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Il cuore di Tomas Rincon

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Loquor / I tifosi del Toro dovrebbero provare molto orgoglio per il fatto che un uomo simile vesta la loro gloriosa maglia
Anthony Weatherill

“Il dolore se condiviso si dimezza.

La gioia se condivisa si raddoppia”.

San Tommaso

Spesso mi capita di riflettere sul calcio come l’unione di tanti microcosmi comunitari, luoghi d’incontro di storie intime che vanno ad intersecarsi tra di loro fino a creare delle vere e proprie atmosfere dai connotati familiari. In tutti i luoghi frequentati o frequentabili del mondo può capitare di incontrare un fratello o una sorella nella fede della tua squadra, ed è davvero come se incontrassi uno di famiglia, uno con cui l’empatia è immediata perché figlia di uno stesso amore. E allora, dopo qualche attimo del necessario “annusarsi”, eccoci subito lì a parlare della squadra, del suo presidente, dei suoi giocatori, dei suoi risultati avvenuti o che vorremmo che avvenissero. Ma è sui giocatori che restiamo più tempo, perché loro sono la rappresentazione concreta da dove possono passare molte nostre occasioni di speranza e di momenti di magico buon umore. Dei giocatori impariamo a sapere tutto e qualche tifoso si illude persino di sapere con certezza l’orario del loro andare a letto la sera. In un onirico desiderio di essere lì presenti a rimboccargli le coperte, in un estremo gesto di tenerezza. Con i nostri sogni siamo così. E dopo un po’ di tempo diventano figli, fratelli maggiori o fratelli minori. Si trasformano, insomma, in roba di famiglia. E come ogni famigliare a volte ci fanno anche arrabbiare, perché dagli affetti più profondi ci si aspetta sempre molto. Ma le arrabbiature passano in fretta, perché non c’è niente che non siamo disposti a perdonare a chi vogliamo veramente bene. Non so se tutti i giocatori, nel tempo e allorché saranno diventati ex, si ricorderanno di noi tifosi, ma posso assicurare che io non dimenticherò mai ogni giocatore passato dallo United. Nel bene, nel male e nel tempo essi rimangono e rimarranno un pezzo della mia vita. E per quanto a molti la cosa parrà strana, a me le loro vicende interesseranno sempre. Proprio fossero dei famigliari, appunto. A questo e ad altro ho pensato, pur non essendo un tifoso del Torino, quando domenica ho letto questo tweet di Tomas Rincon: “con la testa in campo e con il cuore in Venezuela”.

Tempo fa un professore universitario francese, in procinto di recarsi in Venezuela per un viaggio di studio, chiese ad un suo collega di Caracas se gli potesse portare qualcosa. La risposta fu, nella sua semplicità, di quelle da lasciare attoniti: “dentifricio e shampoo”. Basterebbe questo aneddoto per descrivere la crisi economica e politica, dai contorni ormai da vera e propria tragedia umanitaria, che sta attanagliando quello che fu uno dei Paesi più ricchi del Sud America, tanto da attrarre diverse generazioni di emigranti dall’Europa. Tomas Rincon, il più importante giocatore venezuelano contemporaneo e capitano della rappresentativa dei “Vinotinto”, ha più volte cercato di richiamare, attraverso tweet drammatici e dove traspare tutta la sua sofferenza di uomo, l’attenzione del mondo su quanto sta accadendo nel suo Paese. In un video pubblicato su twitter, prendendosi rischi considerevoli per sé e per la sua famiglia, ha lanciato un drammatico appello a Nicolas Maduro, il padre padrone del Venezuela: “cosa vi hanno fatto le madri che vedono i loro figli morire negli ospedali perché non ci sono medicine? Che cosa vi hanno fatto quei bambini che vedono morire le loro speranze perché non hanno le cure necessarie?E’ arrivato il momento di restituire la speranza ai venezuelani che vogliono ricostruire il nostro Paese. Io sarò parte attiva per la ricostruzione di quel Venezuela che tutti sognamo. Non perdiamo la speranza, Venezuela, io sono con voi!”.  I tifosi del Toro dovrebbero provare molto orgoglio per il fatto che un uomo simile vesta la loro gloriosa maglia, perché l’animo di Tomas Rincon è quello di una persona che non si tira indietro, che non volta le spalle al dolore solo perché potrebbe farlo con le facilità offerte dal calcio. Deve essere tremendo essere con la testa sul campo e con il cuore da un’altra parte, qualcosa da non augurare nemmeno ai nostri peggiori nemici. Quale forza di carattere bisogna avere per reggere ad uno stato d’animo del genere? “Dove troviamo la forza per arrivare alla fine della corsa?”, recitava una memorabile battuta del film premio oscar “Momenti di Gloria”. Domande a cui è difficile rispondere se almeno una volta qualcuno o qualcosa non ha tentato di strapparti il cuore dal petto con quella inusuale furia con cui a volte la vita ti presenta qualche conto. Ma “El General” ogni settimana è sempre lì, in quella landa difficile e piena di misteri intricati quale è il centrocampo di una partita di calcio, a lottare su ogni pallone e a provare a regalare qualche attimo di felicità ai suoi tifosi. Con quel suo carattere “da ultimo che chiude la porta”. Perché nessun potere politico, per quanto negativo, potrà mai levargli la gioia di “parlare” con quella sfera di cuoio a cui riserva amorevoli cure sin da bambino, in una terra in cui in realtà lo sport più amato e seguito è il baseball. Ma San Cristobal, la città dove è nato e cresciuto Rincon, è una di quelle tante vette andine da dove è facile avere la sensazione di poter toccare il cielo, ispiratore di ogni tempo di ogni sogno possibile. Probabilmente il centrocampista del Torino oggi si starà chiedendo cosa mai sia possibile sognare in un Paese dove il PIL è definitivamente tracollato, dove i beni di prima necessità scarseggiano e dove l’unica aspirazione possibile, per molti, è mettersi in fila di fronte ad un bidone di spazzatura nella speranza di trovare qualche avanzo di cibo accettabilmente commestibile.

Per una persona perbene essere un ricco circondato dalla povertà degli altri non deve essere un’esperienza agevole. Saper calciare bene un pallone ha permesso a Rincon di essere fisicamente fuori da un inferno inenarrabile, ma il cuore è lì, in fila davanti a quei bidoni di spazzatura. In Venezuela  non si riesce più a gioire, e quando l’8 giugno del 2017 la nazionale under 20 dei “VinoTinto” sconfigge l’Uruguay(in Corea del Sud) accedendo alla prima finale di un mondiale Fifa della sua storia, è di Rafael Dudumel, Ct di quella nazionale, il monito che per sempre rimarrà nella memoria di ogni venezuelano: “signor Presidente, oggi l’allegria ce l’ha data un ragazzo venezuelano di 17 anni e ieri in Venezuela è morto un ragazzo di 17 anni… abbassate le armi”.  In tutta onestà non so dire se la ragione stia dalla parte di Nicolas Maduro o in quella dei suoi oppositori, altri più preparati di me in futuro si occuperanno di far luce sull’attuale tragedia venezuelana, ma un piccolo desiderio, forse fin troppo pretenzioso(mi perdonino i tifosi granata), però l’avrei. Mi piacerebbe che i tifosi del Toro nella prossima partita casalinga facciano capire a Tomas Rincon quanto non sia solo nel suo dolore e nella sua angoscia, quanto apprezzino la dedizione di questo giocatore alla causa granata, quanto veramente una squadra di calcio, in fin dei conti, sia la cosa più simile ad assomigliare ad una famiglia. E in una famiglia ci si aiuta, ci si protegge, ci si fa coraggio a vicenda. Tomas Rincon un giorno smetterà di essere un giocatore del Torino, e forse il tempo renderà il suo ricordo sbiadito, come con quei parenti che per necessità emigrano lasciando solo i più anziani a narrarne qualche aneddoto. Ma Tomas Rincon oggi è qui a presidiare il centrocampo del Torino, e oggi è un figlio del popolo granata.

I tifosi che ci sono sempre e comunque, e non solo quando si segna o si evita un gol, sarebbe un bel segnale. Aiuterà probabilmente il giocatore venezuelano a sentirsi meno solo, e forse per molti questo non è poi una gran cosa. Ma in certi momenti, fidatevi, questo poco può valere come tutta la felicità del mondo. Per quanto mi riguarda mi sento un privilegiato ad aver conosciuto qualcosa della sua storia e, per quel che vale e nonostante sia tifoso dello United, Tomas Rincon rimarrà un pezzo dei ricordi della mia vita e del perché amo questo fantastico gioco. Gli auguro, tra qualche anno, di giungere alle stesse conclusioni di Bedrosian Melchiade Baol, il mago buono dell’antica arte magica baol dello splendido racconto di Stefano Benni: “Sto qua e ascolto il pianista. Sono all’ultimo tavolo a sinistra in fondo. Se non vi piace lo spirito del tempo, se vi piacerebbe conoscere la filosofia baol, se non riuscite a dormire o se state dormendo, venite. Mi riconoscerete subito: ho un tatuaggio a forma di fiocco di neve sulla mano. Starò qui fino a quando il pianista suonerà. E finché ci sono io suonerà”. Buona fortuna per il tuo cuore, Tomas Rincon, e grazie. Io non ti dimenticherò.

Di Anthony Weatherill

(ha collaborato Carmelo Pennisi)

Anthony Weatherhill, originario di Manchester e nipote dello storico coach Matt Busby, si occupa da tempo di politica sportiva. E’ il vero ideatore della Tessera del Tifoso, poi arrivata in Italia sulla base di tutt’altri presupposti e intendimenti.

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