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Il fallimento dello sport italiano

Anthony Weatherill
Loquor / Torna la rubrica di Anthony Weatherill: "Quante cose sono successe negli ultimi mesi nel calcio italiano..."

Solo il tempo rivela l’uomo giusto

Sofocle

Quante cose sono successe negli ultimi mesi nel calcio italiano, cose che avrebbero richiesto un immediato intervento delle autorità sportive per cercare di fermare un mondo che sta franando davanti ai nostri occhi, formulando una strategia operativa capace di dotare di un nuovo orizzonte etico/imprenditoriale il mondo dello sport nazionale italiano. Invece niente, silenzio assoluto da parte di Malagò e compagni, come se ci trovassimo di fronte ad una tranquilla estate in attesa di entusiasmarci per le gesta dei nuovi campionati il cui ormai inizio è alle porte. Nuovi campionati dove riesce difficile, in questi giorni caldi di luglio, capire la composizione, visto il caos che regna tra tribunali fallimentari e aule di giustizia sportiva. Appare del tutto evidente come, nella forte contrazione economica subita dal sistema Italia negli ultimi anni, lo sport italiano non stia riuscendo a trovare un assetto convincente per dare stabilità finanziaria ai club partecipanti ai vari campionati allestiti ogni anno. Le emergenze del Paese sono altre, e la politica ha preferito lasciare andare verso il triste destino, al quale stiamo assistendo impotenti, tutto lo sport italiano. Se qualcuno si peritasse di andare a verificare il reale stato economico dei club del principale campionato professionistico del BelPaese, la Serie A di calcio, scoprirebbe tali amare sorprese da porre il più classico degli interrogativi: vale ancora la pena? A voler essere ottimisti solo una decina di club della massima serie italiana hanno bilanci corretti e prospettive di futuro. Dieci su una miriade di club, spesso ricchi di storia, a rischio quotidiano di fallimento e sparizione dalla geografia del calcio italiano(sono fallite 146 squadre negli ultimi quindici anni).

Una mattina i tifosi del Chievo si svegliano, e si accorgono che la società per cui tengono è pesantemente accusata dalla procura federale di aver usato la struttura del club, e la passione dei suoi tifosi, come un banale veicolo finanziario(operando plusvalenze fittizie) per far arricchire illecitamente il suo presidente. Un giorno d’estate, mentre tutti noi tifosi sogniamo e desideriamo cambiamenti copernicani dal mercato giocatori, ad un tifoso napoletano, ancora ebbro dall’ingaggio di Carlo Ancellotti (come se poi in campo scendessero gli allenatori…), viene uccisa la speranza di poter competere contro la Juventus, perché la società Napoli non è attrezzata finanziariamente, come lo stesso De Laurentis ha dichiarato, per poter ingaggiare un Cristiano Ronaldo o un Edinson Cavani. Se interpellassero sulla questione un Malagò o un suo sodale di Federazione, temo risponderebbero che i dirigenti juventini sono stati bravi ad aumentare, negli anni, la forza economica della società che gestiscono. Eh sì, a volte le cose vengono mistificate con un tale livello di menzogna, da oscurare le più elementari verità presenti tra le carte del Credito Sportivo(concessore di un lauto finanziamento alla società bianconera per la ristrutturazione del vecchio Delle Alpi. E sottolineo ristrutturazione, non costruzione di un nuovo stadio.

Il diavolo sta sempre nei dettagli e nelle parole formali) e in qualche delibera del comune di Torino particolarmente favorevole (e qui sono volutamente eufemistico) per la concessione dello sfruttamento del terreno dove sorge lo Stadium. Lo sconcerto deriva dal voler sempre privilegiare alcune realtà, dimenticandosi di tutte le altre. Mai che si prospettasse una riforma di sistema(come avvenuto in Premier League), atta a favorire una possibilità per tutti i club, se capaci, di potersi delineare un futuro sempre più roseo. Tutto viene lasciato al caso, quando va bene; tutto viene lasciato all’anarchia soverchiante di chi decide di esercitare un potere personale, quando va male. In questo clima di vuoto di potere e di incapacità istituzionale, una società che si attribuisce scudetti revocati dalla giustizia sportiva (la Juventus) e un’altra società(il Napoli) impegnata quotidianamente, ormai da quasi tre mesi, a sostenere la disonestà di una classe arbitrale rea di avergli tolto uno scudetto a favore della Juventus, trovano persino consensi e legittimazione tra la gente. In una società normale, con una classe dirigente appena decente, qualcuno(De Laurentis o gli arbitri da lui sospettati di aver falsato la regolarità del campionato scorso) sarebbe stato indagato e sanzionato. Invece tutto tace, e De Laurentis e tutta la stampa napoletana si sono auto attributi uno scudetto, a loro dire, “conquistato sul campo” (Juventus docet). Ma l’anarchia imperante, la perdita di senso delle parole, lo svuotamento di significato dei poteri di controllo, non sembra preoccupare eccessivamente la mappa del potere della dirigenza sportiva italiana. Ogni situazione di caos, e quella dello sport italiano oggettivamente lo è, solitamente genera qualche nuova personalità portatrice di idee nuove, favorendo il “farsi avanti”. Ma qui nessuno si fa avanti, e il paesaggio appare privo di uomini portatori di sane ambizioni.

 

Andrea Abodi, quando era presidente della Lega della serie B, aveva portato uno stile vivace nel cercare di rivitalizzare un campionato cadetto da anni ridotto in stato di coma vigile. Si era fatto promotore, Abodi, addirittura di un progetto complessivo per far ottenere alle società di B gli stadi di proprietà. Progetto lodevole, anche se totalmente privo, al tempo, di una qualsiasi strategia politica/finanziaria concreta. Abodi, in seguito, ha tentato vanamente la scalata alla presidenza della Federcalcio (mio modesto parere: sarebbe stato un ottimo presidente), per poi sistemarsi alla direzione del Credito Sportivo. Uno pensa: se Abodi ai tempi della presidenza della Lega B voleva degli stadi di proprietà per i club minori, ora che ha tra le mani la potente leva finanziaria del Credito Sportivo, di certo farà qualcosa per dare una qualche concretezza a quel suo antico progetto. Se farà questo qualcosa, e dargli del tempo ritengo sia doveroso e l’uomo Abodi lo merita, allora sarà un bel “farsi avanti”, di cui tutti dovranno tenere conto. Compreso quei mezzi di informazione che prima ne hanno fatto aumentare le quotazioni, sospetto un po’ in funzione anti Tavecchio/Lotito, e poi lo hanno relegato un po’ nel dimenticatoio. Sono sempre più misteriosi, nell’Italia contemporanea, i motivi per cui alla fine le cose si fanno, e tra questi motivi non ci sono di certo l’utilità generale e l’opportunità. Se anche una famiglia ricca e potente come quella dei Della Valle, felicemente dichiara di avere una squadra per assicurarsi il settimo posto nel campionato prossimo, allora si può evincere facilmente la resa della classe imprenditoriale italiana rispetto alle vicende dello sport. I ricchi imprenditori italiani, quando capita, fanno lo stretto necessario. Nulla di più. Tutto in nome di bilanci che devono restare in equilibrio. Strano come degli imprenditori dimentichino che solo investendo, e credendo in un prodotto, gli introiti possano salire garantendo molto di più di un bilancio in equilibrio. Ma forse non credono nel prodotto.

Se così è, i dirigenti sportivi succedutesi in questi anni hanno delle responsabilità ingenti. Era loro il compito di rendere appetibile il prodotto sportivo, e non solo non lo hanno fatto ma si sono resi protagonisti di attività omissive gravi. Se un incarico dirigenziale oltre agl’onori prevedesse anche l’assunzione di responsabilità, a Giovanni Malagò resterebbe una sola opzione: le dimissioni dalla presidenza del Coni. La complicità della stampa, in tutto questo quadro miserevole, è imperdonabile. Doveva vigilare e non lo ha fatto; doveva fungere da cane da guardia e non ha emesso nemmeno un flebile abbaio alla luna; doveva fare nomi e cognomi dei colpevoli e invece li ha fatti solo per ingraziarseli. Ai tifosi, vista la resa e la viltà della classe imprenditoriale italiana, non resta, forse, che guardare all’azionariato popolare come un onorevole via d’uscita e di possibile crescita delle ambizioni dei club di riferimento. Mettersi insieme, magari creando delle polisportive, per salvaguardare ciò che resta dello sport dei loro territori. Non c’è molto tempo. Dei cambiamenti epocali stanno arrivando, e le squadre ricche faranno da sé. Per tutte le altre ci sarà la marginalizzazione sportiva o l’estinzione e il ricordo triste dei tempi felici che furono. “Il tempo è un dio benigno”, ha scritto Sofocle nell’ “Elettra”. Spero proprio sia così.

Di Anthony Weatherill

(ha collaborato Carmelo Pennisi)

 

Anthony Weatherhill, originario di Manchester e nipote dello storico coach Matt Busby, si occupa da tempo di politica sportiva. E’ il vero ideatore della Tessera del Tifoso, poi arrivata in Italia sulla base di tutt’altri presupposti e intendimenti.