In questi giorni di festa in cui uno cerca di tirare fuori il meglio di sé, ho sentito da più parti rivendicare il diritto di essere razzista. Almeno allo stadio, dai! Perché se adesso non puoi neanche più associare Koulibaly a una scimmia, sovrastandolo di “Uh uh!” in perfetto stile giungla, dopo che per novanta minuti si è messo di traverso tra l’Inter e la vittoria, allora che senso ha far giocare la serie A a Natale?
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Il diritto di essere razzista
A San Siro l’arbitro non ha avvertito l’urgenza di sospendere la partita, che a osare tanto poi si finisce dismessi, come Gavillucci, finito ad arbitrare nell’armadio della serie B dopo la sospensione di Sampdoria-Napoli. Già, per sospendere una partita ci vuole coraggio, ma per mandare a casa 60.000 persone in sicurezza occorre qualcosa di più, la bacchetta magica. Chissà se le ha fatte queste valutazioni, chi di professione scrive come si devono comportare gli altri. Tornando a San Siro, l’arbitro non ha colto i ripetuti cori fuori luogo, no, ma con solerzia ha cacciato Koulibaly, reo di un applauso che poteva certo tenersi dentro alle mani. Sarò sincera, Koulibaly non mi fa simpatia, ma credo che, nonostante l’assonanza, sia sostanziale la differenza che intercorre tra un “Bu” e un “Uh”: il primo lo urlo senza se e ma, al più spocchioso dei difensori del Napoli, il secondo è una critica al tipo di melanina nella pelle, neanche mi viene in mente. In mente mi viene invece il dubbio che chi urla “Uh” non lo abbia compiuto per intero il processo evolutivo scimmia-uomo. Una roba da nostalgici.
E qualche giorno dopo Koulibaly, stesso odioso trattamento riservato dalla curva laziale al nostro Meité. L’arbitro si accorge subito della reazione non consona di Meité su Acerbi, a noi invece ci vorranno giorni, per capire cosa diavolo abbia combinato: una manata. “Non violenta ma antisportiva”, scrive il giudice. E come è una manata non violenta ma antisportiva, una carezza focosa? Non avendola vista rimarremo col dubbio, abbiamo però la sicurezza che è stata l’errata reazione a qualcosa, qualcosa che non abbiamo visto. L’unico elemento certo, sono gli “Uh-Uh!” che hanno accompagnato l’uscita di Meité. Mi auguro che il giudice sportivo tenga conto di tutti questi fattori nel valutare il ricorso contro le due giornate di espulsione (sfide impegnative, prima la Roma e poi l’Inter. Orfani anche di Izzo). Mi auguro che il giudice sportivo prenda atto che esistono curve che si fanno un vanto di avere una connotazione razzista. I laziali nel 2017 rivendicarono – addirittura un po’ seccati a dire il vero – in un comunicato ufficiale, la primogenitura degli “Uh-uh!” razzisti all’indirizzo dei giocatori neri negli stadi, pensarono forse di iscriverlo alla Siae una volta per tutte il loro “Uh-uh!”, prima che qualche interista o juventino si prendesse il merito. Sempre quei laziali che qualche giorno fa, per spronare e coccolare il loro centrocampista serbo a ribasso di prestazioni, hanno esposto lo striscione “Milinkovic zingaro”. Confusamente gli stessi che anni or sono scrissero “Onore alla tigre Arkan”. Quelli che ieri notte hanno “giocato” alla guerra, lanciando bombe carta per le strade di Roma.
Non ho bisogno di essere Koulibaly o Meité o napoletana o zingara, per dire che certi atteggiamenti non li voglio accettare. Però sono una donna, questo sì, e da donna trovo curioso che la medesima Lega che il 25 novembre – giorno contro la violenza sulle donne – fa giocare i calciatori ostentando un tratto rosso sul viso, poi scelga Riad come sede della finale di Supercoppa Juventus-Milan, proprio quella Riad che a me direbbe: lei che è donna si sieda lì, in quel piccolo settore, perché nel resto dello stadio non ha il diritto di entrare. E si consideri fortunata, fino a qualche anno fa sarebbe stare fuori, nel parcheggio.
Ma noi possiamo sfoggiare i nostri ultras laziali anche in questo frangente: qualche mese fa, nell’ennesimo comunicato alla curva – neanche San Paolo scriveva così tante lettere ai romani – evidenziava come le prime dieci file dovessero essere riservate ai soli maschi di puro sangue celeste. No woman, no cry.
Chissà, magari andare a giocare una partita di pallone in Arabia Saudita contribuirà davvero ad ampliare la parità di genere. In fondo è molto più sconfortante pensare che l’Italia fornisce all’Arabia Saudita bombe che poi la dittatura sgancia sugli stati non graditi, che nobilitarla con eventi sportivi internazionali. O no. Chissà.
È che a me frega sempre l’idea di un calcio romantico, quello dei valori positivi che rotolano in un pallone. Ad esempio quello del piccolo attaccante Toro under 14 che in una partita di qualche giorno fa si vede assegnare un gol contro la Lazio ed esulta, ma poi gli basta un’occhiata di Fioratti, l’allenatore, e va dall’arbitro: ho calciato fuori, non era gol, la rete è bucata.
Il mio buon auspicio per il nuovo anno è di non veder chiudere le curve per cori razzisti, ma di ammortizzare il costo delle migliaia di telecamere di cui sono stati dotati gli stadi, nonché il costo dell’emissione di biglietti nominativi, individuando gli artefici di ogni gesto in curva, in modo da andare poi a prenderli per un orecchio a casa. Auspico società di calcio che non scendano mai a patti con pseudo tifosi legati alla malavita che di professione fanno gli ultras, ma prendano le distanze e puntino il dito: tu, tu e tu. Un elenco di nomi e cognomi. Oh… che bel 2019 sarebbe.
Mi sono laureata in fantascienze politiche non so più bene quando. In ufficio scrivo avvincenti relazioni a bilanci in dissesto e gozzoviglio nell’associazione “Brigate alimentari”. Collaboro con Shakespeare e ho pubblicato un paio di romanzi. I miei protagonisti sono sempre del Toro, così, tanto per complicargli un po’ la vita.
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