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La bella intervista di Tardy all'esperto consulente finanziario Alessandro F. Giudice ha finalmente illustrato uno spaccato "oggettivo" della reale situazione del Torino FC, sia sotto il profilo meramente economico, sia sotto il profilo della cosiddetta "creazione di valore" collegata al valore puramente economico della società stessa. Molte delle cose dette dal signor Giudice sono quelle che la maggior parte di noi tifosi dice da più di una decina di anni, mentre su alcune è stato interessante capire il punto di vista di un esperto del settore per meglio comprendere l'ottica di certe questioni. Ad esempio sulla patrimonializzazione della società attraverso l'acquisto ( o la costruzione) di uno stadio di proprietà l'esperto ci è andato coi piedi di piombo ammonendo che un investimento di questo tipo dovrebbe essere finalizzato ad aumentare i ricavi altrimenti non avrebbe alcun senso, smorzando un po' l'ardore di chi ha brandito la questione stadio di proprietà come fondamentale, nel senso che lo è se poi si creano le condizioni perché tale acquisizione abbia davvero un senso.
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È chiaro quindi che il dibattito sulle "colpe" di Cairo nella deficitaria gestione del Torino FC sia spesso caratterizzato da prese di posizione a priori tra gli anti Cairo (molti) e i pro Cairo (pochi) e pertanto sia difficile garantire un sereno confronto sul merito delle singole questioni perché nella stragrande maggioranza dei casi il giudizio precostituito degli uni e degli altri prevale sull'oggettiva situazione da analizzare. Io stesso, per fare un esempio, ho fatto fatica a dare un giudizio "sereno" sull'ingaggio di Juric perché molto condizionato dal modus operandi, che non mi piace affatto, del presidente di dare il benservito ad allenatori con le stimmate granata, come successo con Nicola e prima con altri.
In questo contesto, riallacciandomi all'intervista fatta da Tardy, mi viene da pensare che uno dei punti più critici della presidenza Cairo sia la de-granatizzazione della società, un aspetto apparentemente lontano dall'avere un impatto economico sul club, ma in realtà fondamentale per imporre linee guida comportamentali al suo interno oltre che determinante per definire un certo mood aziendale non trascurabile specialmente nel mondo del calcio. Mi sono lamentato più volte dell'assurdità di non avere in società un'icona vivente come Paolino Pulici, un uomo il cui umile ma trascendente carisma potrebbe fungere da faro ad ogni livello su tutte le componenti del Torino, da quella dirigenziale a quella tecnico sportiva. Il valore aggiunto di certe cose è difficilmente quantificabile, e pertanto nessuno sa quanto farebbe "guadagnare" un Pulici presidente onorario del Torino, eppure è essenziale per gestire un business così atipico come il calcio. Anche uno studente del primo anno di Economia se ne accorgerebbe e non lo trascurerebbe, come invece inspiegabilmente fa il presidente Cairo. Qualcuno sostiene che Cairo non si voglia circondare di bandiere perché queste offuscherebbero la sua immagine, gli farebbero "ombra", ma sarei allibito se tale teoria fosse vera perché un imprenditore illuminato non rinuncerebbe mai ad un'opportunità di crescita e guadagno solo per futili questioni di egocentrismo…
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Qualunque sia la ragione che sta dietro alla scelta di Cairo di non avere bandiere in società, resta altrettanto inspiegabile che alcuni giocatori simbolo del suo periodo da presidente non siano stati tenuti come dirigenti. A tal proposito non ritengo sufficiente l'innesto di Moretti, a furor di popolo rimasto nei ranghi societari anche dopo aver appeso gli scarpini al chiodo, per quanto stimabile sia la persona. Ad esempio, gente come Rolando Bianchi o Giuseppe Vives pur avendo incarnato da giocatori il vero spirito Toro sono lontani dalla società granata e dalla possibilità di dare il proprio contributo alla causa. Perché? Perché, pur ammettendo che non fosse così semplice cooptare mostri sacri della storia granata come Pulici o Zaccarelli, non si è almeno optato per dare una sorta di continuità "aziendale" sfruttando figure come quelle citate per trasmettere i valori granata in una sorta di fil rouge delle epoche recenti del club trattenendo in società ex calciatori di un passato prossimo con chiari connotati di vero granatismo?
Mi ha fatto tenerezza leggere le parole di Ansaldi sul suo desiderio di rimanere al Toro fino ai quarant'anni. Un giocatore così, dall'enorme tasso tecnico e dall'incredibile spessore umano e professionale, sarebbe da tenere in rosa con un contratto senza scadenza fino a che si regge in piedi e poi da spostare nei ranghi dirigenziali non appena decida di smettere col calcio giocato senza pensarci neanche mezza volta. Mi innamorai, calcisticamente parlando, di Cristian ai tempi in cui giocava col Rubin Kazan (con la maglia granata, tra l'altro) e pensare che, per sfortuna sua, ma per fortuna nostra, i suoi continui infortuni gli hanno impedito una carriera nei top club e ci hanno permesso di vederlo giocare con la maglia del Toro, mi ha reso contento. Ansaldi, che per abnegazione e per valore è uno dei giocatori più forti del Toro degli ultimi vent'anni, potrebbe essere l'ideale figura, una volta terminata la carriera, da mettere in società per dare continuità e forza alla riaffermazione dei principali valori su cui si basa la storia del Toro. Ma chi gestisce la società dovrebbe aver chiaro cosa può "arricchirla" al di fuori di una mera plusvalenza o di un banalissimo ricavo.
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Ecco perché oggi moltissimi tifosi non credono più nella capacità del presidente Cairo di poter dare una svolta al suo ciclo in sella al Toro: tutti i treni "griffati" di granata che gli sono passati davanti li ha persi clamorosamente. Tutti. Perché da domani questo trend dovrebbe invertirsi?
E Ansaldi, come un Belotti a cui non si è riusciti a cucire un progetto tecnico attorno e che rischia di andarsene, inesorabilmente sarà quindi l'ennesima occasione persa...
Da tempo opinionista di Toro News, do voce al tifoso della porta accanto che c’è in ognuno di noi. Laureato in Economia, scrivere è sempre stata la mia passione anche se non è mai diventato il mio lavoro. Tifoso del Toro fino al midollo, ottimista ad oltranza, nella vita meglio un tackle di un colpo di tacco. Motto: non è finita finché non è finita.
Attraverso le sue rubriche, grazie al lavoro di qualificati opinionisti, Toro News offre ai propri lettori spunti di riflessione ed approfondimenti di carattere indipendente sul Torino e non solo.
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