Il mondo dello sport è un microcosmo decisamente particolare e a chi ci lavora dentro (atleti, tecnici e dirigenti) spesso non si possono applicare i paradigmi che si utilizzerebbero per catalogare e classificare le mansioni ed i rendimenti delle persone che lavorano invece al di fuori, nella "vita normale". Sono mestieri sui generis, spesso molto, molto ben remunerati, ma con delle logiche totalmente diverse da quelle dei mestieri più canonici: il mondo dello sport vive di risultati e chi lo anima e lo fa muovere è giudicato principalmente per quelli. Dura lex, sed lex. Il calcio in generale ed il Toro in particolare non fanno eccezione a questa regola ovviamente, sebbene forse la piazza granata abbia una predisposizione leggermente differente nel "pesare" il lavoro dei vari professionisti che di volta in volta transitano in questo club. Ci sono calciatori che sono stati più o meno amati anche al di là dei meri risultati sportivi (un caso recente è stato, ad esempio, Maxi Lopez) così come ci sono stati allenatori che pur non risultando particolarmente simpatici hanno fatto un buon lavoro (e penso a Ventura, in questo senso). Poi ci sono stati casi di allenatori che hanno raggiunto il top delle rispettive carriere sulla panchina granata perché hanno trovato un feeling particolare, quasi unico, con l'ambiente e sono riusciti a trasmettere il proprio credo calcistico in simbiosi con la piazza e i valori della squadra. Facile ricordare Giagnoni, Radice o Mondonico in questa speciale categoria. Ma lo stesso vale per molti giocatori, ad esempio, Pulici: senza la maglia granata sarebbe diventato lo stesso il mitico Puliciclone?
Il granata della porta accanto
Belotti e Coppitelli: “dimensioni” da Toro
La rubrica di Alessandro Costantino: "Il nuovo Pulici e il nuovo Vatta: sarebbe bello poterli vedere in granata per lungo tempo"
Questo lungo preambolo mi è servito per introdurre due personaggi che, in maniera differente, ma tutto sommato simile, stanno dimostrando che al Toro e nel Toro riescono a dare e a fare il meglio di ciò che sanno fare. Parlo di Andrea Belotti e Federico Coppitelli. Il primo è ormai diventato il simbolo del Toro, il giocatore che sta ripercorrendo le orme di Pulici e stagione dopo stagione sta scalando le classifiche all time di gol e presenze in maglia granata puntando a record che fino a qualche tempo fa sembravano inavvicinabili. Il secondo è forse il miglior allenatore delle giovanili del panorama italiano e, azzardo io, europeo, un giovane uomo che ha fatto bene in ogni categoria giovanile che ha allenato e che in granata oltre a vincere una Coppa Italia ed una Supercoppa Italiana, ha salvato quasi miracolosamente la squadra prendendola in corsa la scorsa stagione e la sta riportando ai vertici in questa.
Entrambi per motivi diversi e per percorsi diversi hanno lasciato o sono in procinto di lasciare il Toro. Coppitelli dopo un ciclo trionfale con la Primavera granata ha provato con il calcio dei grandi e non ha avuto grande fortuna sulla panchina dell'Imolese in C. Il ritorno nel mondo delle giovanili ha certificato che il tecnico romano non ha perso il tocco magico nel far crescere e rendere al meglio i ragazzi che gli vengono messi a disposizione. Capisco il suo desiderio di mettersi alla prova (e probabilmente ciò accadrà di nuovo) con il calcio degli "adulti", ma resta il fatto che il suo talento, e non è un talento da poco, è quello di saper lavorare coi giovani e se decidesse di "farsene una ragione" potrebbe diventare il nuovo Vatta. Probabilmente, con un allenatore del genere, il Torino farebbe bingo se avesse una squadra Under 23 da fargli guidare e gestire: un investimento che Cairo dovrebbe fare e che darebbe i suoi frutti in termini di plusvalenze e giocatori formati direttamente per la prima squadra.
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Nel caso di Belotti, invece, seppur in una situazione differente (il capitano è a scadenza e desidera confrontarsi con obbiettivi superiori che lottare semplicemente per la salvezza), le sirene di palcoscenici più prestigiosi e stipendi certamente più ricchi del già ottimo stipendio che potrebbe ricevere rinnovando in granata, rischiano di interrompere una magia, quella tra il bomber e la maglia e la piazza granata, non così facilmente replicabile in un altro posto. In un certo senso le prestazioni di Belotti con la maglia azzurra sono la cartina tornasole di cosa potrebbe accadere se si muovesse per andare a giocare in qualche club più prestigioso: titolarità non garantita, maggiori difficoltà a fare la differenza, impatto nell'immaginario del tifoso medio decisamente meno profondo. Un Belotti con una maglia diversa, segnerebbe di sicuro i suoi gol e sarebbe di sicuro un valore aggiunto per la squadra che lo ingaggia, ma difficilmente (e in questo per la stima che ho del Belotti uomo e giocatore, mi augurerei di sbagliarmi) diventerebbe la stella che è qua a Torino e tantomeno un punto di riferimento per i tifosi più giovani che qua si immedesimano quasi tutti in lui. Ci sono cose nella vita che non si possono quantificare in denaro o in onoreficenze. Entrare nel mito sebbene solo di un club o nei cuori sebbene solo di una fetta di tifosi non è concesso a tutti e non si può barattare con nessuno stipendio a 6 zeri o con nessun titolo sportivo conquistato da comprimario. Rimanere è una scelta coraggiosa che restituisce in cambio però una sorta di immortalità eterna ed eleva al soglio di un olimpo sportivo che nell'immaginario collettivo odierno, caratterizzato da miti che nascono e muoiono dall'oggi al domani in ogni campo, ha un peso ancora notevole e longevo.
Il nuovo Vatta ed il nuovo Pulici: è un peccato averli in casa e non avere la certezza di poterseli coccolare in eterno...
Da tempo opinionista di Toro News, do voce al tifoso della porta accanto che c’è in ognuno di noi. Laureato in Economia, scrivere è sempre stata la mia passione anche se non è mai diventato il mio lavoro. Tifoso del Toro fino al midollo, ottimista ad oltranza, nella vita meglio un tackle di un colpo di tacco. Motto: non è finita finchè non è finita.
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