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columnist
Il titolo di un ottimo romanzo, il giorno prima della felicità, sintetizza lo status del Toro squadra. A Roma, come in altre occasioni, abbiamo dormito, ci siamo risvegliati di soprassalto, siamo tornati a dormire, abbiamo buscato. Sintesi: consueto rinvio del salto di qualità alla prossima gara. In realtà il nostro problema principale è la penuria di vittorie, solo sei su 20 partite, una tristezza. E siamo lì, nel gruppone delle compagini che nel campionato a venti squadre non sanno se essere entusiaste di non rischiare la retrocessione o depresse per non puntare con decisione all'Europa. Certamente i nostri eroi e società paiono impermeabili a qualsiasi risultato, positivo o negativo che sia. Il domandone conclusivo di "chi vuol essere milionario" (chiedo l'aiuto del pubblico) è: noi abbiamo diritto ad aspirare a traguardi più prestigiosi di quelli attuali? Intendo dire, il semplice essere il Toro, lo impone, oppure occorre fare i conti con la realtà degli ultimi 20 o 30 anni fatti anche di anni serie b e dunque il centro classifica dovrebbe appagarci? Io penso, che il Toro e chi lo guida, debba avere obiettivi di vertice perché il Toro è la storia del calcio, la leggenda e ha un pubblico importante da rimotivare. È evidente che il limbo, condito da freddezza e perdita di identità, non ha e non avrà mai fascino. È come rimanere vanamente in attesa di una chiamata da parte della donna corteggiata e poi uscire con un insipido ripiego. Zeru gaudio. Non posso però non rammentare a me stesso che l'ultimo periodo in cui il Toro occupava le prime 5 o 6 posizioni risale a circa 30 anni fa... è quel ricordo che mi, ci, frega.
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