Nonostante l'anomala calura estiva di quest'anno, leggere certe notizie sul calcio e sul Toro in particolare mi "gela" il sangue. La rassegna stampa in tal proposito è pure significativamente lunga, tanto da non avere altro che l'imbarazzo della scelta sul dove cominciare. Partirei da un grande classico che ormai da 6 anni occupa le cronache granata in maniera discreta, ma puntualmente e sistematicamente, negativa: il Robaldo. L'ultimo intoppo di questa saga ridicolmente infinita è l'individuazione di un enorme cavo dell'alta tensione che va dissotterrato e spostato per fare in modo che gli imminenti (so che dire imminenti suona come uno scherzo di cattivo gusto) lavori di demolizione e scavo dell'intera area possano incominciare. Pare che, almeno questa volta, il Torino si sia mosso in fretta e bene per superare questo ennesimo ostacolo. Che sia la volta buona? Suggerirei alla società di installare una telecamera come fu fatto al Filadelfia per seguire in tempo reale l'evoluzione dei lavori una volta che partiranno: per una vicenda gestita malissimo a livello di comunicazione, sarebbe un modo carino per provare a darsi una nuova credibilità.
Il Granata della Porta Accanto
Dal diritto di recompra al mercato del Toro, tutto il “gelo” di questa calda estate
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Sebbene agghiacciante non sia l'aggettivo giusto per definire il mercato di quest'anno del Toro, disarmante è secondo me, invece, il termine adatto a descrivere il modus operandi che da anni regola le trattative mercatali del club di Cairo. Il ritiro in Austria è alle porte e siamo al 30% di arrivi dei famosi dieci giocatori richiesti da Juric. A proposito del mister, sono curioso di sapere come la pensa su ciò che sta succedendo e troverei giusto che il Torino organizzasse prossimamente una sua conferenza stampa. Certo che leggere che con 8 milioni la Viola ha preso Mandragora mi fa capire che soldi proprio non ce ne sono dalle parti di Via Arcivescovado: mi scaldo ancora più di quanto la temperatura ambiente mi tenga caldo oppure mi raffreddo di ogni mio possibile, benché remoto, entusiasmo?
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Lascio perdere e passo oltre le polemiche sulle magliette da allenamento che sarebbero più rosse che granata perché bilancio il disappunto con la soddisfazione per il "ritorno" del simbolo del Toro rampante "geometrico" degli Anni Ottanta, a mio avviso il più bello di tutti i tempi, sebbene il mio giudizio in proposito sia influenzato dal fatto che in quegli anni io fossi un bambino e che vedessi il Toro con gli occhi sognanti tipici di quell'età, così come tralascio gli striscioni contro Cairo sintomo di una contestazione mai sopita che dovrebbe fare riflettere il patron granata più di quanto egli abbia fatto finora: c'è un limite a tutto, dovrebbe iniziare a rendersene conto. Piuttosto leggo con orrore della proposta di Gravina di sancire in maniera inequivocabile il diritto di recompra, un abominio che spingerebbe il calcio ancora più in bocca al leone rappresentato dalle grandi società. Nel momento in cui la Fifa cerca di porre un limite ai prestiti proprio per evitare situazioni di oligopolio altamente antisportivo, da noi si sbandiera il diritto di recompra che nient'altro è se non un prestito "mascherato". Immaginate una società con i limitati fondi come può essere il Torino stesso che "riesce" a puntare a poco prezzo su di un calciatore "scartato" da un grande club e poi vede il ragazzo esplodere: di sicuro un'operazione del genere sarebbe manna per le casse di questo club nel caso rivendesse quel giocatore ad un prezzo notevolmente più alto di quello di acquisto.
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Se però si fa passare come standard il diritto di recompra queste plusvalenze non sarebbero più realizzabili, mentre con questo sistema si aiuterebbero per l'ennesima volta i club più ricchi. Penso che utilizzare la parola "schifo" per descrivere le conseguenze di un simile scenario sia appena il minimo sindacale per esprimere l'indignazione che provo per questo modo di gestire il calcio moderno. Si parla di Superleghe additando il modello americano, ma non si fa mai riferimento ai sistemi di contrappeso che utilizzano le leghe americane professioniste (tipo l'NBA nel basket) proprio per evitare che il gioco sia dominato dai "soliti noti": i draft, ad esempio, in cui le squadre peggio classificate dell'ultima stagione scelgono i migliori prospetti usciti dalle università americane oppure la ripartizione flat, uniforme, dei soldi dei diritti TV. Se lo hanno capito anche gli americani per i quali vincere è un dogma intoccabile che l'interesse del pubblico va sempre stimolato con nuovi "eroi" e nuove squadre di vertice, possibile che i nostri soloni al potere non si siano fatti due domande. Nel mondo a stelle e strisce ogni 4-5 anni c'è un Cagliari, una Sampdoria, un Torino che vincono titoli: da noi è capitato 3 volte in 52 anni… Non c'è riuscita l'Atalanta che in questi ultimi anni ha fatto un mezzo miracolo perché la "casta" si autodifende e non permette a nessuno di prendersi, non dico una fetta della loro torta, ma nemmeno le briciole.
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Continuo a rimanere legato al mio ideale di Toro, al simbolo geometrico anni Ottanta, alla speranza di poter competere come almeno saltuariamente si riusciva a fare: so di sembrare come quei soldati giapponesi abbandonati sulle sperdute isole del Pacifico a difendere la posizione e a cui nessuno aveva detto che la Seconda Guerra Mondiale era finita, ma non so essere nient'altro di differente da questo. In un'estate così calda, non ho voglia di scaldarmi ulteriormente per l'indignazione, né "gelarmi" per le docce fredde che certe notizie mi procurano. Come cantavano i Green Day, "wake me up when September ends"...
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Da tempo opinionista di Toro News, do voce al tifoso della porta accanto che c’è in ognuno di noi. Laureato in Economia, scrivere è sempre stata la mia passione anche se non è mai diventato il mio lavoro. Tifoso del Toro fino al midollo, ottimista ad oltranza, nella vita meglio un tackle di un colpo di tacco. Motto: non è finita finché non è finita.
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