“Estote Parati”
columnist
Il calcio, la sua giungla
Lord Baden-Powell
“Con le nostre ingegnose invenzioni e le nostre abili astuzie, gli stenderemo un velo davanti dinanzi agl’occhi, lo convinceremo che non ha visto quel che ha veduto”. Aurelio De Laurentis nei giorni scorsi ha dichiarato che se il Napoli arriverà a sei punti dalla Juventus, allora si potrà sostenere il furto operato al club da lui presieduto da parte della Juventus. Giorgio Chiellini ha beatamente espresso tutta la gioia per il 36esimo scudetto vinto, mentre qualcuno(Riccardo Cucchi) provava inutilmente a ricordargli che sono 34 gli scudetti. Walter Zenga, nel post partita Crotone Lazio, ha sollevato dubbi sulla liceità della vittoria del Cagliari a Firenze. Dichiarazioni del genere pongono ormai il calcio completamente fuori da ogni controllo regolamentare. La totale assenza di organi federali degni di questo nome sta permettendo a tesserati di ogni ordine e grado di poter tranquillamente lanciare accuse degne nemmeno da bar dello sport, ma piuttosto da osteria regredita a bettola.
Aurelio De Laurentis, noto per avere la capacità di dire tutto e il contrario di tutto (e per questo perdonato da amici e parenti, perché “in fondo si sa come sia complesso il carattere di Aurelio”), è un soggetto che ha sempre pensato di poter fare e agire più o meno come vuole. Abituato e viziato da un mondo dominato dalle “non regole” come quello dell’asfittico cinema italiano, dove tutto è permesso da uno stato che non conosce il concetto di libera concorrenza e la lotta alle concentrazioni di potere, ha trasferito il suo modus operandi, dal tratto tracotante, in un mondo del calcio italiano ormai in caduta libera verso il disfacimento.
Giunto in una città innamorata di calcio, e che attraverso il calcio si illude di poter riguadagnare un prestigio dilapidato da classi politiche abbattutesi rovinosamente su di essa, il furbo e fortunato Aurelio e riuscito a ricostruire il Napoli post fallimento con appena tre maxi plusvalenze (Lavezzi, Cavani, Higuain) e un campionato dei Serie A completamente orfano della tradizionale forza economica delle squadre milanesi. Napoleone Bonaparte, che preferiva i generali fortunati a quelli bravi, avrebbe subito arruolato il cinematografaro De Laurentis, uno che quasi in ogni intervista ostenta il suo essere con un piede su un aereo per Los Angeles per andare a produrre non si sa quale film americano, visto che IMDB (la Bibbia del cinema internazionale) non segnala nessun film a stelle a strisce prodotto o coprodotto dal nostro eroe. Più che produttore di cinema d’oltre oceano, De Laurentis ha tutti i connotati tipici dell’italiano medio/alto. Infatti molti dei suoi soldi sono investiti, insieme all’onnipresente moglie svizzera Jaqueline Marie Baudit, in case sparse per il mondo e ha immediatamente immesso nel consiglio di amministrazione del Calcio Napoli tutti i suoi famigliari, con stipendi milionari che nemmeno la Juventus concede ai suoi dirigenti.
Non è una storia nuova quella di arricchire i famigliari, attraverso una voce ascritta nel bilancio di una società di calcio. Certamente è tutto legale, certamente è tutto poco etico quello di far contrarre un debito di bilancio in modo del tutto ingiustificato. Sono noioso, lo so, ma ricordo per l’ennesima volta che la principale connotazione del calcio è quella di essere un bene comune, di cui non ci si può approfittare per incamerare ricchezze ingiustificate.
Quando si parla di bene comune, si parla di una cosa di cui la gente non può fare a meno e che, di più, ne avverte proprio come una necessità. E allora va bene gestire l’acqua con un sistema imprenditoriale, ma proprio perché senza l’acqua non si può vivere ogni governo che si rispetti mette dei limiti a chi gestisce privatamente questa preziosa risorsa naturale. E mentre il patron azzurro parla ai quattro venti di una riduzione della Serie A sedici squadre (come già fatto nel cinema italiano: meno siamo a spartirci la torta, meglio stiamo) e di scudetti rubati dalla Juventus, nessuno gli ricorda di aver posto il controllo del club partenopeo sotto una fiduciaria (Cordusio Fiduciaria) depositata nella filiale Unicredit di Milano, che controlla la Filmauro, che controlla il Calcio Napoli. Ci si trova, quindi, di fronte all’irresistibile paradosso di una società di calcio molto importante, quindi bene comune, di cui è impossibile sapere, vista la natura giuridica di una fiduciaria, la persona o l’elenco delle persone che effettivamente ne dispongono a livello proprietario.
Ma questo surreale regno di opacità, sembra importare poco agl’organi sportivi e ai giornali, in teoria guardiani della pubblica opinione su tutto ciò che riguarda i beni comuni (è davvero incredibile come nello sport, ipotetico regno del fairplay, possa aver trovato posto una fiduciaria). Viene il sospetto (“a pensar male…" ecc, diceva il Divo Giulio) di un lasciar fare da parte di Malagò e compagni (mi scuso con Malagò se per un attimo l’ho definito “compagno di compagni”), per poi in seguito poter tramutare questo lasciare fare in diversi lasciapassare da riscuotere verso cose alle quali tiene, vedi la nomina di Gaetano Miccichè alla presidenza della Lega A.
“Noi dovremmo dare come vorremmo ricevere, allegramente, rapidamente, e senza esitazione”, disse Lucio Anneo Seneca, facendo così assurgere al rango filosofico il famoso adagio “do ut des”, a cui molti della classe dirigente italica da decenni guardano come al senso di una rivelazione. Ma Seneca, oltre ad essere un filosofo, era anche un politico, convinto come le parole e la semantica, in politica e nella vita, a volte potessero rivestire lo stesso significato di uno spot pubblicitario. Non deve sorprendere, quindi, l’uscita baldanzosa di qualche anno fa di De Laurentis, una baldanza simile più a quella del “Miles Gloriosus” che a quella di “Capitan Fracassa”, sulla sua volontà di istituire “La Scugnizzeria” (eh, la semantica), un settore giovanile dove formare i futuri campioni napoletani del domani. E siccome in Italia ormai è diventato più importante annunciare che fare, nessuno ha notato la mancanza, non dico di un progetto ipotetico, ma di una qualsivoglia traccia dell’annunciata “Scugnizzeria”. Anzi, uno dei tanti paradossi del Napoli è avere nella formazione titolare un solo giocatore italiano, il napolenatissimo (e a volte contestatissimo) Lorenzo Insigne. Di altri scugnizzi, al momento, non se ne ha notizia.
Ma la vita, per il presidente del Napoli, è davvero tutto un cinema, dove in un secondo il buono può scoprirsi cattivo o viceversa, e dove ciò fino ad un attimo prima presentato come vero, ad un tratto, lo si vede tramutarsi in verosimile. Ecco perché non ha avuto problemi a smentire prontamente le accuse di Torino e Bologna di aver fatto pressioni indebite sui calciatori Nikola Maksimovic e Amadou Diawara per passare a vestire i colori azzurri del Napoli. Lui, De Laurentis, era stato solamente più lesto di tutti ad approfittare del dileguarsi dagli allenamenti di Torino e Bologna dei due giocatori. In fondo la vita è una grande sceneggiatura, basta trovare l’uomo giusto che la scrive e un pubblico disposto ad accettarla. Ovviamente anche allora nessuno dalla Federazione si mosse ad indagare su queste manovre di mercato. In fondo siamo nel Paese dove avvenne il ratto delle Sabine e, quindi, cosa vuoi che siano due giocatori in confronto ad una torma di donne rapite per dare futuro e gloria alla città fondata da Romolo.
Le benedette regole sembrano davvero non importare a nessuno, e quindi diventa del tutto normale che il laureato Giorgio Chiellini proclami soddisfazione per il 36esimo scudetto vinto della Juventus e fornisca un'epica risposta al giornalista Riccardo Cucchi che gli ricordava di avere due scudetti in meno: “glissiamo”. Eh sì, meglio glissare, meglio non avere memoria. Vediamo un film, parliamone per una sera, poi passiamo ad un altro film. Sanciamo definitivamente che lo sport, tipica metafora della vita, è diventato uno spettacolo. E in uno spettacolo, va bene anche un allenatore del Crotone accusare velatamente la Fiorentina di aver fatto vincere il Cagliari. In una sceneggiatura è lo scrittore che decide la trama, le regole, i personaggi. In essa tutto può cambiare e nessuno paga, tranne lo spettatore deciso a seguirne le vicende. Egregio Aurelio, forse lei e Massimo Ferrero siete la panacea del calcio italiano, visto che proprio in un film italiano si vendeva la Fontana di Trevi ad un ingenuo turista americano. Le cose verosimili ben raccontate sono diventate più importanti della verità. E allora non importa se forse lei più che fare film americani al massimo li distribuisce, non importa se occupa a natale numerose sale per un collage di film già visti, non importa se non sappiamo cosa ci sia dietro la fiduciaria della sua società, non importa se promette uno stadio nuovo mai fatto. Importa gridare “al ladro” e, guardandosi intorno, cercare una nuova sceneggiatura da raccontare. “Pensa a quanto è saggio un topolino: non affida mai la sua vita a un solo buco”, scrive Plauto nel “Truculentus”. Per il resto, come direbbe il dottor Giorgio Chiellini, glissiamo.
(ha collaborato Carmelo Pennisi)
Anthony Weatherhill, originario di Manchester e nipote dello storico coach Matt Busby, si occupa da tempo di politica sportiva. E’ il vero ideatore della Tessera del Tifoso, poi arrivata in Italia sulla base di tutt’altri presupposti e intendimenti.
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