momento, il colpo di genio dei dirigenti del Paris Saint Germain (PSG). Per 2,5 milioni di euro l’anno, il club parigino ha annunciato di aver firmato con Socios.com, una società specializzata in cripto valuta, un accordo in partnership per sviluppare, attraverso i fan della più ricca squadra di Francia, una moneta virtuale sotto forma di chip. Socios.com emetterà a breve una prima offerta di chip per i tifosi del PSG, che permetterà loro diversi vantaggi, tra cui il diritto di voto durante le consultazioni avviate dal club. Fa pensare una partnership da 2,5 milioni di euro l’anno voluta da un fondo sovrano, quello del Qatar, che nel 2017 ha fatturato 335 miliardi di dollari. Fa pensare perché si capisce subito che non è il veramente esiguo valore dato alla sponsorizzazione ad aver interessato i qatarini, ma piuttosto tutto l’immenso mercato mondiale delle cripto valute a cui i tifosi parigini, con l’utilizzo dei chip, legherebbero parte dei loro acquisti e della loro movimentazione di ricchezza mobiliare, regalando al fondo sovrano del Qatar una banca dati di formidabile valore e potere. E tutto questo con soli 2,5 milioni di dollari d’investimento. Presto una cosa del genere, statene certi, arriverà anche in Italia. Non può non arrivare. E i tifosi, pur di avere la sensazione di contare qualcosa e trascinati dall’empatia per la loro squadra, probabilmente cadranno nella trappola in cui stanno per cadere i tifosi parigini. Forse anche questo è un problema per il prossimo presidente della Fgci: la liceità con cui si fanno guadagni sull’amore e i desideri dei tifosi. Sempre se troverà il tempo dal disincagliarsi dal mantra di una nazionale azzurra obbligata a tornare a vincere. Una cosa appare, se si ragiona per logica, in tutta la sua verità: non potranno essere Giuseppe Marotta o Claudio Lotito a difendere la liceità degli investimenti e dei guadagni del calcio italiano. Non potranno mai essere loro, in compagnia di Gaetano Miccichè, a difendere ciò che rimane della purezza del calcio italiano. Non potranno essere loro i riformatori e risolutori delle problematiche davvero epocali che stanno investendo il calcio. Non si può chiedere alle volpi di difendere i confini di un pollaio. Un pollaio deve essere difeso da un saggio allevatore, prodigo di attenzioni verso la salute dei suoi animali perché conscio di dovergli fare compiere un ciclo vitale armonico, nel pieno rispetto degli interessi di tutte le parti. E’ triste vedere l’anziano e rancoroso Carlo Tavecchio spingere per la soluzione Marotta; è triste perché una cosa del genere non sarebbe mai auspicabile da una persona vissuta per anni sempre all’interno delle istituzioni, e che dovrebbe aver ben compreso la necessità del primato della “politica” sugli interessi egoistici particolari. Qualcuno consigli a Tavecchio di ritirarsi in un dignitoso e definitivo silenzio. Volendo fare un nome da candidare, penso a quello di Andrea Abodi, attuale presidente del Credito Sportivo. Lo affermo con convinzione, sperando di non arrecargli una qualche difficoltà. Abodi è un uomo di marketing, di finanza e di sport, probabilmente il giusto mix da opporre a chi pensa di fare del calcio “una spelonca di briganti”. Il calcio non è un supermarket dove offrire svariati prodotti, ma è una irripetibile occasione per stare insieme e provare attimi di felicità. Se tornassero in vita i padri fondatori del calcio, non perderebbero tempo a criticare l’Italia per il suo gioco difensivista(come spesso fatto da Sacchi), ma ricorderebbero a noi tifosi il motivo per cui amiamo questo fantastico gioco: per la forza di uno sguardo, per la gioia di un sorriso, per il piacere di un rituale, per l’esperienza di una conversazione. E darebbero al prossimo presidente federale, usando le parole di Mark Twain, un solo consiglio: "Fai sempre ciò che è giusto. Accontenterai la metà del genere umano e stupirai l’altra metà”.
(ha collaborato Carmelo Pennisi)
Anthony Weatherhill, originario di Manchester e nipote dello storico coach Matt Busby, si occupa da tempo di politica sportiva. E’ il vero ideatore della Tessera del Tifoso, poi arrivata in Italia sulla base di tutt’altri presupposti e intendimenti.
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