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columnist
Come dire, è nata prima la gallina o l’uovo? Probabilmente ognuno ha la sua, di risposta, quella che gli assomiglia di più. La mia è: il Gallo è Toro.
Il Gallo è Toro perché occhi granata hanno visto nitidamente il suo potenziale dove altri scorgevano solo un miraggio. Questo è il suo momento, e Torino è il suo posto.
Quello che mi piace, è il calcio delle persone. E le persone non sono tutte uguali, le squadre neanche. I soldi, sì.
Mi piace Gazzi che è Toro quando prima della partita va sotto la Maratona e applaude, poi entra in campo e cola sudore per il Palermo.
Mi piace il Gallo che è Toro quando – nonostante la felicità di segnare sia tanta, tutta quella di un neo capo-cannoniere – non monta su la cresta al Palermo, perché a Palermo ha sofferto la lontananza da casa ma ha vissuto l’entusiasmo della promozione e ha incontrato una persona così importante da metterla sulla fascia da Capitano.
Mi piacciono i bambini Toro perché li porti a Superga e non hanno dubbi, le favole esistono. Spesso sono andati a scuola col cappellino granata in testa solo per farci piacere, a tratti un po’ imbarazzati. Si sono chiesti perché non tifare per la squadra che vince sempre, ma poi anche per questo, hanno finito per sentirsi speciali.
Mio figlio gioca a calcio, e per immortalare una vittoria la sua squadra ha assunto la posizione dab-dance, ma un attaccante ha sorpreso il fotografo alzando la mano a cresta nel momento dello scatto. Quell’attaccante è una ragazzina. È stato un click che del Toro, ha catturato l’essenza.
Il Gallo è Toro ma allo stesso tempo il Toro è Gallo, perché avere grandi giocatori che facciano urlare i bambini, è indispensabile.
E se guardi nei loro armadi trovi ancora le maglie di Immobile, Cerci, Darmian, Glik.
Domenica Diego Lopez, dopo aver elogiato Belotti, ha aggiunto: “E poi sappiamo che il Toro ha dei giocatori importanti”.
E noi, lo sappiamo? Quei giocatori, lo sanno?
Lo sa, Maxi Lopez, che da tanto aspettiamo gli torni l’incontenibile foga di esserci?
Lo sa, Ljajic, che ci ha innervositi parecchio quest’estate col suo atteggiamento poco Toro di vengo-non-vengo, eppure non ci sembrava vero che avrebbe pennellato in granata. Eppure vorremmo che qui e solo qui, si sentisse al posto giusto e giocasse come lui sa. Eppure vorremmo amarlo.
Lo sa, Barreca, quanto orgoglio dà, saperlo uno di famiglia?
Lo sa, Moretti, di essere il nostro scudo, Baselli di avere i piedi per fare tanto di più, e il masticatore di cicles (chewing gum, per il mondo al di fuori di Torino) di essere…sì, lui lo sa di essere un Toro sui generis, ma pur sempre Toro.
È Toro Cairo, se sarà pronto a tutto pur di non mangiarsi il cuore e vendere Belotti.
Si può vincere 5 a 3 e poi 3 a 1 e non riuscire a sorridere uscendo dallo stadio, consapevoli della nostra poca solidità, dell’effimera felicità di sopraffare un avversario debole. E questo è Toro.
Ma anche saltare per aria tre volte in pochi minuti, tirare fuori tutta la voglia arretrata di urlare perché abbiamo vinto, è Toro.
Sì, il Gallo, è Toro.
Mi sono laureata in fantascienze politiche non so più bene quando. In ufficio scrivo avvincenti relazioni a bilanci in dissesto e gozzoviglio nell’associazione “Brigate alimentari”. Collaboro con Shakespeare e ho pubblicato un paio di romanzi. I miei protagonisti sono sempre del Toro, così, tanto per complicargli un po’ la vita.
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