Un tempo le prime amichevoli stagionali si giocavano con i dilettanti locali, squadre di bassissimo livello contro le quali si facevano le prime sgambate dopo i primi durissimi giorni di preparazione che "imballavano" i muscoli di quasi tutti i giocatori. Era la prassi e i risultati, con un divario solitamente in doppia cifra, contavano poco, se non nulla, in attesa di test più probanti. Il Toro di Juric quest'anno invece è partito col botto e dopo soli quattro giorni di ritiro ha giocato la prima amichevole stagionale niente meno che contro i detentori dell'Europa League, i tedeschi dell'Eintracht Francoforte. Al di là del diverso grado di preparazione delle due squadre e del diverso livello attuale di categoria in ambito europeo, la sconfitta per 3-1 non sorprende più di tanto, specialmente pensando che la squadra granata è un cantiere a cielo aperto. O almeno così si spera.
Il granata della porta accanto
Aggrappàti
Il bel giocattolo montato da Juric l'anno passato è stato smontato chirurgicamente in tutti i suoi punti di forza e pertanto ciò che ci aspettiamo non è nient'altro che un nuovo anno zero. In questo clima da ripartenza totale quello a cui rimaniamo aggrappati per non ricominciare veramente da capo e per vivere almeno con la speranza di un futuro più roseo per il nostro Toro, sono alcuni elementi che ci permettono di non cadere nello sconforto leggendo i giornali in questo periodo.
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Innanzitutto siamo aggrappati a Juric, alla sua grinta, alla sua cultura del lavoro, alla sua capacità di creare un gruppo coeso ed una squadra compatta che in campo remi dalla stessa parte e alla sua trasparenza nel parlare di cosa va e cosa non va all'interno di squadra e società. Siamo aggrappati a lui in maniera ormai viscerale e siamo aggrappati, sebbene con maggiore diffidenza, a Vagnati dal quale ci aspettiamo qualche "miracolo" sul mercato nonostante gli si riconosca la difficoltà dovuta ai budget risicati con cui lavora. Siamo, ahinoi, aggrappati alla cessione di Bremer che è un danno quasi irreparabile sul piano del gioco, ma potrebbe essere l'unica via per reperire soldi "veri" da spendere sul mercato, un do ut des vitale quanto l'ossigeno. Poi c'è quella nota che non ti aspetti, quella rondine che speri faccia primavera e di colpo ci ritroviamo aggrappati al gol di Horvath che ci dà la speranza che questo ragazzo ungherese possa essere il brutto anatroccolo che si trasforma in cigno: dopo essere stato messo da parte per limiti caratteriali in Primavera due anni fa da un certo Coppitelli, uno che di giovani se ne intende e parecchio, il ragazzo ha fatto un'ottima stagione nella B ungherese e potrebbe essere il classico coniglio dal cilindro, il jolly pescato a sorpresa dal mazzo.
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Dopo aver quasi del tutto rinunciato ormai all'idea che la "stellina" Millico sbocci definitivamente, ci aggrappiamo a Horvath e all'idea che il vivaio possa ancora sfornare giocatori adatti alla prima squadra: una condizione che dovrebbe essere normale per storia e tradizione granata, ma che purtroppo non è più così scontata come un tempo.
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Infine siamo aggrappati alla nostra incrollabile fede ben rappresentata da quei temerari tifosi che sono andati in questi giorni a Bad Leonfelden a vedere le sessioni di allenamento del Toro. Non arrivano alla decina tali innamorati, ma al di là del numero ciò che risalta è il loro commovente attaccamento dimostrato, un attaccamento che è più forte di quello che vogliamo ammettere a noi stessi e che in fondo alberga, in forme distinte, in ognuno di noi. Spiace che tra le cose o le persone a cui ci aggrappiamo, non ci sia il presidente, fresco di risoluzione della lite con Blackstone e che al solo pensiero di aver scampato risarcimenti da 600 milioni di euro potrebbe non spaventarsi più all'idea di mettere qualche milioncino nel Toro per far "passare 'a nuttata". In fondo il mantra dei grandi imprenditori è investire in tempo di crisi e il Toro è un'opportunità di investimento che il nostro presidente ha colto in questi 17 anni solo per la parte di ritorno di immagine personale a livello di visibilità. Potrebbe essere il momento di restituire qualcosa ad una piazza e ad un club che sono stati determinanti nella sua scalata al successo mediatico. Forse il fatto che non venda il Toro è perché anche lui, a suo modo come noi, ha bisogno di rimanere aggrappato a qualcosa…
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