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“Cosa ricordo della partita con Haiti ai Mondiali del ’74, quando finì la mia imbattibilità? Fece un gran gol Sanon. In contropiede, bruciò Spinosi sullo scatto e poi anche me. Era forse nella logica delle cose che un record abbastanza lungo venisse fermato da un calciatore non particolarmente famoso”.
(Dino Zoff)
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Oggi parliamo di record. Di un record che finisce, di un giocatore che lo stabilisce e di un carneade che spezza l’incantesimo. Vi ricordate la serata, indimenticabile, dei Campionati del Mondo di atletica leggera di Tokyo, nel 1991? I più giovani forse no, ma vecchi borbottoni come il sottoscritto, sì, e a ragion veduta. Fu quella una edizione straordinaria, con gare indimenticabili, e risultati eccezionali. L’unforgettable moment fu quello della finale del salto in lungo, in cui era impegnato il Figlio del Vento, al secolo Carl Lewis.
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L’americano, indiscusso protagonista dell’atletica mondiale, dopo i quattro ori Olimpici di Los Angeles, si trovò a duellare con il suo connazionale Mike Powell, in una delle più spettacolari gare nella storia di questa specialità. I due atleti si contesero il posto più alto del podio in una serie di salti sopra gli 8,80 metri, mentre, nel catino dello stadio giapponese nel completo silenzio del pubblico, risaltava percepibile il suono del vento.
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Powell e Lewis diedero vita ad una battaglia volta a superare i propri limiti fisici ma soprattutto quelli psicologici. Lewis, favorito dal pronostico, condusse una gara in progressione, migliorandosi di tentativo in tentativo e al quarto salto, stabilì, seppur ventoso, il nuovo record del mondo della specialità a 8,91. Il salto venne registrato ma il record non venne omologato proprio per la raffica di vento che lo agevolò. Il limite stabilito da Beamon nel 1968, con 8,90 metri, era stato battuto.
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A quel punto, toccò a Powell, che al quinto salto, stampò un incredibile 8,95, che decretò la fine della tenzone, la vittoria della medaglia d’oro e l’ingresso dell’antagonista nell’Olimpo dei record. I record, del resto, sono fatti per essere battuti. Pertanto, per presentare questo prandiale Frosinone-Torino di domenica prossima, dobbiamo partire da un record spezzato e da due uomini che hanno contribuito a stabilirne i contorni.
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Per ogni campione che entra nella storia, c’è un antagonista che lo combatte. Le loro vite si intrecciano per un istante appena e se prima, i due non avevano niente in comune, da quel momento, entrambi possono condividere quell’evento straordinario.
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Frosinone-Torino è una partita giovane, senza radici storiche. I ciociari sono approdati per la prima volta in Serie A nel 2015 e i destini delle due squadre si sono incrociati appena quattro volte nel campionato cadetto, a partire dal 2009 al 2011. Poca roba, due vittorie granata, un pareggio e una vittoria per i laziali. Il battesimo del fuoco nella massima serie, campionato 2015/16, per la squadra allenata allora dall’ex Roberto Stellone (Spizza bonito) fu proprio contro il Toro di Mister Ventura. Finì 2-1 per noi in rimonta, con gol di Quagliarella e Baselli, in una gara che giocammo con il lutto al braccio per la scomparsa di Don Aldo Rabino, storico padre spirituale del Toro.
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Ma la tappa in Ciociaria che vogliamo raccontare è un’altra ed è datata 10 marzo 2019. Il Toro è quello di Mazzarri, la giornata è la ventisettesima di campionato. Siamo in piena corsa per entrare in Europa e arriviamo a questa trasferta da un filotto di sei gare positive (quattro vittorie e due pareggi).
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La cosa più interessante è che l’ultimo gol subito risale alla partita persa contro la Roma per 3-2, al minuto 73’ per mano di Stephan El Sharaawy. Ciò significa, calcolatrici alla mano, che il nostro portiere, Salvatore Sirigu, ha chiuso la saracinesca da 557 minuti, mettendosi alle spalle un certo Luciano, il Giaguaro, Castellini (517’), puntando dritto verso il mito di Valerio Bacigalupo, issatosi con il Grande Torino alla quota di 690 minuti di imbattibilità.
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C’è attesa per l’ennesima prova del nove per la truppa granata e il record di Bacigalupo appare ancora troppo lontano per essere un tema di cui dibattere. Sta di fatto che questa imbattibilità, Sirigu l’ha costruita strada facendo, prima parando un rigore a De Paul (Udinese) - quinto tiro dal dischetto neutralizzato sugli ultimi sette subiti - poi salvando la nostra porta a ripetizione (Napoli, nove parate) e sfornando un miracolo come quello compiuto sul clivense Djordjevic.
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Se la difesa è un fortino, Sirigu è il suo baluardo. Portiere affidabile, esperto, dotato di forte personalità, freddo e sicuro tra i pali, il nativo di Nuoro è approdato al Toro dopo le esperienze con Palermo, Paris Saint-Germain, Siviglia e Osasuna. Subito eletto a beniamino per il suo stile e la sua efficacia, Sirigu è uno dei pilastri della squadra sin dall’inizio della sua permanenza in granata. Di poche parole, introverso e spigoloso, Sirigu è una piacevole scoperta e subito viene paragonato con i grandi portieri granata del recente (e non) passato.
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Dicevamo della partita di Frosinone. Dopo sette minuti, Sirigu, in tenuta bianca, deve respingere un angolato tentativo del frusinate Ciano, per poi ripetersi su Paganini che prova a batterlo con un tiro a mezza altezza. Altra respinta laterale e, porta, ancora una volta, blindata. Ma i sogni sono destinati a svanire all’alba e come tutti i sogni che finiscono, il risveglio è brusco. 42’ minuto, calcio d’angolo per i padroni di casa. Sulla parabola a giro, si avventa Paganini che con un violento colpo di testa batte imparabilmente il nostro estremo difensore.
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Riguardando il gol, emerge l’eterno dilemma che attanaglia i tifosi quando si tratta di uscite, soprattutto di questi tempi. Quante volte, allo stadio sentiamo: “Esci dai pali! Vai a prendere ‘sto pallone!”, “Ma perché non esci?”, “Oh, questo non esce mai…” Qualche anno fa, parlando con un ex portiere granata molto abile nelle uscite, la mia domanda fu: “Ma perché i portieri di oggi non escono più come facevate voi?”
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La risposta fu precisa e fulminea: “Primo, perché i portieri di oggi, non vengono più allenati ad uscire. Secondo, perché se escono e prendono gol, fanno una figuraccia, quindi preferiscono restare a difendere i pali e se prendono gol, hanno comunque evitato la figuraccia. Terzo, perché hanno paura di uscire e con il traffico che c’è in area adesso, hanno paura di fare un errore, beccare il gol e fare la conseguente figuraccia.” Sirigu rimase nell’area piccola, rinculando di un passo mentre Paganini frustava con un gesto fulmineo il pallone in rete. Un passo indietro, non un passo avanti. E l’eterno dilemma restò tale. Se una volta l’amletico dubbio era Essere o non essere?, per i portieri è Uscire o non uscire?
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Record svanito e counter che si ferma a 599’ minuti per il portiere granata, primo nella storia del Toro se si considerano solo i campionati a Girone unico. Il gol di Luca Paganini è una sorta di resurrezione per il centrocampista romano di nascita, condizionato da una lunga serie di infortuni. È un gol particolare, che spezza un record e riannoda i fili di una carriera complessa e piena di promesse mai mantenute. Ma Luca, figlio del ballerino Raffaele, non si è arreso e quel gol assomiglia ad una vera e propria liberazione.
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Nonostante quel gol subito, Sirigu fu grande protagonista sino alla fine del campionato che vide il ritorno del Toro in Europa, complice anche l’esclusione del Milan. Ma dalla stagione successiva, quel filo spezzatosi a Frosinone non si riannodò più. Sirigu risultò decisivo nella prima parte di stagione ma, iniziato il girone di ritorno, il Toro subì un crollo verticale che lo portò ad una faticosa salvezza. Nonostante i tanti gol subiti, 64, Sirigu venne eletto calciatore granata dell’anno.
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Qualcosa però si ruppe definitivamente nella stagione 2020-2021, che vide Sirigu protagonista in negativo. Nervoso, incerto in più di una occasione, incapace di ripetere i miracoli che avevano contribuito a farne uno dei portieri più affidabili del nostro campionato, Sirigu finì nel tritacarne di un altro campionato sbagliato, prima sotto la guida di Giampaolo e sotto quella di Nicola poi.
Il Toro imbarcava acqua da tutte le parti, saranno 62 i gol subiti che lasceranno davvero l’amaro in bocca per un rapporto chiusosi malamente con una silenziosa rescissione che valse più di mille parole.
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Sirigu fa parte della storia granata per quel record e per tantissime parate strepitose che hanno salvato a più riprese la nostra porta. Per quanto mi riguarda, dei portieri che ho visto al Toro, Sirigu sta sicuramente sul podio della nostra storia recente. Dopo il gol di Paganini penso che sia finito un incantesimo che non ha più restituito al Toro e a noi tifosi quel portiere così magnifico e apparentemente imbattibile.
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Del resto, i record sono fatti per essere battuti, che capiti per mano del figlio di un ballerino che rinasce dopo una serie inenarrabile di sfighe, credo sia una delle cose più granata, immaginifiche e surreali che possono accadere solo alle nostre latitudini. Ma alla fine, sono contento che il record di Sirigu sia caduto, perché il mito di Bacigalupo non meritava di essere cancellato. Non me ne voglia Salvatore ma i libri di storia, a volte, non sono fatti per essere riscritti.
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Ad un anno campione d’Italia, cresciuto a pane e racconti di Invincibili e Tremendisti. Laureato in storia del Cinema, innamorato di Caterina e Francesco, sposato con il Toro. Ho vissuto Bilbao e Licata e così, su due piedi, rivivrei volentieri solo la prima. Se rinascessi vorrei la voleé di McEnroe, il cappotto di Bogart e la fantasia di Ljajic. Ché non si sa mai.
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