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columnist
TURIN, ITALY - OCTOBER 04: the referees on the field before the Serie A match between Juventus and SSC Napoli at Allianz Stadium on October 04, 2020 in Turin, Italy. (Photo by Juventus FC/Juventus FC via Getty Images)
“La giustizia è come un treno
quasi sempre in ritardo”.
Evgenij Evtusennko
Nelle polemiche legate alla sentenza della Corte Sportiva d’Appello della Federcalcio, presieduta da Piero Sandulli, sulla nota questione relativa al mancato Juventus-Napoli, c’è qualcosa che forse sta sfuggendo ai più: se alla sentenza della Corte Sportiva dovessero essere riconosciute solide fondamenta, allora ci si troverebbe di fronte non solo ad un palese caso di slealtà sportiva, ma anche ad un tentativo di manipolazione dei fatti portato avanti, da parte del Napoli, in collaborazione con importanti organi istituzionali (asl, Regione Campania,ecc…). Ci si troverebbe, a mio parere, non solo di fronte ad un’infrazione di alcune regole stabilite dal mondo del calcio, ma anche davanti ad un palese reato (penale) di “interesse privato in atti d’ufficio”. La sentenza di Piero Sandulli è stata di una durezza a dir poco sorprendente, perché ribadisce in modo spietatamente chiaro come la società partenopea avesse scientemente deciso di non voler disputare la partita di Torino, attivandosi “per creare un alibi per non giocare”. Sandulli dice senza mezzi termini, attraverso una sentenza evidentemente tesa a stabilire una volta per tutte un “criterio giurisprudenziale certo” per il calcio al tempo del Covid, come nessuna società di calcio possa minimamente ritenere di potersi fare le regole da sola.
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Come è noto, la posizione della società presieduta da Aurelio De Laurentiis si colloca esattamente all’opposto della sentenza della Corte Federale, sostenendo sia la mancanza di dolo premeditato, sia il fatto che partire alla volta di Torino sarebbe stata un’aperta violazione del parere dell’autorità sanitaria campana. Stabilire in questa sede chi abbia torto o chi abbia ragione, sarebbe compito assai arduo e, in questo caso, assolutamente fuori luogo rispetto al problema venuto fuori, ovvero il caos conseguente. Secondo una ricostruzione, avvenuta attraverso documenti pubblicati in esclusiva, del settimanale “L’Espresso”, il quadro sarebbe quanto segue: per l’Asl di Torino Juventus-Napoli si poteva giocare, per la Regione Campania e le Asl di Napoli no. Per le decisioni del governo sì, per le future decisioni del governo chissà. Piero Sandulli, in tale contesto, non poteva, a mio parere, non agire come ha agito, perché il rischio di creare un clima di anarchia e di sospetto nelle vicende dell’attuale campionato era altissimo. Ciò non vuole dire che il Napoli abbia assolutamente torto (al momento la società azzurra è stata condannata solo attraverso prove indiziarie, ma si sa come nello sport questo tipo di prove a volte siano più che sufficienti), ma, sempre secondo il settimanale del “Gruppo Gedi”, De Laurentiis sarebbe stato “salvato” dall’amministrazione regionale attualmente guidata da Vincenzo de Luca, che attraverso Almerina Bove, suo vicecapo di gabinetto, ha confermato l’obbligo per tutti i contatti stretti di Piotr Zielenski, calciatore risultato positivo al Covid, di non “allontanarsi dal domicilio comunicato”.
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Nella cultura del sospetto ormai in cui siamo tutti immersi, è facile criticare la prefigurazione di complicità tra De Laurentiis e De Luca paventata dal settimanale romano, in quanto ormai esso è saldamente controllato dalla famiglia Agnelli, quindi tendenzialmente favorevole agl’interessi di tutto ciò che concerne il pianeta Fiat, Juventus compresa. Come la stessa cultura del sospetto sta alimentando la convinzione di un Napoli, per ipotesi note e troppo lunghe da elencare nuovamente in questa sede, pronto a cogliere l’opportunità della positività di alcuni suoi giocatori e, con la complicità delle autorità sanitarie campane, trovare la giusta scusa per non presentarsi allo “Stadium”. Non se ne esce. In questo triste quadro una persona, Piero Sandulli, dal curriculum professionale infinito e prestigioso, nonché fornito di uno spessore etico davvero fuori dal comune, specie se rapportato allo spirito di questi tempi disgraziati, ha per forza di cose dovuto fornire una linea di principio che i club calcistici, da oggi in poi, dovranno stare molto attenti ad oltrepassare. Lo ha fatto nel modo in cui gli uomini del diritto devono farlo, ossia utilizzando la giurisprudenza non solo per riparare un danno arrecato, ma anche per tentare di riportare “armonia” nelle cose. L’armonia come ordine immesso da Dio nel creato, ordine che, come dice Sant’Agostino, “l’intelletto umano può ripercorrere attraverso lo studio delle arti liberali”. E l’armonia come frutto degli sforzi dei razionalisti, per esempio Leibniz, necessaria a “ricostruire l’unità nell’uomo e tra uomo e mondo”. In ogni caso il diritto è frutto di un cammino e di una visione condivisa da un’intera comunità, che gli riconosce una sua legittima ermeneutica.
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Non volendo infilarsi in argomentazioni troppo complesse, e per comodità di sintesi, è quanto mai necessario tenere a mente come una norma, o legge, o regolamento, per funzionare deve essere rispettata a prescindere da tutto, o, qualsiasi sia il rischio o conseguenza, dalla tentazione di inseguire un’eccezione ritenuta valida. E’ la base di ogni convivenza sociale o attività umana. Se si è d’accordo su questo, allora il punto di riferimento di ogni decisione o azione intrapresa dalla squadre di calcio al tempo del Covid, non può che essere il protocollo firmato a suo tempo dal Governo attualmente in carica e dal mondo del calcio. Ma uscendo dal concetto esclusivamente giuridico, non si può non rilevare come le durissime parole utilizzate da Sandulli nella sentenza, disegnino anche uno scenario in cui le istituzioni campane, come ricordato dall’articolo del settimanale “L’Espresso”, si sarebbero prestate a fornire al Napoli gli elementi giusti per portare in porto l’intenzione di non disputare la partita con la Juve.
Questo scenario, se fosse provato (e a mio avviso si dovrà far di tutto per provarlo o smentirlo), prefigura, come detto, qualcosa di più di una, pur grave, slealtà sportiva. Sono parole che non potranno cadere nel vuoto di una semplice penalizzazione di punti. Al punto in cui sono giunte le cose, o la Corte Federale ha ragione, e quindi il presidente del Napoli dovrebbe andare incontro ad una pesantissima squalifica, o Piero Sandulli ha esagerato con le sue parole, e diventerebbe necessario, quindi, mettere in discussione la sua permanenza alla presidenza di una Corte Federale. Tertium non datur. Si è intrapresa, temo, una strada da cui sarà difficile tornare indietro, anche perché il Napoli ha manifestato l’intenzione, al fine di avere giustizia, di essere disposto ad arrivare a discutere le sue tesi fino al TAR, violando a quel punto la “clausola compromissoria”, che impone ai tesserati della Federcalcio il divieto di adire alla giustizia ordinaria per tutte le controversie inerenti l’attività sportiva.
Le conseguenze di questa violazione potrebbero essere squalifiche, perdite di punti e sanzioni pecuniarie. Sarebbero almeno altri tre punti di penalizzazione, e sarebbe meglio che dalle parti di Napoli non si facessero troppe illusioni in proposito. L’articolo dell’Espresso sulla vicenda, ha chiosato così: “sarà divertente assistere alla gara nei tribunali sportivi e nei mitologici Tar. Ci vorrebbe un Paese. Un Paese ci vuole, direbbe Cesare Pavese, non fosse per il gusto di andarsene via. Se non positivi, ovvio”. Non so se il Paese Italia c’è, mi auguro di sì, però una cosa quanto mai dovrebbe essere avvertita come necessaria, ovverossia come la modifica del 2001 del titolo V della Costituzione italiana non possa essere valida nel calcio professionistico, perché il rischio reale, nel mondo della pandemia da Coronavirus, sarebbe quello di non terminare nessun campionato. Sospetto sia questo motivo per cui Sandulli ha picchiato così duro con la sua sentenza, sospetto sia questo quello che De Laurentiis ancora fatichi a capire. Il futuro dirà, spero, chi dei due abbia veramente ragione. Perché, a dirla come Platone, “la giustizia è quello che veramente è”.
(ha collaborato Carmelo Pennisi)
Anthony Weatherhill, originario di Manchester e nipote dello storico coach Matt Busby, si occupa da tempo di politica sportiva. E’ il vero ideatore della Tessera del Tifoso, poi arrivata in Italia sulla base di tutt’altri presupposti e intendimenti.
Attraverso le sue rubriche, grazie al lavoro di qualificati opinionisti, Toro News offre ai propri lettori spunti di riflessione ed approfondimenti di carattere indipendente sul Torino e non solo.
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